Da "Umanità Nova" n.32 del 23 settembre 2001
Affari di morte
Il commercio d'armi dell'Italia
Di recente, ovvero nel 1990, l'Italia si è dotata di una normativa, a
detta di alcuni tra le più coraggiose del mondo, che norma il traffico
di armamenti tra lo stivale ed il resto del mondo. In sintesi la suddetta legge
fissa alcuni criteri di principio a cui l'esportazione di armi deve
"inevitabilmente" attenersi. Vedremo poi come queste norme vengano agevolmente
aggirate e come il contesto internazionale renda perlopiù irrilevanti i
riferimenti all'articolo 11 della Costituzione Italiana. I criteri a cui si
informa questa legge sono sostanzialmente tre:
1. Innanzitutto subordina le scelte sui trasferimenti di armi alla politica
estera e di sicurezza dello stato Italiano, alla Costituzione Italiana e ad
alcuni principi del diritto internazionale.
2. Introduce un sistema di controllo da parte del governo, prevedendo chiare
procedure di rilascio di autorizzazioni suddiviso in tre fasi:
La prima fase prevede l'iscrizione al registro nazionale delle imprese operanti
nel settore degli armamenti che viene comunicata al ministero della Difesa.
L'iscrizione va rinnovata ogni anno.
La seconda fase stabilisce l'obbligo di comunicare al ministro degli Affari
esteri e al ministro della Difesa l'inizio delle trattative contrattuali per
l'esportazione, importazione e transito di materiali di armamenti. La legge
stabilisce che entro 60 giorni, il ministro degli Esteri, d'intesa con il
Ministro della Difesa, può vietarne la prosecuzione. Nel caso di
operazioni commerciali con paesi NATO o UEO basta la semplice comunicazione al
ministero della Difesa, il quale nel più breve termine di 30 giorni,
può disporre condizioni o limitazioni alla conclusione delle
trattative.
La terza fase concerne l'autorizzazione alle esportazioni e fa capo al
Ministero degli Esteri, il quale di concerto con il Ministero delle Finanze,
deve decidere entro il termine di 60 giorni.
3. Recepisce le istanze di trasparenza interna ed esterna emerse in sede ONU.
La legge, poi, vieta esplicitamente la costruzione di armi nucleari, chimiche e
biologiche.[1]
La legge 185/90 fissa oltre che i criteri anche i seguenti divieti alle
esportazioni di armi:
Divieto di esportazione verso i paesi in stato di conflitto armato, in
contrasto con i principi dell'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite
Divieto di esportazione di armi verso paesi la cui politica contrasti con
l'articolo 11 della Costituzione, ovvero verso paesi che si dimostrino propensi
ad utilizzare le armi per aggredire altri popoli o per risolvere le
controversie internazionali.
Divieto di esportazione verso cui sia stato dichiarato l'embargo totale o
parziale delle forniture belliche da parte delle nazioni Unite
Divieto di esportazione verso paesi i cui governi sono responsabili di
accertate violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti
dell'uomo;
Divieto di esportazione verso paesi che destinino al proprio bilancio militare
risorse eccedenti le esigenze di difesa del paese.[2]
Con una legge a maglie così strette, l'Italia dovrebbe essere in testa
nel rispetto del codice deontologico della vendita di armi nel mondo. A mio
parere, la situazione è decisamente più complessa e tale
complessità nasce primariamente dai principi giuridici a cui si conforma
questa legge per finire poi negli espedienti tecnici che di volta in volta
possono essere scoperti per aggirarla.
Veniamo alle questioni di principio: ritengo che sia assai irrilevante sapere
che una nazione venda armi ad altre nazioni rispettose dei diritti umani, dato
che all'interno dell'idea di diritti umani alcune condizioni non trovano posto:
gli Stati Uniti d'America, la Russia... applicano all'interno del loro
ordinamento giuridico la pena di morte, così come all'interno degli
stati liberali europei sono innumerevoli le condizioni di abuso e di
sopraffazione di criteri giuridici a garanzia dei condannati o dei carcerati
che lo stesso sistema si è dato: per fare un esempio nostrano la legge
Turco-Napolitano ha istituito i centri di permanenza temporanea, dei veri e
propri lager di stato dove vengono rinchiuse, in attesa di essere espulse,
delle persone colpevoli di avere violato un atto amministrativo, ovvero di non
avere un documento valido di espatrio. Se poi dovessimo fare un tour carcerario
in Turchia[3] o in altri Stati garanti delle
condizioni umane, ci renderemmo conto di quanto sia aleatorio il concetto
stesso di 'diritti umani'. Sappiamo anche che lo sfruttamento capitalistico, la
povertà, l'indigenza ecc non vengono contemplati tra tali diritti, ma
vengono posti come necessità, triste forse solo per alcuni, della libera
competizione nel mercato mondiale.
Un elemento che la suddetta legge non tocca sono le cosiddette joint-venture
tra ditte italiane e ditte di altri paesi con le quali collaborano, i quali
paesi sono 'esenti' da vincoli particolari nella vendita di armi. L'Alenia
Finmeccanica collabora con la Bae per la costruzione di Tornado, per la
costruzione di un programma missilistico PAAMS, per la costruzione di un
programma missilistico anticarro e con altre case americane e tramite l'Augusta
lavora per la costruzione di elicotteri di guerra. Gli esempi sono ovviamente
limitati. Vorrei ricordare, a questo proposito, che l'Augusta, tramite queste
joint-venture vendeva contemporaneamente elicotteri da guerra sia al
Perù di Fujimori, noto per il profondo rispetto dei diritti umani che
alla Turchia di cui ho già detto.
Nella produzione e nel commercio delle armi leggere le maglie dei controlli
sono pressoché inesistenti, perché la commissione europea si
occupa solo di grossi contratti, ovvero quelli da oltre un miliardo di franchi
e può trattare sino a 700 casi ogni mese ed 'i contratti sulle armi
leggere sembrano meno importanti e perciò sono meno soggetti a controlli
minuziosi."[4]: "il rapporto sull'applicazione del codice[5] ha segnalato per l'anno 1999 e per l'insieme
dei paesi dell'Unione europea 221 rifiuti rispetto a 30mila
autorizzazioni!"[6]
Le joint-venture che esistono nella produzione di 'armi pesanti' sono ancora
più sviluppate e rodate nel settore delle armi leggere: per fare un
altro esempio europeo, il governo anglosassone aveva vietato l'esportazione di
mitragliatori Mp5, prodotti dall'Inglese Heckler & Koch, al governo
indonesiano. Di fatto, la società nazionale Turca Mkek, è in
grado di produrre le stesse armi grazie ad una convenzione economica stipulata
dalle due società nel 1998. Non avendo la Turchia alcun vincolo etico
all'esportazione di armi verso chicchessia, gli Mp5 raggiunsero tranquillamente
la loro destinazione: l'Indonesia.[7]
L'articolo 11 della Costituzione Italiana, quello che fa riferimento all'uso
puramente difensivo delle forze armate, mi sembra, credo a ragione, carta
straccia e non solo da oggi.
L'ONU non differisce come strumento politico dalle ragioni belliche
dell'Alleanza Atlantica e di tutte le forze statuali che abbiano un peso
geo-politico e militare di rilievo: non a caso la Cina non è stata
iscritta nel Registro dei paesi che violano i diritti umani.
L'ONU ogni anno è tenuto ad esprimere in via ufficiale un parere sulla
violazione dei diritti umani: quando ciò non accade in via formale il
paese che l'anno prima era messo all'indice per l'esportazione di armi, rientra
a pieno titolo nei partner commerciali dell'Italia. È stato il caso
dell'Indonesia verso cui venne attuato il blocco pressoché totale
dell'export di armi nel 1996, per poi riprendere vigorosamente nel 1997 (2,7
miliardi di lire) dal momento che mancò un'esplicita condanna da parte
dell'ONU, non mancarono certo le torture, le condanne a morte ecc.[8] Non solo, ma nel febbraio 1997 l'allora
ministro della difesa Beniamino Andreatta si recò in visita a Giacarta
ove stipulò un accordo di cooperazione militare e commerciale (di armi)
con il governo indonesiano. "Si è assistito, nel corso di questi anni,
ad una sorta di riforma non sempre trasparente, effettuata mediante atti
sub-legislativi, che, talvolta basandosi sul margine dello stesso legislatore,
talvolta forzando la lettera e lo spirito della legge, ha contribuito ad
allargarne le maglie, a ridurne il campo di applicazione e ad attenuarne il
campo di applicazione e ad attenuarne il rigore e la portata innovativa."
Così si esprime Chiara Bonaiuti[9] a
proposito delle delibere del CISD , l'organo interministeriale deputato,
secondo la legge, a indicare direttive generali e a definire la lista dei paesi
sottoposti a divieti.
Esiste poi il capitolo delle pressioni politiche e del rischio di perdite di
posti di lavoro nel settore militare: lo ha raccontato Achille Lodovisi[10] a proposito del caso Ocalan. "L'Augusta ha
in corso con la Turchia un contratto per diverse migliaia di miliardi di lire
per la produzione di elicotteri. (...) Il meccanismo funziona così: il
governo turco indice la gara, i fornitori si presentano e poi lo stesso
Governo, titolare unico della domanda, decide chi ammettere alla selezione
finale. La lobby dell'Augusta durante il caso Ocalan temeva di non rientrare
nel famoso novero delle aziende che alla fine dovevano giocarsi la gara. Il
governo turco ha quindi potuto fare un 'gioco delle tre carte' facendo credere
di escludere l'Augusta, la lobby ha fatto pressioni, il Governo italiano ha
avanzato la teoria della perdita di posti di lavoro, quello turco ha
tergiversato, Ocalan è stato espulso."
Si potrebbe concludere affermando che "la ragion di stato non coincide mai,
neppure nelle cosiddette democrazie, con le ragioni della libertà e del
rispetto dei diritti umani.
Le convenzioni internazionali, le condanne formali delle violazioni sono, nel
migliore dei casi, fumo negli occhi dell'elettorato, nel peggiore, pretesto per
ancora maggiori violazioni quali le 'guerre umanitarie'."[11]
Pietro Stara
Note
[1] A cura di Chiara Bonaiuti, La legge smantellata, Oscar Report, maggio-giugno 1999, IRES Toscana
[2] Ibidem, p. 4
[3] La Turchia applica la tortura come mezzo di estorsione di
confessioni e come metodo punitivo nei confronti dei detenuti politici: bambini
al di sotto di 12 anni trovati a scrivere frasi contro la guerra nel Kurdistan
turco sono stati torturati con scariche elettriche ai genitali ed interrogati
nudi, in piedi, per due giorni. Ultimamente la Turchia si è distinta per
aver realizzato le famigerate celle Tipo F, realizzate con il contributo di
architetti italiani, provocando la reazione di centinaia di detenuti, che
stanno morendo o sono morti per aver fatto lo sciopero della fame. Alcuni di
questi detenuti sono stati incendiati direttamente dai militari di sorveglianza
che dovevano `sedare' le rivolte.
[4] Dichiarazione di Bruno Barillot, ricercatore dell'Osservatorio sui
trasferimenti di armi, in Philippe Rivière, La proliferazione alimentata
dal segreto, in Le Monde Diplomatique - il manifesto, gennaio 2001, pag. 7
[5] Anche l'Unione Europea si è dotata, nel 1998, di
un codice `etico' che regolamenta la vendita di armamenti, che riprende
sostanzialmente i punti della legge 185/90.
[6] Philippe Rivière, La proliferazione alimentata dal segreto,
cit.
[7] Tratto dall'articolo di Steve Wright, Legale e letale, il
traffico di armi leggere, in Le Monde Diplomatique - il manifesto, gennaio
2001, pp. 6, 7.
[8] Rosa Saponetta, Italia/Indonesia Commercio armato, in
Umanità Nova - settimanale anarchico, n.30, 1999
[9] Chiara Bonaiuti, L'applicazione della legge 185/90: il
caso dei divieti di cui all'articolo 1.6, in Oscar Report cit,, pag 11
[10] Achille Lodovisi, La via del sangue, conferenza sulle
relazioni militari tra Italia e Turchia tenutasi presso la Biblioteca
Libertaria ` Francisco Ferrer' di Genova il 5 marzo 1999.
[11] Rosa Saponetta, cit.
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