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Da "Umanità Nova" n.32 del 23 settembre 2001
Droga, armi, Corano. Talebani
I frutti marci della politica USA
In queste ore di frenetici preparativi di guerra può risultare
interessante comprendere come i tragici avvenimenti di questi giorni non siano
altro che gli effetti della disastrosa politica imperiale degli Stati Uniti,
del fallimento della classe dirigente americana nel tentativo di vincere la
grande partita disputata per il controllo delle risorse energetiche dell'Asia
centrale. Infatti i taleban, oggi dipinti come il "male dei mali", sono
uno dei tanti "frutti marci" prodotti delle losche manovre americane nella
regione.
Il fallimento sovietico e le incertezze americane
Nel 1979 l'Unione Sovietica invade l'Afganistan. Negli anni dell'invasione gli
americani sostengono generosamente, con armi e munizioni, la Jihad
(guerra santa) combattuta dai mujahidin. Nel 1988-89, però,
quando negli Stati Uniti si comprende che la guerra afgana sta evolvendo in una
clamorosa vittoria, gli aiuti cominciano a scemare in modo vistoso.
L'Afganistan non è ritenuto molto importante visto che a Washington
nessuno prevede un crollo repentino dell'Unione Sovietica. Così quando
nel 1989 i sovietici si ritirano da Kabul il regime loro alleato, presieduto
dal presidente Najibullah, riesce a mantenersi al potere fino all'aprile del
1992. Una volta occupata Kabul i capi dei mujahidin iniziano però
una sanguinosa guerra civile. Tra il 1993 e il 1995 violentissimi combattimenti
contrappongono il presidente Rabbani, alleato del ministro della difesa, Shah
Masud, al primo ministro Hekhmatjar, l'uomo della CIA e dei servizi segreti
pakistani. La guerra civile è sanguinosa: migliaia i morti fra i
combattenti ma soprattutto fra i civili. In questi anni Kabul è ridotta
ad un cumulo di macerie e migliaia di persone sono costrette a lasciare le loro
case. Ma il mondo fa finta di non vedere.
Intanto gli americani mostrano un crescente interesse per le repubbliche
asiatiche nate dal disfacimento del'URSS e puntano tutto sul loro fido alleato
regionale, il Pakistan. Se i pakistani, rigidamente sotto controllo della CIA
di William Casey, incassano i miliardi dollari della droga prodotta in
Afganistan (oggi la politica e l'economia del paese sono controllate dai
narcodollari), gli americani puntano invece ad aprire una nuova via per le
risorse energetiche del Mar Caspio che tagli fuori Russia e Iran. Il progetto,
sviluppato fra il 1991 e il 1994, è ambizioso poiché si tratta di
costruire, praticamente dal nulla, le infrastrutture per trasportare gas e
petrolio dal Mar Caspio alle coste Pakistane, attraversando una regione
impervia e in preda alla guerra civile come l'Afganistan. Washington si rende
conto che in Afganistan occorre una svolta che stabilizzi il paese e renda
sicuri gli enormi investimenti necessari al progetto. La svolta si rende ancor
più necessaria dopo il clamoroso attentato del 1993 ad una delle torri
del Word Trade Center di Manhattan. L'ispiratore dell'attentato viene
individuato nello sceicco Rahman che dal 1988 aveva addestrato i suoi
battaglioni di fanatici adoratori di Allah con la protezione dell'uomo degli
americani, il primo ministro afgano Hekhmatiar.
I taleban, la droga e il petrolio
Non so se la creazione dei taleban, gli oggi famosi studenti di teologia
coranica al potere in Afganistan, sia stata coscientemente programmata dalla
CIA e dai servizi segreti pakistani oppure se questi abbiamo sapientemente
indirizzato ai loro fini un movimento sviluppatosi autonomamente nella
metà degli anni '90. Generalmente gli studiosi del fenomeno ritengono
che la svolta nell'uso delle scuole coraniche, la medrassa, come centri
di reclutamento sia religioso che militare avvenga nel 1993 quando i
commercianti di droga pensano di creare proprie milizie per difendersi dalle
prepotenze dei capi mujahidin in lotta fra di loro. Da questa
necessità nascono i primi battaglioni di taliban, tutti
capeggiati da un mullah. Fra il 1994 e il 1995 americani e pakistani
scaricano l'ormai ingombrante Hekhmatiar e iniziano a sostenere i taliban.
Dopo il fallimento di Hekhmatiar, gli Stati Uniti vogliono prendersi una
rivincita e ritengono di avere scelto bene: gli studenti islamici sono
integralisti sunniti, avversari degli sciiti iraniani, molto vicini agli
islamici conservatori sauditi, fortemente tradizionalisti ma alleati
dell'Occidente. Durante la loro folgorante avanzata i taleban spazzano
via i vecchi capi mujahidin alleati di Russia, Iran e India. Quando gli
studenti coranici occupano Kabul il segretario di Stato americano Madleine
Albright esulta e dichiara che la loro avanzata è un "avvenimento
positivo". Gli interessi americani (petrolio) si sposano perfettamente con
quelli dei pakistani (droga).
Pochi mesi dopo, siamo nel 1997, una delegazione di taliban si reca a
Washington dove incontra gli uomini della compagnia petrolifera UNOCAL e i
dirigenti del Dipartimento di Stato. Tutto procede a gonfie vele e il 28
ottobre 1997 con un semplice comunicato stampa la UNOCAL annuncia la
costituzione con sauditi, pakistani, giapponesi e coreani di una joint
venture da 2 miliardi di dollari per costruire una pipeline di 1450 km che
trasporterà il gas del Turkmenistan ai terminali pakistani attraverso il
nord dell'Afganistan. Ma il progetto rimarrà tale. Ben presto i
taleban informano i loro alleati sauditi di aver bisogno di tempo per
decidere. Ma una risposta non arriverà mai. Per la gioia di Russia,
India e Iran.
Con il passare del tempo il regime di Kabul diviene sempre più
impresentabile. Si badi bene non per la sistematica violazione dei diritti
dell'uomo - che come è noto non ha alcuna importanza per il democratico
regime di Washington - ma per l'invadente presenza di personaggi divenuti il
bersaglio della macchina propagandistica americana, come il famoso Ben Laden, i
cui campi di addestramento in Afganistan vengono bombardati dagli americani
nell'agosto 1998 dopo gli attentati alle ambasciate americane dell'Africa
dell'Est.
Il fallimento della politica americana
L'11 settembre la classe dirigente americana ha raccolto quanto ha seminato
negli ultimi 15 anni. I bombardamenti dell'agosto 1998 hanno reso popolarissimo
fra le masse arabe Ben Laden, mentre nella guerra civile afgana gli americani
hanno di fatto continuato a sostenere i taliban tramite il loro fido
alleato pakistano. Pochi sanno che per tutto il 2000 truppe pakistane hanno
combattuto sul fronte afgano a fianco dell'esercito governativo. In Afganistan
(come in Iraq) il vero obiettivo della politica americana sono le popolazioni
civili, che stanno pagando le conseguenze dell'embargo voluto da Washington e
votato dall'ONU nel novembre 1999, facendo finta di non conoscere la drammatica
situazione provocata dalla siccità. Non solo le sanzioni aggravano la
situazione dei civili e discreditano gli afgani che si battono contro
l'oscurantismo dei taliban ma, non portando soluzioni positive, esse
rafforzano la radicalizzazione degli estremisti religiosi. Le
responsabilità delle potenze occidentali nella tragedia del popolo
afgano sono evidenti: secondo l'Alto Commissariato dell'ONU per i rifugiati
solo il 10% delle somme richieste sono state versate. Secondo Gino Strada,
fondatore e animatore di "Emergency" "Le condizioni dei profughi afgani
ricoverati nei campi pakistani sono inimmaginabili per noi occidentali".
Per concludere: la strategia americana è un fattore di destabilizzazione
e di radicalizzazione. Paradossalmente è proprio il governo americano il
principale sostenitore e foraggiatore del fondamentalismo islamico che dice di
voler combattere. Chi semina vento raccoglie tempesta...
M. Baldassarri
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