unlogopiccolo

Da "Umanità Nova" n.32 del 23 settembre 2001

Scenari di guerra
La zona grigia tra spie e kamikaze beoni

Da tempi immemorabili il genere umano si pone il problema del rapporto tra conoscenza e verità, tra "i fatti come andarono veramente" e la comunicazione degli stessi. Senza addentrarci in un discorso filosofico troppo complesso, credo che tutt'ora valga ancora il principio dell'onere della "prova", provata e documentata, a carico di chi voglia dimostrare qualcosa a qualcuno. Altrimenti non si possono fare altro che supposizioni, degnamente supportate da indizi, ma nulla più. Mi stupiscono, infatti, sia quei compagni/e che pensano in maniera certa all'ipotesi di un autoattentato, così come quelli che si immaginano come unica soluzione l'ipotesi del "tradimento" dell'ex-fedele alleato. Non sopporto invece coloro che hanno gioito.

Non li sopporto perché sono crepate un sacco di persone, non li sopporto perché sono figli/e di un anti-americanismo di maniera di stampo staliniano, non li sopporto perché dalle guerre non ha mai imparato niente nessuno, non li sopporto perché diminuiranno i già minimi diritti sindacali, non li sopporto perché diminuiranno le già minime libertà civili, non li sopporto perché saranno "giustificati" ad aumentare le già cospicue spese militari, non li sopporto perché reprimeranno a destra e manca senza che alcuno se ne accorga, non li sopporto perché i padroni del mondo, delle fabbriche e delle vite rimarranno dove sono, non li sopporto perché ci saranno sempre più muri tra "noi" e "loro"....

Ma torniamo daccapo: potevano le intelligence dello Stato più armato al mondo non sapere e non prevedere nulla? E possono sapere tutto alcune ore più tardi, compresa la marca di vodka bevuta in uno strip-bar della Florida, da due attentatori? Scusate, ma i musulmani osservanti, e per essere "kamikaze" al servizio della Causa devi essere molto osservante, non hanno il divieto assoluto di bere alcolici? In un articolo intervista[1], molto prezioso, al pilota egiziano assoldato da Bin Laden, il quale rivelò i piani terroristici dello sceicco, del suo gruppo Al Queda, e dei gruppi affiliati e finanziati (Hezbollah e Jihad Islamica), emerge in maniera chiara che le informazioni dell'FBI su quanto sarebbe accaduto erano complete. Risulta, inoltre, da un articolo del Washington Post (lunedì 17 settembre), che uno dei dirottatori si sia fatto un po' di giretti di perlustrazione sopra New York, con aerei noleggiati, la settimana che precede l'attentato. E allora? Qui entrano una marea di dubbi e di domande che non portano necessariamente a dire: bene, i servizi segreti americani in complicità con le massime autorità governative americane, hanno voluto che succedesse ciò che è successo.

Ma non si può nemmeno dire, con altrettanta certezza, che non vi è implicazione (negligente o colposa) delle regime Statunitense. Siamo agli inizi di una storia che richiederà un altro secolo, almeno, per essere rivelata.

Una cosa non dobbiamo però dimenticare: il contesto mondiale, economico, sociale e politico entro il quale l'attentato è avvenuto. Dopo il crollo sovietico, ai più è sembrato che si aprissero orizzonti sconfinati allo strapotere occidentale ed a quello statunitense in particolare. Così è stato, ma occorre aggiungere qualcosa: se è vero che con la logica dei blocchi le zone di influenza imperialistica degli stati super-potenze erano delineate in maniera piuttosto chiara, con la scomparsa dell'Impero sovietico questa certezza non si dà più in maniera netta. Gli Stati Uniti devono "dimostrare" la loro utilità strategica agli alleati e devono combattere una lunga guerra di sopravvivenza per l'egemonia geo-politica di fronte a due nuovi blocchi emergenti: quello Europeo e quello Cinese.

La partita che si giocava lungo gli anni '90 e che sarà dirimente in futuro è legata indissolubilmente allo sfruttamento ed al controllo delle risorse energetiche primarie: così è stato per l'Iraq, così è per il Kosovo e per l'area Balcanica (i famosi corridoi) e così è per le zone sud-asiatiche e medio-orientali. Si sta parlando di petrolio, di gas-metano, di acqua e di eroina. Nelle guerre precedenti così come in quelle future gli Stati Uniti hanno una doppia esigenza: la prima è quella di stabilirsi in maniera definitiva nel territorio occupato e di averne la gestione politica diretta (rimando agli articoli di Giacomo Catrame sulla situazione Macedone); la seconda è quella di trascinarsi dietro ed in maniera subordinata gli stati alleati, con particolare riferimento all'Europa ed ora agli stati Islamici amici. In questo agire vi è la necessità di ribadire il concetto di egemonia politica e di stabilire in termini economici un predominio ad interesse nazionale. Non è un caso, come scrissi nell'articolo precedente sulla NATO, che la guerra nella ex-Jugoslavia sia stata classificata dallo stesso National Security Council americano come guerra di interesse nazionale e non come guerra umanitaria (come ideologicamente si sarebbe voluto far credere).

Le guerre statunitensi sono anche, e ribadisco anche, guerre contro l'imperialismo europeo, contro l'imperialismo arabo e contro l'imperialismo cinese. Che questo comporti la crescita della rivalità tra alleati è il prezzo che devono far pagare coloro che hanno interesse a dominare le sorti del pianeta nel prossimo secolo. L'accelerazione dell'amministrazione Bush in questa direzione è stata lampante: "Al potere da appena sei mesi, George W. Bush e la sua squadra di governo hanno irrigidito notevolmente le relazioni bilaterali con la Cina; rimesso in discussione il trattato Abm del 1972 con la loro decisione di mettere a punto il sistema di difesa antimissile Nmd; annunciato la loro intenzione di militarizzare lo spazio; bocciato il protocollo di Kyoto sull'ambiente; silurato il lavoro dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) sul controllo dei paradisi fiscali; fatto capire senza tante perifrasi che, nel contenzioso con l'Unione Europea sulla fiscalità offshore delle imprese americane, sono pronti a sfidare le decisioni dell'Organizzazione mondiale del commercio (OMC) e del suo braccio disciplinare (Ord)..." sino ad arrivare alle dichiarazioni di John Bolton, assistente di Collin Powell agli Affari Esteri, secondo cui "il diritto internazionale non esiste"[2]. Noi, tra l'altro, lo sapevamo già, ma nessuno di noi vanta incarichi ministeriali di rango.

"La cosiddetta 'strategia del primato' è stata elaborata dal Pentagono nel 1992 in un documento riservato, Defence Policy Guidance 1992 -1994 (Dpg). Scritto a quattro mani da Paul Wolfowitz e I. Lewis Libby, oggi segretario aggiunto alla difesa l'uno e consigliere per la sicurezza del vice presidente Dick Cheney l'altro, il documento esortava decisamente a ' impedire a qualsiasi potenza ostile il dominio di regioni le cui risorse le consentirebbero di accedere allo status di grande potenza, a dissuadere i paesi industriali avanzati da qualsiasi tentativo che miri a contestare la nostra leadership o a ribaltare l'ordine politico ed economico costituito e a impedire l'ascesa di un futuro concorrente globale".[3]

Si può affermare, quindi, con una buona certezza, che agli Stati Uniti d'America occorra un "pretesto" e qualcosa di più per intervenire militarmente nelle aree di interesse geo-strategico ed economico centrali al piano di dominio del globo. Da ciò a dire che si è trattato di un auto-attentato ne passa: non si possono non considerare, infatti, le ripercussioni negative degli eventi dell'undici settembre. Innanzitutto, ed è quello che gli rode maggiormente, lo smacco legato alla vulnerabilità del loro sistema militare e del loro apparato di "intelligence". Nessun esercito del mondo oserà sfidare gli States con gli stessi mezzi, pena la sconfitta immediata, ma lo farà con sistemi molto più "sofisticati" e micidiali, che tengano in piedi una situazione di terrore continuo fra la popolazione civile, e l'attentato alle Torri gemelle non è che un buon esempio di tale strategia. Penso che le parole di Bush siano purtroppo vere a proposito della "guerra di lunga durata", ma c'è un particolare che non dice, ovvero che questa sarà condotta anche nel cuore dell'Impero (Europa inclusa). A cascata gli effetti psicologici di tale attentato determineranno nel breve e medio periodo una propensione all'accumulo ed al risparmio, il che significherà mancati investimenti, borsa oscillante ed instabile[4] con forti movimenti speculativi decisamente poco controllabili ed un periodo di recessione piuttosto prolungato (diminuzione delle spese e possibili licenziamenti di massa). L'economia di guerra, da questo punto di vista, potrebbe avere la funzione keynesiana, di rilancio della domanda e dei consumi interni.

Dal punto di vista internazionale, alcuni analisti di questioni militari[5], affermano che l'intervento militare non sia per nulla semplice: bombardare l'Afghanistan vuol dire destabilizzare l'intera zona. Il Pakistan "obbligato" a sostenere gli Stati Uniti ha, al proprio interno, numerosi e maggioritari gruppi "islamici" integralisti disponibili a combattere in ogni modo contro il diavolo Occidentale. Inoltre la minor potenza dell'Afganistan rafforzerebbe i nemici storici di sempre, ovvero il Tagikistan e l'Iran: il Pakistan e l'Afganistan sono alleati degli statunitensi sulle questioni internazionali, il primo in funzione anti-Indiana ed il secondo in funzione anti-Iraniana.

Se a questo si aggiunge che sia l'Arabia Saudita, anch'essa storico alleato degli americani, è uno dei maggiori finanziatori della guerriglia cecena, la quale a sua volta, produce a man bassa terroristi disposti a tutto (un manuale sull'uso del Boeing americano è stato ritrovato tra i guerriglieri ceceni), che il Libano (sede degli Hezbollah) che l'Egitto (per la presenza di forti gruppi islamici) sono 'coinvolti', la situazione non si presenta certo facile. Bombardare il sud del Libano vorrebbe dire dichiarare immediatamente la guerra contro la Siria ed allargare da subito la zona del conflitto medio-orientale.

Chi può trarre un immediato vantaggio da questa situazione, ma a lungo termine nessuno può dirlo, sono la Russia ed Israele. La prima perché le verrebbe ridato un ruolo egemonico nell'area circostante e perché potrebbe stroncare definitivamente la resistenza cecena in virtù del fatto che ne sarebbero tagliati i rifornimenti principali. Israele perché può continuare a massacrare, giustificato dagli eventi internazionali, e dallo spirito "anti-arabo" di questi tempi.

Per concludere: è difficile prevedere uno scenario, quello che sappiamo è che gli Stati Uniti, hanno una pessima capacità previsionale delle loro azioni militari, o meglio, se la hanno, essa è a corto raggio e, come sappiamo, la storia non si ferma a richiesta.

Pietro Stara


Note

[1] "Così reclutai i kamikaze", La deposizione dell'uomo che rivelò i piani di Bin Laden, dagli inviati Carlo Bovini e Giuseppe D'Avanzo, in La Repubblica, 16 settembre 2001

[2] Philip S. Goulb, La nuova strategia imperiale, in Le Monde Diplomatique, Luglio 2001, pag. 2

[3] Ibidem, pag. 3

[4] Il Sole 24 ore ha dato notizia che sembra che Bin Laden, attraverso una sua collegata finanziaria, abbia investito in titoli (futures) assicurativi a scadenza mensile, puntualmente crollati dopo l'attentato.

[5] Invito a leggere gli articoli comparsi negli ultimi giorni sulla rivista telematica militare www.analisidifesa.it



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