Da "Umanità Nova" n.33 del 30 settembre 2001
Dibattito/Dopo Genova
Né buoni né cattivi
Le giornate di Genova devono far riflettere in maniera profonda su quello che
dovrà essere il movimento antiglobalizzazione in Italia.
La prima questione che ci colpisce su Genova è stata la forte
sovradeterminazione degli apparati istituzionali che dalla mobilitazione di
Praga in poi hanno cercato di incanalare le proteste di piazza su obiettivi a
loro congeniali quali la repressione più totale e la divisione del
movimento in buoni e cattivi.
Questo esito è stato ampiamente supportato e fatto proprio dalla
stragrande maggioranza dei mezzi di comunicazione, i quali hanno preparato il
terreno affinché l'opinione pubblica non avesse alcun dubbio sul chi
giudicare teppista e chi no.
In tale contesto, un anno di strategia della tensione (pacchi bomba più
o meno inesplosi, rivendicazioni più o meno accertate, veline dei
servizi segreti che prefiguravano scenari apocalittici) non ha fatto altro che
acuire e giustificare preventivamente la violenza e le ferocia messe in atto
dagli apparati repressivi in quei giorni.
Il risultato più tangibile di quest'operazione è stato il
progressivo abbandono della città di Genova da parte di migliaia dei
suoi abitanti: una città vuota, blindata, divisa e spogliata della sua
coscienza civile.
Di fronte a tutto questo, il movimento antiglobalizzazione si è trovato
impreparato operando delle scelte politiche errate.
Il primo grosso errore è consistito nel non aver saputo costruire, prima
dell'"evento", un efficace radicamento nel territorio: di qui, infatti, lo
svuotamento fisico e ideale di una città dalle forti tradizioni
rivoluzionarie e democratiche.
A questo sbaglio, si è aggiunta inevitabilmente la scelta di puntare
tutto sull'evento massmediatico: "dichiarazioni di guerra", grandi proclami,
copertine patinate, continua ricerca del riconoscimento istituzionale
tout-court, il tutto condito - guarda caso - da ipocrite velleità
scontriste. Risultato? Sconfitta "militare", repressione brutale, devastazioni
a go go, un morto in piazza - Carlo Giuliani.
Per tutto questo bisognava senz'altro trovare un capro espiatorio. il Black
Bloc rispondeva esattamente all'esigenza di identificare un colpevole. Essendo
difficilmente inquadrabili nelle tradizionali e obsolete categorie del
politichese italiano, i militanti del Black Bloc sono stati ridotti a dei meri
teppisti.
Nella concezione consumistica e semplificante che TV e giornali hanno della
comunicazione, i blacks sono stati agevolmente definiti come "GLI anarchici":
essendo poi i più "cattivi" tra gli anarchici, sono stati
sbrigativamente liquidati come "insurrezionalisti". Questo minestrone
terminologico non ha fatto altro che creare paura e confusione.
Le compagne e i compagni del Black Bloc giunti in Italia pensavano che anche
qui, così come avvenuto nelle precedenti mobilitazioni internazionali,
le loro azioni di attacco ai simboli del capitale si sarebbero potute
amalgamare con le iniziative promosse dal movimento italiano.
Invece, sia a causa dell'astuta sovradeterminazione messa in atto dalle forze
dell'ordine che dalla colpevole spettacolarizzazione dello scontro in chiave
egemonica di alcuni settori del movimento antiglobalizzazione italiano, si
è arrivati ad una situazione in cui l'improvvisazione, il
fraintendimento e l'ambiguità generali l'hanno fatta da padroni. D'altro
canto, le pratiche di piazza del Black Bloc hanno dato luogo a un esito
comunicativo incompreso e incomprensibile dalla maggior parte delle persone,
delle quali - a nostro avviso - non si può non tener conto.
In questo scenario si è riproposta la solita querelle tra violenza e
nonviolenza in cui chiunque sembra chiamato obbligatoriamente a rispondere con
una precisa "scelta di campo".
Noi ribadiamo ancora una volta che non accettiamo le semplificazioni utili alla
logica della divisione pretestuosa tra buoni e cattivi. Non siamo né
l'uno né l'altro poiché la violenza come "monopolio legittimo
della forza" è prerogativa esclusiva delle istituzioni e di tutti coloro
i quali pensano il divenire sociale come un processo autoritario. Si può
anche essere legittimamente in disaccordo con alcune pratiche di piazza, ma
nessuno può e deve aspettarsi che da parte nostra vengano fuori
dichiarazioni calunniose e di criminalizzazione nei confronti dei compagni del
Black Bloc.
Il movimento anarchico italiano, e qui facciamo più precisamente
riferimento all'esperienza di "Anarchici contro il G8", si è venuto a
trovare in una situazione di grossa difficoltà. L'evento Genova per la
sua delicata rilevanza internazionale, ha posto i compagni e le compagne di
fronte a difficili e ardue scelte operative.
In base allo scenario sopra citato, bisogna ammettere serenamente che molti dei
problemi verificatisi a Genova sono stati causati dalla scarsa conoscenza del
movimento anarchico internazionale. Probabilmente, se fossero state stabilite
per tempo relazioni reali anche solo in chiave operativa, si sarebbero potuti
evitare molti disagi. È indiscutibile che in diverse parti del mondo gli
anarchici e i libertari sono stati presenti sin dall'inizio nelle lotte contro
la globalizzazione neoliberista. In Italia pensiamo invece che gli anarchici
debbano rafforzare la loro presenza all'interno del movimento
antiglobalizzazione puntando sulla radicalità dei contenuti e su un
quotidiano lavoro di interazione con più soggetti diversi a livello
locale.
Solo tornando a fare Politica nel senso pregnante della parola, abbandonando
inutili steccati ideologici e sterili rivendicazioni di appartenenza, potremo
pensare a un reale cambiamento dello stato di cose presenti. "Un altro mondo
è possibile", e anche oltre.
Proprio parlando della dimensione locale, tre anni di lotte e mobilitazioni
contro la guerra, contro i Centri di Permanenza Temporanea per immigrati, per
la libertà di circolazione, a fianco dei Rom, contro i poteri criminali
globali (Vertice ONU sulla criminalità transnazionale), hanno portato
alla creazione di una rete di relazioni individuali e collettive che ha dato
vita a un coordinamento regionale - il Forum Sociale Siciliano - in cui gli
anarchici sono stati e continuano a essere parte fondante e propositiva. Questo
nuovo soggetto politico si propone l'effettivo radicamento nel territorio
siciliano a partire da problematiche reali di notevole importanza: crisi idrica
(privatizzazione dell'acqua), immigrazione/emigrazione, militarizzazione del
territorio, lavoro/nonlavoro, ambiente, comunicazione, ecc. Il Forum intende
promuovere forme orizzontali di aggregazione per una risoluzione dei problemi
tramite l'autogoverno del territorio. Dal locale al globale, per l'appunto.
Queste riflessioni nate prima e dopo le giornate del G8 a Genova, vogliono
essere un contributo al dibattito che si sta sviluppando dentro e fuori il
movimento anarchico. Un tentativo di fare chiarezza con noi stessi e non solo,
nell'auspicio che nel breve futuro si possa arrivare ad essere incisivi e
radicali ogni giorno, a prescindere dalle contingenze.
Nucleo F.A.S. "Giustizia e Libertà"
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