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Da "Umanità Nova" n.34 del 7 ottobre 2001
Le radici dell'odio
Intervista a Noam Chomsky
Noam Chomsky in un'intervista a Radio B92 di Belgrado, una settimana dopo
attacchi contro New York e Washington.
D: Cosa pensa a proposito di questi attacchi? Perché pensa siano
avvenuti?
R: Per rispondere alla domanda, dobbiamo prima identificare chi ha perpetrato
tali crimini. È generalmente assodato che, plausibilmente, essi trovano
origine nella regione mediorientale, e che questi attacchi devono probabilmente
esser fatti risalire alla rete di Osama Bin Laden, una complessa ed estesa
organizzazione, indubbiamente inspirata dallo stesso Bin Laden ma che non
necessariamente agisce sotto il suo diretto controllo. Prendiamo per buono che
sia vero. Quindi, per rispondere alla sua domanda, una persona di buon senso
proverebbe a indagare il pensiero di Bin Laden e i sentimenti di tutto quel
vasto serbatoio di consenso su cui egli può contare in tutta la regione.
Riguardo a tutto ciò, abbiamo una gran quantità di
informazioni.
Bin Laden è stato esaurientemente intervistato in tutti questi anni da
rilevantissimi esperti di questioni mediorientali, in particolare il più
importante corrispondente nella regione, Robert Fisk (London Independent), che
negli ultimi decenni ha accumulato una profonda conoscenza dell'intera area
tramite un'esperienza diretta. Un miliardario Saudita, Bin Laden, è
diventato un leader militante islamico durante la guerra condotta contro i
Russi per mandarli via dall'Afganistan. Egli era uno dei tanti fondamentalisti
religiosi reclutati, armati, e finanziati dalla CIA e dai loro alleati nei
servizi segreti pakistani per recare i maggiori danni possibili all'URSS -
molto probabilmente ritardando la loro ritirata, secondo molti analisti - anche
se non è molto chiaro se effettivamente abbia mai avuto diretti contatti
con la CIA, e questo non è comunque particolarmente importante.
Non sorprende che la CIA abbia scelto i più fanatici e crudeli
combattenti che potesse mobilitare. Il risultato finale sarebbe stata "la
distruzione di un regime moderato e la creazione di uno integralista, retto da
gruppi incautamente finanziati dagli americani" (London Times, dal
corrispondente Simon Jenkins, altro esperto di questioni della regione). Questi
"Afgani", come sono chiamati (molti, come Bin Laden, non sono cittadini afgani)
condussero operazioni terroristiche lungo il confine con la Russia, fino al suo
ritiro. La loro guerra non era contro la Russia, che peraltro essi disprezzano,
ma contro l'occupazione russa e i crimini commessi contro i Mussulmani.
Gli "Afgani", ad ogni modo, non esaurirono le loro attività. Si unirono
alle forze mussulmane bosniache durante il conflitto nei Balcani; gli Stati
Uniti non ebbero nulla da obiettare, così come tollerarono il supporto
dell'Iran nei loro confronti, per varie e complesse ragioni che non possiamo
scandagliare ora, se non per rilevare che il triste destino dei Bosniaci non
era per loro importante. Gli "Afgani" inoltre combattono i russi in Cecenia e,
molto probabilmente, sono coinvolti nella campagna terroristica messa in atto a
Mosca e un po' in tutto il paese. Bin Laden e i suoi "Afgani" si sono poi
rivoltati contro gli Stati Uniti nel 1990 dopo l'insediamento di basi
permanenti USA in Arabia Saudita - dal loro punto di vista, un'integrazione
all'occupazione russa dell'Afganistan, ma molto più significativa per
via dello speciale status che ha l'Arabia Saudita come guardiana dei luoghi
più sacri.
Bin Laden è inoltre agguerrito oppositore dei regimi corrotti e
repressivi di quella regione, che egli considera "non Islamici", compreso il
regime Saudita, il più fondamentalista del mondo, a parte quello dei
talebani, e grande alleato degli USA sin dalle sue origini.
Bin Laden disprezza gli USA per il loro sostegno a questi regimi. Come altri
nella regione, egli si sente insultato dal tradizionale sostegno degli USA alla
brutale occupazione militare israeliana nei territori, giunta ora al
trentacinquesimo anno: Bin Laden condanna il decisivo intervento diplomatico,
militare ed economico di Washington in sostegno di questo assedio criminale in
tutti questi anni, la quotidiana umiliazione alla quale i palestinesi sono
costretti, la continua espansione degli insediamenti dei coloni mirati alla
frammentazione dei territori occupati a mò di cantoni Bantù e al
controllo delle risorse, la continua violazione della Convenzione di Ginevra e
tutti gli altri atti che sono riconosciuti come dei crimini in quasi tutto il
mondo, tranne che negli USA, i quali hanno molte responsabilità.
E come altri, Bin Laden si oppone al sostegno di Washington a questi crimini
unitamente al prolungato e decennale assalto anglo-statunitense contro la
popolazione civile dell'Iraq, assalto che ha devastato quella società e
causato centinaia di migliaia di morti consolidando nel frattempo il potere di
Saddam Hussein - che era un alleato privilegiato di USA e Gran Bretagna nel
corso delle sue peggiori atrocità, come lo sterminio dei Curdi, come
certamente ricordano bene i popoli di quella regione, anche se gli occidentali
preferiscono dimenticarlo.
Questi sentimenti sono diffusamente condivisi. Il Wall Street Journal (14
Settembre) ha pubblicato un sondaggio d'opinione somministrato a ricchi e
benestanti mussulmani della regione del Golfo Persico (banchieri, liberi
professionisti, uomini d'affari fortemente legati agli USA). Tutti hanno
più o meno espresso lo stesso punto di vista: risentimento nei confronti
delle politiche USA in sostegno dei crimini di Israele, delle politiche di
ostacolo a un consenso internazionale su una risoluzione diplomatica in luogo
della devastazione della società civile irachena; delle politiche di
sostegno ai regimi repressivi in tutta la regione, e l'imposizione di barriere
allo sviluppo economico tramite "il supporto alla nascita di regimi
repressivi". Tra la grande maggioranza delle persone che soffrono la fame e
l'oppressione, sentimenti del genere sono ancor più forti, e
costituiscono la fonte della furia e della disperazione che porta agli
attentati-suicidi, così come comunemente compreso da coloro che sono
coinvolti in questi fatti.
Gli USA, e la maggior parte dell'Occidente, preferiscono una versione
più comoda. Tanto per citare l'editoriale del N.Y. Times del 16
Settembre, gli attentatori hanno agito nel "disprezzo dei valori cari
all'Occidente come la libertà, la tolleranza, la prosperità, il
pluralismo religioso e il suffragio universale". Le azioni degli USA sono
irrilevanti, e non c'è neanche bisogno di menzionarle (Serge
Schmemann).
Questo è un conveniente quadro della situazione e questa presa di
posizione è abbastanza usuale nella tradizione intellettuale; infatti
è molto vicina alla norma. Succede che sia completamente difforme da
quello che sappiamo, ma ha il "merito" di rispondere ad esigenze di
autocompiacimento e di supporto acritico al potere costituito.
È inoltre ampiamente riconosciuto che Bin Laden e altri come lui stanno
pregando per "un grande attacco agli stati mussulmani", che potrà
provocare "una larga adesione di fanatici alla sua causa".
E questo non stupisce. L'innalzamento della tensione e della violenza è
sempre molto apprezzato dagli elementi più duri e intransigenti di
entrambe le parti in causa, cosa che si verificò evidentemente nella
recente storia dei Balcani, tanto per fare uno dei tanti esempi possibili.
D: Che conseguenze ci saranno nella politica interna degli USA e nella percezione che l'America ha di sé?
R: La politica USA è stata già resa nota. Al mondo viene chiesta
una "scelta di campo": unitevi a noi, o preparatevi "ad affrontare sicuri
scenari di morte e distruzione". Il Congresso ha autorizzato l'uso della forza
contro ogni individuo o paese che il Presidente avrà ritenuto coinvolti
negli attacchi, un pensiero che ogni sostenitore considera ultra-criminale. Ed
è facilmente dimostrato. Chiediamoci semplicemente come le stesse
persone avrebbero reagito se il Nicaragua avesse adottato questa posizione dopo
che gli USA avevano respinto gli ordini della Corte Internazionale per far
cessare il suo "uso illegale della forza" contro il Nicaragua e avevano posto
il veto a un risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU che richiamava
tutti gli stati al rispetto della legge internazionale. E quell'attacco
terroristico fu anche molto più duro e distruttivo.
Per come tali questioni sono percepite qui, è tutto molto più
complesso. Bisogna tener ben presente che i mezzi di comunicazione e le
élite intellettuali hanno solitamente le loro particolari agende.
Inoltre, la risposta a questa domanda è, significativamente, una
questione di decisioni: come in molti altri casi, con sufficiente dedizione ed
energia, saranno molti gli sforzi per stimolare il fanatismo, la furia cieca e
la sottomissione all'autorità.
D: Si aspetta che gli USA cambino radicalmente la loro politica estera?
R: La risposta iniziale è stata il richiamo all'intensificazione delle
politiche che stimolano la furia e il risentimento utile al rafforzamento del
sostegno all'attacco terroristico, e alla ricerca della definizione del
programma degli elementi più duri della leadership: militarizzazione,
irregimentazione interna, attacco alle politiche sociali. Ci si deve aspettare
tutto questo. Ancora, gli attentati e l'escalation della violenza che essi
generano, tendono a rinforzare l'autorità e il prestigio degli elementi
più brutali e repressivi di una società. Ma non c'è niente
di inevitabile nella sottomissione a questo stato di cose.
D: Dopo questo primo shock, si è creata molta paura riguardo a quella che potrà essere la risposta degli USA. Ha paura anche lei?
R: Qualsiasi persona di buon senso avrebbe paura della possibile reazione -
quella che è stata peraltro annunciata, e che risponde alle preghiere di
Bin Laden. È molto probabile che ci sarà un innalzamento del
livello della violenza come al solito, ma questa volta su scala ancora
maggiore.
Gli USA hanno già chiesto al Pakistan di tagliare gli aiuti alimentari e
non solo che ancora tengono in vita la popolazione afgana. Se tale richiesta
verrà accolta, un numero imprecisato di persone che non hanno il
più remoto coinvolgimento con il terrorismo morirà, milioni
possibilmente. Lasci che glielo ripeta: gli USA hanno chiesto al Pakistan di
uccidere milioni di persone che sono esse stesse vittime dei Talebani. Questo
non ha niente a che fare col concetto di vendetta. È a un livello etico
ancora inferiore. Il significato della cosa è amplificato dal fatto che
se ne parla nel corso degli eventi, senza commenti, e presto ce ne renderemo
conto a caro prezzo. Possiamo apprendere molto del livello etico della cultura
intellettuale occidentale osservando le reazioni a questa richiesta. Penso che
possiamo ragionevolmente confidare sul fatto che se la popolazione americana
avesse la minima idea di quello che si sta per fare in suo nome, resterebbe
certamente inorridita. Sarebbe a tal proposito istruttivo andare a ricercare i
precedenti storici.
Se il Pakistan si rifiuta di soddisfare le richieste USA, potrebbe subire un
attacco, con conseguenze imprevedibili. Se il Pakistan si sottomette alla
volontà degli USA, non è impossibile che il governo venga
rovesciato da forze politiche come i Talebani, che in questo caso potrebbero
contare su armi nucleari. Tutto questo avrebbe ripercussioni su tutta la
regione, compresi i paesi produttori di petrolio. A questo punto stiamo
parlando di una guerra che avrebbe conseguenze devastanti per tutta
l'umanità.
Anche se non si dovessero verificare tutte le possibilità ipotizzate,
è verosimile che un attacco contro l'Afganistan avrebbe effetti che la
maggior parte degli analisti si aspettano: si ingrosserebbero le file dei
sostenitori di Bin Laden, così come lui spera. Anche se venisse ucciso,
farebbe poca differenza. La sua voce verrebbe ascoltata in cassette che sono
già in circolazione nel mondo islamico, ed è probabile che
verrebbe venerato come un martire fonte di ispirazione per tutti gli altri.
È importante tenere a mente che, vent'anni fa, un attentato-suicida - un
camion lanciato a tutta velocità contro una base militare USA - fece
sì che la più potente potenza militare del mondo lasciasse il
Libano. Le possibilità che si verifichino tali attentati sono infinite.
Ed è molto difficile ostacolarli.
D: "Il mondo non sarà mai più lo stesso dopo l'11 settembre del 2001". Lo pensa anche lei?
R: Gli orrendi attacchi terroristici di Martedì 11 settembre sono
qualcosa di realmente nuovo nello scenario internazionale, non tanto per
entità o caratteristiche, ma per l'obiettivo. Per gli Stati Uniti,
questa è la prima volta dalla guerra del 1812 che il territorio
nazionale subisce un attacco, per giunta intimidatorio. Le sue colonie sono
state attaccate, ma non il territorio nazionale in sé e per sé.
In questi anni gli USA hanno praticamente sterminato le popolazioni indigene,
conquistato metà del Messico, sono intervenuti violentemente nelle aree
circostanti, hanno conquistato le Hawaii e le Filippine (ammazzando centinaia
di migliaia di filippini), e per metà del secolo scorso in particolare,
hanno aumentato i loro sforzi per dominare gran parte del mondo. Il numero
delle vittime è colossale.
Per la prima volta, le armi si sono rivolte nella direzione opposta. Lo stesso
si può dire, anche più drammaticamente, dell'Europa. L'Europa ha
sofferto distruzioni immani, ma a causa di guerre interne, conquistando il
mondo nel frattempo con estrema brutalità. Non è stata attaccata
da vittime esterne ad essa, con rare eccezioni (l'IRA in Inghilterra per
esempio). È dunque naturale che la NATO chiami tutti a raccolta per
sostenere gli USA; centinaia di anni fatti di violenza imperialista hanno un
enorme impatto sulla cultura intellettuale ed etica.
È corretto dire che questo è un evento nuovo nella storia del
mondo, non per l'entità dell'orrore -deplorevole - ma per l'obiettivo.
Come l'Occidente deciderà di reagire, è una questione di vitale
importanza. Se i ricchi e i potenti scelgono di tener fede alle proprie
tradizioni secolari fatte di estrema violenza, contribuiranno all'innalzamento
della violenza, in una dinamica ormai famigliare, con conseguenze a lungo
termine che potrebbero essere terribili. Certo, ma ciò non vuol dire che
sia inevitabile. Una fetta di persone in seno alle società più
libere e democratiche possono indirizzare le politiche verso una dimensione
più umana e onorevole.
Traduzione di Skeggia
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