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Da "Umanità Nova" n.34 del 7 ottobre 2001
Dibattito/guerra1
La rivoluzione necessaria
Siamo in guerra. Lo ha dichiarato il supremo governo mondiale, quello statunitense.
Sarà una guerra di "lunga durata", anche quest'affermazione proviene dalla stessa autorità.
Sarà la prima guerra mondiale del XXI secolo. Sarà una guerra contro "nessuno stato", quindi una guerra contro l'umanità. Già le recenti guerre hanno dimostrato come le vittime fossero le popolazioni "civili" in relazione esponenziale rispetto a quelle del passato. La carne da cannone non sono più i soldati delle trincee o le fanterie campali bensì i frequentatori dei mercati rionali, i lavoratori delle fabbriche e degli uffici.
Ciò era vero, tremendamente vero, anche prima dell'11 settembre del 2001.
Ma, dopo quella fatidica data, é ancor più vero.
Non ci sono parole, al di là della retorica, per esprimere concetti che descrivano la logica di dominazione e di annientamento che si delinea di fronte a noi.
Se la guerra é la prosecuzione della politica con altri mezzi, niente di più vero ci si prospetta nei prossimi mesi ed anni.
La politica, l'amministrazione del potere, che si é palesata nel recente decennio ha accentuato le logiche di annientamento di ogni opposizione all'esercizio del potere. Il tratto caratteristico di questa politica é stata la sua mondializzazione, la sua uniformità, la sprezzante determinazione nel perseguimento dei propri obiettivi. Ciò che é passato sotto il termine di globalizzazione racchiude l'insieme di questi eventi.
Negli anni più recenti si é formato un vasto movimento mondiale contro la globalizzazione che ha visto svilupparsi una contro-politica nella quale componenti metropolitane e componenti rurali (intendendo la città e la campagna non come dimensioni regionali ma planetarie) contestavano gli effetti del movimento di uniformazione del dominio. Questo movimento aveva la caratteristica di essere guidato da "nessuno stato".
Spesso chi, come noi, vi partecipava aveva la sensazione di condurre un'azione inefficace vista la sproporzione delle forze in campo. Inefficace ed inessenziale, perché la posta in gioco avrebbe presupposto una "soluzione finale", una catarsi dalla quale poter ribaltare la logica delle cose ma, tale catarsi, presupponeva un Davide ed un Golia che sfuggiva alla lettura razionale della realtà.
Golia ha preso forma nella dichiarazione di guerra.
Governi illegittimi anche sotto il profilo "democratico" sentenziano la guerra mondiale contro il "terrorismo". La logica ci direbbe di non preoccuparci: tali governi hanno dichiarato guerra a loro stessi visto che il terrorismo é opera dei governi. L'esperienza, invece, ci dice che la guerra sarà contro di noi. Noi non come gruppo rivoluzionario, noi come persone, noi come lavoratori, noi come consumatori.
La politica di annientamento che ha preso forma nello sterminio per fame, siccità e malattie di milioni di persone, nei bombardamenti sulle città, nella compressione delle libertà sociali e civili troverà un'accelerazione esponenziale nello stato di guerra.
Essendo in guerra, i governi potranno dimostrarsi più insensibili di prima ad ogni obiezione "umanitaria", potranno agire con azioni "coperte" contro chiunque possa, poi, essere fatto passare come un terrorista, potranno usare anche la bomba atomica nelle regioni in cui devono essere creati dei corridoi deserti di uomini, abitazioni, piante ed animali.
Una politica di guerra richiederà anche un'economia di guerra. Nessun sostegno ai consumi delle famiglie, licenziamenti di massa nelle produzioni di largo consumo, militarizzazione dei rapporti di lavoro nelle produzioni belliche e nei servizi alla logistica.
Il dumping finanziario prodottosi in questi quindici giorni ne é una pallida rappresentazione.
Di fronte ad ogni crisi, il potere cerca di accelerare le soluzioni per impedire l'auto organizzazione dal basso. Utilizzando la frase retorica "la migliore difesa é l'attacco", sembra proprio che Golia voglia anticipare la "soluzione finale", premendo sull'acceleratore delle politiche "globalizzanti". Ciò che abbiamo denunciato e combattuto negli anni più recenti prende nuove forme ed accentua i suoi caratteri negativi proprio dentro lo stato di guerra. Nello stato di guerra non vi sarà spazio per le contestazioni delle politiche dei "governi mondiali", non vi sarà spazio per la dialettica movimenti - istituzioni, non vi sarà spazio per le diplomazie. Nello stato di guerra i "commandos" statali potranno agire indiscussi ed indisturbati per mettere a ferro e fuoco i centri sociali, le sedi sindacali i circoli anarchici e dei vari movimenti di opposizione, le manifestazioni popolari.
La cronaca di questi quindici giorni ce ne dà una pallida rappresentazione.
In questa situazione non c'è nessuna Lugano in cui rifugiarsi.
L'unica speranza che abbiamo, ancora una volta non come gruppo rivoluzionario ma come umanità, é ribaltare la guerra e fare la rivoluzione.
Oggi non si tratta più di temere un bombardamento perché si sono rotte le compatibilità del sistema. Il bombardamento ce lo becchiamo comunque.
L'umanità si trova nella deprecata condizione di non avere "nulla da perdere" e di essere accomunata dal medesimo destino ad est come ad ovest al nord come al sud.
Il ruolo che ci attende, questa volta sì, come gruppo rivoluzionario, é quello di organizzare la rivoluzione.
Contro lo stato di guerra dobbiamo opporre il disfattismo rivoluzionario, dobbiamo chiamare a raccolta i sindacati e le municipalità, dobbiamo mettere in pratica l'autogestione delle fabbriche, degli uffici, dei trasporti, dei quartieri e dei paesi. Dobbiamo far sì che prendano forma delle contro - istituzioni tali da poter sottrarre terre, mezzi, persone allo stato di guerra.
In questa iniziativa possiamo contare su un vasto consenso ed una vasta partecipazione perché anche le forze riformiste non hanno più spazio di manovra: o con lo stato di guerra o contro di esso. In questa iniziativa possiamo internazionalizzare il movimento rivoluzionario sottraendo le popolazioni asiatiche ed africane dalla morsa dei nazionalismi e delle teocrazie.
Un altro mondo é possibile. In questa situazione é l'unica speranza per l'umanità intera.
Oscar Afone
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