|
Da "Umanità Nova" n.36 del 21 ottobre 2001
Le "ragioni" di una guerra senza ragione
Le impudiche dichiarazioni di politici e militari
È divertente notare come sia un dato oramai
appurato che le origini e le forme di quello che in occidente viene definito
come radicalismo islamico siano diretta conseguenza della colonizzazione prima
e delle politiche di destabilizzazione geo-politiche poi. Le ragioni dell'uno e
dell'altra sono ascrivibili a diverse motivazioni che nel corso dell'ultimo
secolo hanno portato numerose potenze occidentali a muoversi e a far muovere lo
scacchiere internazionale. Non aggiungerei nulla dicendo che spinta essenziale
di tali sommovimenti sono da ricercarsi negli elementi propulsori, ovvero in
quello economico ed in quello ideologico-culturale. Si può ben pensare
che ognuno di essi sia funzionale all'altro e che entrambi costruiscano il
senso di ciò che è avvenuto e ciò che sta avvenendo.
Voglio citarvi, a tal proposito, alcuni nemici, in modo tale da contribuire a
fornire documentazione altra alla forza delle nostre ragioni. Inizierei da
un'intervista [1] rilasciata da Zbigniew Brezinsky alla rivista francese "Le
Nouvel Observateur" nell'insospettabile gennaio 1998. Brzezinsky ammette che la
CIA iniziò ad aiutare i mujaheddin afgani ben sei mesi prima
dell'intervento sovietico, in modo tale da accelerare il processo di invasione
imperiale dell'allora URSS. Le notizie di regime ci hanno sempre raccontato, a
tale proposito, che gli aiuti furono seguenti all'intervento e non precedenti.
Ma quale era lo scopo precipuo degli statunitensi? "Il giorno che i sovietici
hanno varcato il confine afgano ho scritto al presidente Carter che adesso
avevamo l'opportunità di dare all'Unione Sovietica la sua guerra del
Vietnam." Successivamente il giornalista gli domanda: "e nessuno di voi si
è pentito di avere supportato l'integralismo ed il terrorismo islamico
con armi e addestramento?" Brezinsky, con una "innocente" tranquillità,
gli risponde: "Cosa è più importante per la storia del mondo? I
talebani od il collasso dell'impero sovietico? Qualche mussulmano esaltato o la
liberazione dell'Europa Centrale e la fine della guerra fredda?" Ma come, si
indispettisce il giornalista "qualche esaltato musulmano? Ma è stato
detto e ripetuto che il fondamentalismo islamico rappresenta oggi una minaccia
mondiale".
E Brzezinski conclude: "Balle. Si dice che l'occidente abbia una politica
globale riguardo l'islam. Ciò è stupido. Non esiste un islam
globale. Prova a guardare all'islam in modo razionale e senza demagogia o
emozione. È la religione principale al mondo ed ha un miliardo e mezzo
di seguaci. Ma cosa lega il fondamentalismo Saudita, la moderazione di stati
quali il Marocco, il militarismo Pakistano, il filo occidentalismo Egiziano e
gli stati laici dell'Asia centrale? Nulla più di ciò che unisce
le nazioni cristiane." [2] Da questa breve intervista, quanto veritiera (non
aveva motivi contingenti per dire il falso come guerre o attacchi terroristici
vicini), emergono alcune valutazioni di rilievo. Primo: che le guerre
così come i sostegni a regimi vari (vendite di armi appoggi a golpe e
quant'altro) sono frutto non di logiche "occidentali" od "orientali", ma di
interessi politici ed economici ben precisi e talvolta, come già detto
in più occasioni, in contrasto tra loro. Secondo: il mondo arabo teme
visceralmente le proprie componenti pan-islamiste (fondamentaliste in gran
parte) più che lo stesso l'Occidente sia perché rompono con la
logica degli interessi statuali, sia perché sono elementi di forte
destabilizzazione interna ed infine perché minano ideologicamente il
primato di tolleranza (esclusivamente legato agli affari s'intende) di cui gran
parte degli stati arabi si fanno portatori. Terzo: se non hanno mai avuto la
possibilità di contarci palle sul loro sostegno al mondo islamico
"integralista" ora ne hanno sempre di meno. Le loro favolette
anti-terroristiche è bene che inizino a raccontarle soltanto più
ai loro fidi segugi e militanti di partito.
Ma torniamo "a bomba" sul Vietnam: il paragone con il disastro militare
statunitense sembra preoccupare e non poco diversi analisti militari. Come
sempre nulla di simile, ma è interessante però segnalare, dalle
loro stesse parole, la valutazione del tipo di intervento militare che è
stato messo in atto contro l'Afganistan e delle possibili conseguenze
"umanitarie" di tali operazioni di polizia internazionale. È quello che
fa in questi giorni F.B. sulla rivista telematica militare www.analisidifesa.it
[3]
F.B, ad un certo punto, dopo aver fatto il paragone tra gli eserciti degli
Stati Uniti (grosso elefante) e l'Afganistan (agile mosca), si pone una domanda
diretta e semplice, ovvero: "Quali saranno gli obiettivi strategici di una
Forza Armata navale, di terra e aerea in un contesto come quello Afgano?" E si
risponde così: "A mio avviso assolutamente simile, se non peggiore, a
quello Vietnamita: nessun vero obiettivo industriale o strategico da colpire,
un'area territoriale aspra ed impervia, esiguo il numero dei sostenitori
interni... scarsissima fiducia dei paesi confinanti (...) le inevitabili
perdite fra i civili" potrebbero far precipitare il conflitto in un possibile
"Vietnam". Lasciamo perdere le comparazioni di notevole dubbio con il passato
conflitto. Ciò che l'autore ammette candidamente nel suo articolo
è che in quel territorio non esistono veri obiettivi strategici di tipo
industriale o militare. La domanda che gli porrei sarebbe: per quale altro
motivo hanno deciso di bombardare e di inviare, contemporaneamente, delle
truppe di terra? Per combattere il terrorismo? Ci sono più cose che non
tornano. Rimanderei allora i lettori alle precedenti analisi sul contesto
geo-politico mondiale e sul fatto che in quell'area si gioca una delle partite
più importanti del nuovo secolo: acqua, petrolio, metano, droga ed armi.
Se a questo si aggiunge che con l'intervento di terra si costituirebbe un
"presidio militare" permanente degli Stati Uniti di fronte al "concorrente"
numero uno, la Cina, magari potremmo avere più di una spiegazione.
Voglio concludere l'articolo con un'altra chicca proveniente dalle fila
militari. Si tratta dell'articolo di Claudio Maria Polidori [4]: l'autore cerca
di evidenziare la continuità e le discontinuità tra l'attuale
guerra e quella precedente in Kosovo e parlando dei profughi, visti come
"prodotto" negativo delle operazioni belliche ed aiuto indiretto al regime di
Kabul, ci dice quanto segue: "L'esperienza dell'ultimo decennio ci ha, infatti,
insegnato che le guerre possono essere combattute anche strumentalizzando le
emergenze umanitarie ed in particolare determinando lo spostamento di grandi
masse da una regione all'altra in modo da ostacolare le operazioni militari
avversarie. Durante il conflitto serbo-bosniaco, ad esempio, ci si accorse che
lo spostamento massiccio di civili non era un caotico effetto della guerra, ma
piuttosto un evento calcolato, deliberato, non solo allo scopo di creare zone
etnicamente pulite, ma anche per coprire i movimenti delle truppe e riparare
talune aree d'interesse militare dagli attacchi avversari." L'autore si
riferisce esclusivamente al governo Serbo, ma nulla ci impedisce di affermare
che la medesima tattica (i profughi e gli aiuti militari come strumenti di
guerra) è stata ampiamente utilizzata dalla NATO come pretesto per
intervenire militarmente in quelle aree e non andarsene più. Le scuse si
trovano sempre, ma al medesimo tempo sono sempre gli stessi a pagarla. Una
cosa, però, ho capito da un pezzo: non abbiamo bisogno di costruire
delle prove a sostegno delle nostre tesi, lo fanno già piuttosto bene i
nostri avversari.
Pietro Stara
Note
[1] "Come io e Jimmy Carter abbiamo creato i Mujaheddin" Ora si trova nel sito
pacifista www.peacelink.it
[2] Ibidem
[3] F.B., Speciale guerra al terrorismo, Siamo di fronte ad un nuovo Vietnam?,
Analisidifesa, ottobre 2001
[4]Claudio Maria Polidori, Speciale guerra al terrorismo, Nuovi conflitti,
Nuove strategie, in Analisidifesa, ottobre 2001
| |