![]() Da "Umanità Nova" n.36 del 21 ottobre 2001 Sfuggire all'ipnosi terrorista
Più la violenza è spettacolare e più banalizza le infinite
violenze che ognuno subisce nella quotidianità. Queste finiscono per
polverizzarsi, scomparire, sembrare minuzie da nevrotici, riprovevoli
frustrazioni.
Se è vero che per un verso le azioni terroristiche possono essere considerate come i bombardieri strategici dei poveri, speculari anche nel loro carattere indiscriminato, va osservato anche come da qualche decennio il terrorismo è entrato nell'era dello spettacolo, assumendone pienamente codici e logica ben prima dell'11 settembre 2001; basti infatti ricordare quanto accadde alle Olimpiadi di Monaco, lo stesso rapimento Moro in Italia o la strage di Atlanta. L'attacco a New York ha però rappresentato anche un abissale salto di qualità, in quanto nei 18 minuti intercorsi tra i due micidiali schianti contro le Twin Towers il terrorismo postmoderno ha dimostrato di essersi ormai scientificamente attrezzato per sfruttare il linguaggio della serialità televisiva, interagendo con precisione coi tempi della comunicazione moderna. Infatti se solo una delle due fosse stata colpita, l'effetto catastrofico sarebbe stato il medesimo, ma di certo non avrebbe conseguito lo shock mediatico causato dalla seconda strage in diretta. Tra i tanti possibili obiettivi politicamente e militarmente possibili, dalla Casa Bianca a Fort Bragg, ben 2 dei 4 aerei-kamikaze sono stati destinati a due simboli che racchiudono in sé l'immagine di centri del potere economico USA, pieni di casseforti, computer, telecamere, etc. e popolati da migliaia di persone erroneamente tutte ritenute dall'immaginario collettivo come eleganti, danarose e vincenti. L'immagine di quei luoghi veicolata infatti da un'infinità di film, serial, soap opera, pubblicità, video-clip certo non mostra le fatiche di un lavavetri portoricano o di un fattorino cinese o di un'addetta alla pulizie abitante nel Bronx; così finisce comunque per accreditarsi, anche a sinistra, l'idea che si tratti di una vendetta dei dannati della terra. Si sente infatti affermare che tale evento è frutto della politica dell'Impero ai danni di tanti popoli affamati e tagliati fuori dal nostro progresso e dal nostro benessere e che di fronte alla loro vendetta da bravi democratici li possiamo anche capire ma allo stesso tempo dobbiamo fermarli, ovviamente con "azioni mirate". In Occidente torna quindi in auge l'equazione povero = pericolo, con l'aggravante della cosiddetta superiorità culturale e di valori, ma paradossalmente si nutre anche di critica anti-globalizzazione; per questo come osservato giustamente da Franco La Cecla su Alias "bisogna stare attenti perché questa lettura affonda le proprie radici proprio in una simbologia della ricchezza che tutti crediamo condividere. Ma ci sono popoli poveri che non hanno nessuna voglia di diventare ricchi e soprattutto che non hanno voglia di violenza contro i ricchi, semmai di un po' di giustizia (...) Non c'è un fronte islamico, soprattutto non c'è un fronte dei poveri che ha dichiarato guerra ai ricchi. È consolante poterlo credere, ma se c'è un fronte spesso è un fronte interno (...) Proprio la contrapposizione tra civiltà riduce il tutto a una logica simbolica di causa/effetto, dimenticando che qui in ballo non ci sono simboli, ma persone, enormi interessi economici e strategici". Sono senz'altro i governi, locali, nazionali e sovranazionali, quasi sempre preceduti dagli organismi economici di livello corrispondente, quelli che stanno insistendo nell'evocare lo spettro di una crisi globale, ben consapevoli di stare producendo le premesse di uno stato d'eccezione in cui, con il consenso o con il contro-terrore di Stato, sia possibile imporre ai sudditi abituati all'attuale livello di benessere una politica di sacrifici, lacrime e sangue. Sfuggire allo stato d'ipnosi con cui, attraverso la spettacolarizzazione della morte nel cuore della metropoli, si cerca di azzerare la questione sociale, non solo è indispensabile per non dover disarmare l'opposizione al dominio ma anche per sviluppare una critica radicale della guerra. Anti
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