Da "Umanità Nova" n.36 del 21 ottobre 2001
Controllo sociale
Una società di prigionieri
Ma chi sorveglierà i sorveglianti?
Giovenale, Satire
Lo stato di guerra sta comportando in USA le prime conseguenze sul piano
repressivo: maggiori poteri agli organi di polizia e ai servizi segreti,
approvazioni di leggi liberticide, autorizzazione a spiare, controllare,
intercettare, schedare preventivamente la vita dei cittadini .
Il momento è indubbiamente favorevole e l'allarme terrorismo diventa il
pretesto per eliminare le ultime resistenze liberal in materia di controllo
sociale.
In realtà niente di particolarmente nuovo sotto il sole della
repressione, ma si estende ulteriormente il territorio che lo Stato sorveglia,
fino a coincidere praticamente con tutta la società, e soprattutto si
sviluppa negli individui la paura-certezza di essere costantemente sotto
l'occhio del potere. E l'indurre questa psicosi di massa può servire
molto di più che l'effettivo controllo o la repressione, perché
chi sa o crede di essere vigilato diventa il primo poliziotto di sé
stesso.
Mi viene in mente un compagno che, durante gli scontri a Genova, con un sasso
in mano mi chiedeva in continuazione se vedevo qualche telecamera nascosta;
alla fine, nell'incertezza, ha buttato via il pietrone.
Il controllo sociale continua ad essere principalmente attuato attraverso le
sequenze alfanumeriche che contraddistinguono ogni nostro documento
d'identità, i conti bancari, le schede telefoniche, il codice fiscale,
gli acquisti, etc.
Numeri e numeri che ricreano le condizioni del Panopticon ideato da Bentham nel
1791. Il Panopticon era infatti originariamente il modello di carcere con forma
semicircolare in cui le celle consentivano alle guardie di controllare i
detenuti mediante un ingegnoso sistema di illuminazione che lasciava vedere
senza essere visti. Di quella idea rimangono il principio dell'ispezione e
quello della solitudine. Nel carcere di Bentham, il prigioniero era solo ma
controllato, sotto lo sguardo implacabile e freddo di un potere asimmetrico che
generava in lui insicurezza, dominio assoluto, distruzione di ogni
intimità.
Qualcosa del genere lo ritroviamo anche in "1984" di G. Orwell,
dove i media elettronici sono gli agenti di una manipolazione delle masse che
dilaga, s'insinua in ogni angolo della vita secondo una prassi di
impercettibile invadenza che nulla lascia indeterminato e oscuro, affidato alla
variabilità delle azioni.
Bentham e Orwell hanno raccontato in modo profetico la condizione allo stesso
tempo sociale e istituzionale della cosiddetta modernità: una
società di prigionieri, sotto il gioco della sorveglianza a distanza che
va aldilà delle necessità di un mondo del lavoro dominato dal
controllo e di un ordine razionale ed efficientistico di anonime burocrazie.
Infatti anche se nessuno ci sta spiando in senso stretto, la sensazione
prevalente che s'insinua nella testa delle persone è quella del
vigilato: loro sanno tante cose su di noi, mentre noi non sappiamo quanto loro
sanno di noi, perché lo sanno e con chi altri condividono questo loro
sapere.
Tale sistema ci appare subdolo e irresistibile, in quanto la sua
inafferrabilità e invisibilità viene accresciuta dalla sua
attuale natura elettronica: dio ti vede, lo stato anche meglio.
Viviamo quindi, a livello di psicologia interpersonale, una sindrome della
sorveglianza estremamente più nociva della stessa sorveglianza: la
tensione continua di sentirsi osservati, scrutati, seguiti non riguarda
più soltanto gli uomini d'affari e gli agenti segreti, ma è ormai
una percezione collettiva.
Persino le nostre intenzioni ci appaiono scoperte in anticipo.
La sorveglianza, con i suoi miti, attraversa ormai vita lavorativa, vita civile
e vita privata, al punto che trasmissioni televisive da guardoni come Il Grande
Fratello, o altre più soft ma ugualmente intrusive nella sfera
personale, sono lo specchio fedele di una realtà in cui ci si rassegna a
non avere e rispettare più alcun segreto.
In tale contesto il controllo si va sostituendo progressivamente alla
coercizione fisica come mezzo di mantenimento dell'ordine e dello sfruttamento
economico, ma perché funzioni occorre in primo luogo che crediamo ai
suoi miti.
La loro utopia globale è quella di sorvegliare la società, in
tempo di guerra ma soprattutto di pace.
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