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Da "Umanità Nova" n.37 del 28 ottobre 2001
Il federalismo dei padroni
Libro bianco sul mercato del lavoro in Italia
"Assai più che semplice titolare di un "rapporto
di lavoro", il prestatore di oggi e, soprattutto, di domani, è un
collaboratore che opera all'interno di un "ciclo". Si tratti di un progetto, di
una missione, di un incarico, di una fase dell'attività produttiva o
della sua vita. Il percorso lavorativo è segnato da cicli in cui si
possono alternare fasi di lavoro dipendente ed autonomo, in ipotesi
intervallati da forme intermedie e/o da periodi di formazione e
riqualificazione professionale."
Dal "Libro bianco sul mercato del lavoro in Italia"
Sul "Libro Bianco" presentato dal ministro Maroni i giornali hanno scritto
molto, ponendo in particolare l'accento su di una questione terminologica che
rimanda effettivamente ad un problema politico reale.
Il buon Roberto Maroni, infatti, ha proposto di non parlare più di
concertazione e di passare alla locuzione "dialogo sociale". La differenza
consisterebbe, a quanto afferma, nel fatto che la concertazione prevede la
ricerca di un accordo ad ogni costo fra le parti mentre, nel caso del dialogo
sociale, il governo consulta le parti e, se l'accordo non si trova, procede
sulla sua strada rivendicando il suo ruolo di rappresentante dell'interesse
generale.
Come si vede, in apparenza, la rivendicazione di una classica logica liberale a
fronte di un modello delle relazioni sociali che oscilla fra il corporativismo
democratico e un pasticcio consociativo.
In realtà, l'oggetto del contendere non è così elegante.
Si tratta, con ogni evidenza, di un tentativo di ridimensionare il peso dei
sindacati di stato. Non a caso, CGIL, CISL e UIL, divise su tutto, hanno
ritrovato l'unità nella "battaglia" per la difesa della concertazione e
hanno trovato una singolare, ma non troppo, consonanza di accenti con le
confederazioni sindacali di area governativa (Confsal, Cisal e UGL). Un
classico esempio di limpida difesa degli interessi dei lavoratori se con il
termine "lavoratori" indichiamo i membri dell'apparato sindacale.
D'altro canto, l'attacco alla concertazione, si colloca in una deriva che non
può essere ridotta all'intento di "razionalizzare" la mediazione
sociale.
Il "Libro Bianco, infatti, afferma:
"Gli anni novanta sono stati gli anni della concertazione sociale. Le
necessità di conseguire importanti obiettivi a livello comunitario
favorì l'opzione concertativa. Imperativa era l'esigenza di rafforzare
il coordinamento nel governo delle dinamiche nominali dei redditi per evitare
derive inflazionistiche. Inoltre, l'intervento sui saldi netti del bilancio
pubblico andava fatto rapidamente ed in un clima di consenso sociale, onde
evitare tensioni e ricadute inflazionistiche. Va del resto sottolineato come
molti dei paesi, anche al di fuori del tradizionale novero di paesi cosiddetti
corporativismi, che all'inizio del decennio riscontravano problemi di
convergenza rispetto ai criteri di Maastricht, hanno optato per l'uso della
concertazione sociale... Tuttavia, raggiunti gli obiettivi dell'abbassamento
dell'inflazione e dell'ingresso nell'Euro, i suoi limiti sono subito apparsi
evidenti. Emerge con evidenza l'inadeguatezza di un sistema contrattuale
centralizzato, il cui perno centrale è rappresentato da un indicatore
economico (l'inflazione programmata) che svolge una funzione sociale (difesa
del salario reale) ma è indifferente rispetto alle esigenze reali
delle singole imprese. La moneta unica, ed il patto di stabilità,
richiedono, invece, nel contempo una capacità di rendere strutturali le
riforme (mercato del lavoro, previdenza e welfare, fiscali e
contributive) e di flessibilizzare l'utilizzo dei fattori produttivi e della
loro remunerazione. Inoltre, la competitività del sistema Italia non
è più mediata dalla politica monetaria."
È interessante notare come la concertazione, per quanto riguarda gli
anni '90, venga sostanzialmente rivendicata per quanto, in altra parte del
"Libro Bianco" si insista sui suoi effetti negativi. Questa rivendicazione si
può spiegare anche col fatto che gli estensori materiali del testo sono
tecnocrati che hanno gestito la concertazione stessa e che, quindi, ne
rivendicano l'opportunità ma è ragionevole supporre che la destra
sia consapevole del buon lavoro fatto dalla sinistra per quel che riguarda il
taglio della spesa sociale e delle retribuzioni. Il parlare di "difesa del
salario" reale appare, per la verità, surreale ma è funzionale al
cuore della proposta governativa che è quella di porre l'accento sulle
esigenze delle singole imprese smontando i residui elementi di
rigidità che il riferimento all'inflazione programmata, sui cui
caratteri truffaldini non mette conto insistere, comporta.
Nel "Libro Bianco" di conseguenza, la collaborazione di classe non solo non
è esclusa ma viene esplicitamente rivendicata, se ne modificano solo,
diciamo così, alcune caratteristiche:
" Il passaggio dalla politica dei redditi ad una politica per la
competitività impone l'adozione di una nuova metodologia di confronto,
basata su accordi specifici, rigorosamente monitorati nella loro fase
implementativa, restando meglio precisata la distinzione delle reciproche
responsabilità tra Governo e parti sociali.
Il Governo ritiene che il modello del dialogo sociale, così come
regolamentato e sperimentato a livello comunitario, costituisca il punto di
riferimento più convincente per una rinnovata metodologia nei rapporti
fra istituzioni e parti sociali anche a livello interno. In tal senso, appare
del tutto condivisibile la "posizione comune" assunta il 16 luglio 2001 in
Francia dalle parti sociali ed indirizzata a quel Governo. Il dialogo sociale
non può soltanto rappresentare la soluzione del tutto prioritaria per la
trasposizione di direttive comunitarie nell'ordinamento interno, bensì
deve costituire anche il metodo per regolare la produzione di regole in tema di
affari sociali, con particolare riguardo alla modernizzazione del mercato del
lavoro."
La politica per la competitività deve diventare il cuore del dialogo
sociale e dei redditi se ne deve occupare la contrattazione aziendale.
La massa delle singole "proposte" che il libro bianco contiene si collocano in
questo schema. Ci limitiamo a riportarne, in sintesi, alcune:
- Occorre continuare ad accrescere la flessibilità eliminando quegli ostacoli normativi che ancora rendono complicato l'utilizzo delle tipologie contrattuali flessibili : i contratti a tempo parziale, interinali, temporanei, sono strumenti che favoriscono l'incontro tra domanda e offerta. Occorre inoltre prevedere nuove tipologie contrattuali: il "lavoro intermittente" (compenso
minimo di disponibilità e retribuzione reale quando si lavora) e il "lavoro a progetto" (lavoro autonomo parasubordinato in cui si concordano individualmente tempi e qualità della prestazione e in base al loro raggiungimento si è pagati).
- La contrattazione collettiva è rimasta fortemente
centralizzata. Il riferimento all'inflazione programmata previsto
dall'accordo del 1993 (con il principio di non automatico recupero
dell'inflazione passata dovendosi tenere conto delle eventuali origini esterne
al sistema produttivo), ha contrastato il rischio di spirali
inflazionistiche (aumentando i profitti e diminuendo i salari reali, ndr).
La contrattazione collettiva ha però caratteristiche inadatte ad
assicurare la flessibilità della struttura salariale. Essa produce norme
inderogabili che escludono la libera pattuizione individuale e
non lascia alcuna flessibilità alle parti, se non in senso migliorativo
per il lavoratore.
- La recente riforma costituzionale (fatta dall'Ulivo ndr)
assegna alle Regioni potestà legislativa concorrente in materia di
"tutela e sicurezza del lavoro", "professioni", nonché "previdenza
complementare e integrativa". La potestà legislativa delle
Regioni riguarda quindi non soltanto il mercato del lavoro,
bensì anche la regolazione dei rapporti di lavoro, quindi
l'intero ordinamento del lavoro. Sarà così
possibile realizzare differenziazioni regionali. Occorre proseguire
su questa strada.
Siamo, insomma, di fronte ad un progetto di smantellamento
ulteriore del tradizionale sistema di garanzie prodotto dalla necessità
di frenare il conflitto di classe negli anni '70. Il padronato ed il governo
sembrano ragionevolmente convinti di non averne più bisogno e ritengono
possibile affrontare le questioni azienda per azienda.
Il tutto viene condito con una serie di discorsi antistatalisti,
antiburocratici, federalisti e, non può mai mancare, dalla denuncia dei
privilegi dei lavoratori "garantiti" e dalla rivendicazione di un uguagliamento
delle situazioni retributive e normative, ovviamente al ribasso.
Può dunque, valere la pena, per concludere provvisoriamente questo
articolo, il segnalare di che tipo di federalismo e di antistatalismo si
tratti.
Per quel che riguarda il diritto di sciopero, il "Libro Bianco" afferma:
"Le modifiche introdotte nel 2000 alla legge che regola l'esercizio del diritto
di sciopero in questo contesto non sembrano essere state adeguatamente
valorizzate dalle parti sociali interessate ed è a questo proposito
opportuno che la Commissione di garanzia utilizzi più incisivamente le
attribuzioni ed i poteri accordati dalla legge, intensificando la
propria attività anche in funzione di mediazione e conciliazione dei
conflitti. In quest'ottica di applicazione più coerente della legge
83/2000 occorre ad avviso del Governo attuare con maggiore rigore il principio
di "rarefazione oggettiva", richiamando le amministrazioni e le imprese
ad una più puntuale osservanza degli obblighi previsti con riferimento
all'informazione degli utenti e consumatori in caso di sciopero."
Insomma questo Stato che sembrava desideroso di abbandonare la società
al suo destino rispunta energicamente e lo fa proprio nella sua funzione
specifica di controllore e di repressore dei comportamenti sociali che,
altrove, il "Libro Bianco" definisce irrispettosi come se i lavoratori
scioperassero per burla e per cattiva educazione e propone referendum per
indire lo sciopero, scioperi virtuali e simili amenità.
Come sempre, quello che deve sparire è il buon vecchio conflitto di
classe nel merito del quale Maroni afferma:
"Esiste in Italia un problema di "deficit culturale": i dipendenti si sentono
estranei ad un coinvolgimento nell'impresa in cui sono occupati. Il
lavoratore assai più che semplice titolare di un "rapporto di
lavoro", è invece un collaboratore all'interno di un ciclo."
Riconosciamo serenamente che siamo deficienti ed, anzi, questa deficienza la
rivendichiamo. Si tratta, però, di tradurla in un'azione che, contro la
comunità aziendale, nella quale lavoratori e padroni sarebbero partner
uniti da un comune obiettivo (il profitto) e da legami materiali ben più
vincolanti (investimento in azioni del TFR dei lavoratori) affermi l'interesse
unilaterale del lavoro salariato a sottrarsi al dispotismo aziendale ed a
costruire forme di solidarietà che, partendo dalla dimensione locale,
sappiano coordinare le lotte, le rivendicazioni e le conquiste al livello
più alto.
Al "federalismo" della destra che, sulle orme della sinistra liberale che ci ha
governato sino a qualche mese addietro, vuole inchiodare i lavoratori
all'azienda, al territorio, all'isolamento va opposto un federalismo che abbia
i caratteri dell'unità, della solidarietà, della
conflittualità.
Cosimo Scarinzi
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