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Da "Umanità Nova" n.37 del 28 ottobre 2001

Guerra
Sullo scacchiere del "grande gioco" USA

Dunque la guerra continua, con il suo contenuto di distruzione e morte, ma anche con il suo quantitativo di stupidaggini formulate da pennivendoli di regime, giornaliste d'assalto e servi più o meno felici del proprio ruolo.

Quanto si va perdendo in queste settimane è la comprensione degli eventi reali che si muovono non solo sul terreno di battaglia, ma nelle ovattate stanze della diplomazia e della guerra politico-economica segreta.

Proviamo a andare con ordine. Nei primi giorni dopo l'attentato alle Twin Towers, Washington chiede e ottiene dagli alleati della NATO il pieno sostegno all'operazione bellica in Afganistan. Da allora però, nessun mezzo o soldato non appartenente a nazioni anglosassoni è stato utilizzato sul terreno di battaglia. Al più gli USA hanno chiesto al servile alleato italiano di aumentare la sua presenza nei Balcani, ma le reiterate offerte franco-tedesche di schierare i propri uomini sul terreno di battaglia hanno ricevuto dei "no, grazie" da parte delle cancellerie angloamericane.

Gli Stati Uniti non intendono permettere a nessuno di partecipare alla delicata partita in corso nell'Asia Centrale. A Washington interessa ottenere il massimo consenso mondiale attorno alla sua operazione, ma non è interessata a dividerne i risultati che, probabilmente, consisteranno nella formazione di un regime più gradito a Washington in Afganistan, nel posizionamento di truppe e mezzi nell'area, in modo da possedere una forza di dissuasione di pronto intervento, eventualmente utilizzabile nei confronti di Pechino, Mosca e Delhi, e soprattutto nell'imposizione degli interessi delle multinazionali petrolifere angloamericane nello sfruttamento e trasporto del petrolio e del gas dell'Asia Centrale.

Per comprendere la partita in atto, è necessario ricordare che esistono due diverse cordate interessate allo sfruttamento energetico dell'area: da un lato BP-Amoco, in campo angloamericano, dall'altro la Chevron (con capitali anche tedeschi) in campo franco-tedesco. Le prime, da tempo, puntano alla costruzione di oleodotti per il trasporto del gas e del petrolio dell'area, utilizzando paesi amici come la Turchia, la Georgia il Turkmenistan, il Pakistan e, nel momento in cui avesse un governo stabile, l'Afganistan.

La seconda, con l'appoggio della Francia, della Germania e della Commissione europea (ricordiamoci del viaggio di Prodi in Iran), sta cercando da anni di tessere una rete di rapporti in Asia, utilizzando i paesi non alleati degli USA e della Gran Bretagna come l'Iran e la Russia, per rendere indipendente dal controllo angloamericano il rifornimento energetico europeo.

In questa partita tutti i mezzi sono utili, se i paesi europei non hanno esitato a costruire rapporti con paesi ufficialmente esecrati, gli USA finanziano da decenni regimi integralisti e oppressivi come il Pakistan e costringono il mondo a reiterare isolamento e sanzioni su paesi sospettabili di volontà di vendere all'Europa senza passare prima dal loro controllo.

La stessa guerra a bassa intensità rivolta contro l'Iraq deve essere letta in questo contesto: l'Iraq possiede immense riserve di greggio, seconde soltanto a quelle saudite, inoltre, è retto da un regime non ben visto dagli USA. Questi ultimi trovano, quindi, vantaggioso congelare le riserve irachene di greggio, almeno fino a quando non saranno passate sotto il controllo angloamericano. Il rischio di un Iraq indipendente che vende greggio direttamente agli europei è, infatti, un incubo per gli strateghi delle varie amministrazioni americane succedutesi in questi anni.

La partita per il controllo dell'Asia Centrale è, quindi, di importanza eccezionale per il controllo delle risorse energetiche destinate all'Europa.

Se questo discorso vale per l'Europa, non è molto diverso per quanto riguarda le potenze orientali quali la Russia (che pure dispone di risorse interne, ma che con il progressivo scivolare dei paesi ex-URSS verso gli USA, sta perdendo delle possibili riserve), la Cina, il Giappone e l'India. Tutti questi paesi dipendono dalle risorse energetiche del Medio Oriente e dell'Asia Centrale, e in questi anni sono variamente intervenuti nell'area per ottenere un controllo almeno parziale di questi paesi. L'intervento USA rischia di spiazzarli pesantemente, né, oggi, sono in grado di opporvisi, lamentando una minorità strategica (non solo militare) nei confronti degli angloamericani. Questi stati, in ordine sparso hanno, quindi, cercato di trovare un accordo con Washington che permettesse loro di ottenere qualche vantaggio dal via libera concesso obtorto collo agli USA. Lo stesso incontro dell'APEC a Shangai che si sta tenendo in questi giorni sarà uno dei momenti di questa gigantesca contrattazione collettiva dove gli USA dovranno offrire qualcosa ai paesi asiatici coinvolti nell'operazione, per ottenerne la subordinazione agli interessi di Londra e Washington, senza creare ulteriori tensioni in un'area la cui importanza sta rapidamente crescendo.

Giacomo Catrame



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