unlogopiccolo

Da "Umanità Nova" n.38 del 4 novembre 2001

Tu vuo' fa l'americano
La politica estera del Cavaliere

Qual è il ruolo dell'Italia nella politica globale? Su questo interrogativo si stanno scervellando analisti, attori strategici, opinionisti, per lo più su due assi di riflessione, entrambi insufficienti: da un lato, l'individuazione dell'interesse nazionale come perno su cui costruire la politica estera di una nazione e del suo governo "permanente" (ossia al di là dell'alternanza tra coalizioni); e dall'altro la statura dei soggetti fisici che concepiscono e attuano tale politica immersi in limiti concreti, idiosincrasie personali, umori del giorno, ecc.

L'Italia ha a mala pena una politica estera nell'area mediterranea dettata dalla collocazione, dalle reti di interdipendenza economica con i paesi del mondo arabo, ma all'interno di una cornice politica precisata sin dai tempi di Yalta, dell'adesione alla Nato, e sconquassata dal caso Mattei e dalla strategia della tensione nella quale le diverse lobbies politiche e affaristiche americane, ciascuna delle quali col braccio operativo di una qualche branca di intelligence (chi la Cia, chi la Nsa, chi i servizi di una delle armi, esercito, marina, aviazione), hanno fatto il bello e il cattivo tempo.

Oggi è tutto cambiato, e l'Italia, paese membro del G8 e della Ue, cofondatore dell'area euro, si trova in mare aperto a gestire per conto proprio - ma forse anche per conto terzi - l'area balcanica, in coalizione-competizione con francesi e tedeschi, oltre che con gli onnipresenti americani. Buoni uffici con i paesi del terzo mondo e presenza nell'area euro sono carte da giocare, insieme ad una penetrazione commerciale ed economica (in ordine di importanza) equilibrata e non suscettibile di obiezioni imperialistiche, anche se spesso in concorrenza proprio con i partner ricchi del nord.

In questo frangente bellico, e ridimensionata l'industria militare al solo business delle armi leggere (pistole e qualche autoveicolo, abolite le mine antuomo, messe momentaneamente in soffitta portaerei costose, partecipazione in aerei europei e non nazionali), l'Italia sta giocando un ruolo di facilitatore di comunicazione con Iran e Libia (nostri fornitori energetici principali) che ha spesso attirato i rimproveri di Washington ma che ci tornano utili proprio adesso che Bush cerca una coalizione ampia, almeno a breve tempo, con tutto il mondo non occidentalizzato.

Certo, la figura di Berlusconi è talmente ridicola da suscitare diffidenze legittime nei veri detentori liberali del potere, e anche in quei moderati europei che intendono spostare l'asse politico europeo in pianta stabile sul territorio continentale, e non nell'area mediterranea (asse Chirac-Schroeder e asse Aznar-Berlusconi). Tuttavia la politica globale supera il corto respiro delle alternanze di governo, e su questo piano assistiamo ad una interessante partita tra Italia e Usa su uno scambio impari: Berlusconi (e chi per lui prima e dopo) intende soffiare al Regno Unito il tradizionale ruolo di partner privilegiato e affidabile della superpotenza a stelle e strisce, impresa improba perché non abbiamo la cultura e la lingua in comune né soprattutto la ricchezza finanziaria e le braccia operative militari per inseguire l'Impero americano nel suo secolo prediletto (il XXI). Tuttavia, proprio da questi limiti, l'Italia può giocare la carte della propria presenza nell'area euro, che vede la Gran Bretagna alla finestra non si sa per quanto tempo ancora (la city londinese è la prima piazza finanziaria del pianeta per volume di operazioni, quasi 300 miliardi di dollari al giorno, e non può stare per molto tempo al di fuori della seconda moneta di affari della terra quale potrà essere l'euro), e quindi promettere a Bush e al dollaro una fedeltà ai suoi interessi di supremazia anche monetaria come una sorta di quinta colonna interna, esattamente come Blair (e chi per lui prima e dopo) lo è stato e lo è per quanto riguarda la politica "geopolitica" mondiale in seno alla Unione Europea.

Così intendo le mosse di sostituzione degli americani nello scacchiere balcanico offerte da Berlusconi per venire incontro alla dottrina americana secondo la quale gli Usa possono tenersi impegnati a puntino solo in due aree calde del pianeta, e già lo sono nel golfo Persico, in Afganistan e nei Balcani. Se dopo bin Laden venisse qualche emiro della penisola araba o Saddam Hussein in persona - ma con chi sostituirlo credibilmente agli occhi degli arabi? lo stesso interrogativo del 1991 - allora gli Usa avrebbero bisogno di uomini e mezzi militari dislocati altrove. In questo caso, però, andrebbe in frantumi anche l'offerta di Berlusconi, ossia uomini di pace in divisa per come ci siamo specializzati in questo ultimo decennio, qualche pezzo in aree calde e tante chiacchiere sul piano esterno quanta militarizzazione ideologica sul piano interno. Infatti, nell'allargamento della guerra ai prossimi vent'anni, i buoni uffici italiani non sapranno resistere alle voglie di egemonia totale degli americani, che fanno la guerra innanzitutto per mettere in riga tutti i propri alleati dettandone le politiche estere come appendici della politica interna di un mondo fatto da loro e secondo i loro voleri.

Su questo piano di orizzonte, allora, l'insufficienza della riflessione in Italia, anche da parte di riviste specialistiche, è allarmante quanto meno perché distoglie l'opinione pubblica dalla vera posta in palio condannandoci alle telenovele di Berlusconi e dei suoi interessi personali, mentre la terra assume sempre più il volto mostruoso di una piramide inondata di sangue. Del resto, abbiamo o non abbiamo parlato di crimini della globalizzazione su questo giornale appena un anno fa? Esattamente questo si voleva dire: lo sterminio politico ed economico come chiave di accesso alla direzione unica del pianeta. Riusciranno i nostri eroi politicanti a raccapezzarci qualcosa? E cosa faremo noi d'altro canto in questo nuovo scenario globale?

Salvo Vaccaro



Contenuti UNa storia in edicola archivio comunicati a-links


Redazione: fat@inrete.it Web: uenne@ecn.org