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Da "Umanità Nova" n.38 del 4 novembre 2001
Relazioni pericolose
USA e integralismo islamico: l'analisi di Cooley
Comincia con una citazione dal secondo capitolo de Il
Principe di Machiavelli l'affollatissima conferenza di John K. Cooley
organizzata a Imola dal Social Forum locale. Una citazione che non può
essere più attuale, là dove il grande politico fiorentino mette
in guardia il "principe" dal servirsi con troppa fiducia delle milizie
mercenarie, ché se oggi sono preziose per combattere il nemico del
momento, domani saranno assolutamente imprevedibili e infide allorché
potranno imporre la loro minacciosa presenza all'avventuriero di turno.
Profondo conoscitore delle strette e inconfessabili "relazioni pericolose"
intercorse fra i governi americani degli ultimi decenni e il mondo del
fondamentalismo islamico, John Cooley (per quarant'anni corrispondente dal
Medio oriente e autore dell'attualissimo Una guerra empia. La Cia e
l'estremismo islamico, Milano, Eleuthera, 2000) ha recentemente compiuto un
intenso ciclo di conferenze e dibattiti in giro per l'Italia, per illustrare,
con la dovizia di fonti e di notizie tipica del giornalismo d'inchiesta
anglosassone, la oggettiva correità del sistema di potere statunitense
con i tragici fatti dell'11 settembre.
L'assunto è semplice, talmente semplice da far esclamare, una volta che
sia stato esposto con simile ricchezza di particolari, che il re è nudo.
Gli Stati Uniti, nella loro lotta decennale contro l'impero del Male, detta
anche Guerra Fredda, non hanno lesinato mezzi ed energie per assoldare una
congerie di comparse disposte a svolgere il prezioso ruolo di spalla nel
reciproco gioco delle parti. Naturalmente guardandosi bene dal fare questioni
di etica o di morale, e senza andare tanto per il sottile - ci mancherebbe
altro - nella scelta dei compagni di strada. Indifferenti o disattenti rispetto
alle prevedibili future catastrofi, hanno infatti stimolato, ovunque possibile,
la nascita di gruppi, movimenti e organizzazioni che, in nome dell'Islam e
della lotta alla emergente secolarizzazione marxista delle società
arabe, combattessero per procura, localmente, quelle piccole o grandi battaglie
che le loro istituzioni, per motivi comprensibili, non potevano combattere.
Cooley, da bravo giornalista, non si ferma naturalmente all'esposizione di una
tesi, ma con pignoleria quanto mai efficace documenta, fonti alla mano, tutti
gli interventi della Cia e dei governi americani finalizzati a questo scopo. A
differenza di quanto si crede, l'appoggio dato dagli Stati Uniti al
fondamentalismo e all'integralismo islamico non nasce in concomitanza e in
contrapposizione all'invasione sovietica dell'Afganistan (si veda al proposito
il bell'articolo di Pietro Stara sull'ultimo numero di "Umanità Nova"),
ma parte da più lontano, ancora dai tempi dell'amicizia fra il
presidente egiziano Sadat e i Fratelli Musulmani, prima forma embrionale e
ancora moderata della rinascita di un islamismo protagonista sul piano politico
e sociale. Partendo da questo cuneo infiltratosi in uno schieramento
sostanzialmente filosovietico, la Cia comincia a finanziare e addestrare, sul
finire del 1979, una Internazionale di volontari musulmani che parta a
combattere i russi, agevolando al tempo stesso la rinascita di una forte
identità islamica capace di contrastare le tendenze socialiste e
nazionaliste proprie delle classi dirigenti degli stati petroliferi emergenti
in quegli anni.
Con l'appoggio dei servizi segreti di alcuni paesi islamici di rito sunnita, in
primo luogo di quelli pakistani, prende corpo, nella minuziosa analisi del
giornalista americano, il proliferare di gruppi ideologicamente fanatizzati e
tesi a restituire credibilità e centralità a un dettato coranico
messo apparentemente in sordina dalla crescente secolarizzazione delle
società arabe. La guerra contro i russi è la prova del fuoco di
questo progetto, la cartina di tornasole di una strategia apparentemente
lungimirante ma alla prova dei fatti di cortissimo respiro. Infatti, una volta
finita quella guerra che ha praticamente dato il colpo di grazia a una Unione
Sovietica già agonizzante, tutti i combattenti islamici, ormai ricchi di
esperienza, riportano nei loro paesi d'origine i valori e gli assunti per i
quali hanno combattuto, riassumibili in una visione del mondo ispirata ad una
interpretazione irriducibilmente integralista e reazionaria delle parole di
Maometto.
È chiaro che, una volta distrutto l'impero sovietico, all'America non
serve più questo universo di guerrieri reclutati nelle carceri comuni o
allevati nelle madrase pakistane, e ben volentieri se ne sbarazzerebbe, ma
ormai la trottola si è messa in moto e nessuno sa più come
fermarla. Organizzata con gli efficaci metodi della Cia, impadronitasi della
migliore tecnologia occidentale, finanziata dagli oscurantisti miliardari
sauditi, la nuova jihad non è più disposta a ritirarsi per
tornare a obbedire a un qualche padrone, ma, consapevole della sua importanza e
del ruolo centrale che potrà avere nella storia politica di questo
secolo, mette con l'orgoglio e la tracotanza del fanatico la questione islamica
al centro dell'attenzione mondiale. Orgoglio e tracotanza che si appoggiano,
tragicamente, sull'oggettività di una criminale e insostenibile
condizione di subalternità dei paesi poveri nei confronti dell'opulento
e rapace occidente. I passaggi di questo processo, indicati con precisione e
preveggenza da Cooley, passano dall'Egitto all'Algeria, dalla Cecenia al Sudan,
dalla Libia all'Iraq e alla Palestina, via via attraverso tutto il mondo
islamico per finire, e non poteva essere altrimenti, a questo sempre più
fantomatico ed evanescente emiro saudita che sembrerebbe chiamarsi bin Laden.
È un destino ineluttabile quello degli americani, di dover "sconfiggere"
un nemico con l'aiuto di chi sarà il suo nemico di domani, è la
parabola del potere e dell'imperialismo, che potendo conservarsi e prosperare
solo nella repressione e nell'oppressione non potranno mai avere la pace del
giusto.
E così siamo alla storia di oggi, alla cronaca drammatica di questi
giorni che vede ancora una volta l'impero americano impegnato in una delle sue
ormai tradizionali guerre umanitarie, guerre fatte di bombe intelligenti e di
missili pensanti, di pacchi dono e di eroici marine. Ma anche di ospedali, di
autobus, di case, di scuole, di asili, di ospizi, di croci rosse, di carovane
di nomadi, di convogli di carburante, di civili ignari, inermi e inconsapevoli,
di donne e bambini bombardati e uccisi con la anonima ferocia di sempre.
Con buona pace dell'ingenuo popolo americano sempre più spinto a credere
di combattere la definitiva battaglia contro il Male. Un male con la M
maiuscola, maiuscola come non mai.
Massimo Ortalli
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