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Da "Umanità Nova" n.39 dell'11 novembre 2001

Processo Enichem
L'ora del tè

"Sì, proprio per questo" disse il Cappellaio con un sospiro. "E' sempre l'ora del tè e non abbiamo neanche un minuto per sciacquare le tazze fra un sorso e l'altro."
"Così dovete sempre cambiare posto, vero?" disse Alice.
"Proprio così" disse il Cappellaio, "man mano che le tazze sono sporche ci spostiamo."
"Ma che succede quando ricominciate il giro?" si arrischiò a chiedere Alice.
L. Carroll, Alice nel paese delle meraviglie, cap. VII

"Noi siamo solo dei giudici e abbiamo fatto il nostro lavoro. Abbiamo giudicato applicando rigorosamente il diritto penale. Non siamo dei politici e nemmeno degli storici. Il nostro era un compito preciso." Così Ivan Nelson Salvarani, presidente del tribunale che ha mandato assolti i ventotto imputati del processo intentato ai danni di Montedison ed Enichem; originariamente trentuno prima che la natura se ne portasse via tre.

Una sentenza destinata drammaticamente a far storia e soprattutto giurisprudenza, come si usa dire con il linguaggio dei tecnici del diritto. Si può andare assolti, dunque, per reati contro le persone e l'ambiente, disastro colposo ed alcune altre simili bazzecole, secondo quanto aveva chiesto il pubblico ministero Casson alla fine della sua requisitoria. Non farò, ossessivamente la conta dei morti, né vi parlerò ancora, come ho già fatto da queste pagine, del Cloruro di Vinile Monomero e dei suoi effetti letali. Non mi scandalizzerò nemmeno.

Questa volta vi racconterò la storia di un'Italia tormentata, offesa e piagata da una cricca di bellimbusti disposti a passar sopra alla vita, nel vero senso della parola, di alcune decine di esseri umani in nome del progresso e soprattutto dello sviluppo. Ci sono momenti in cui le cose vanno dette con piena lucidità, senza lasciarsi trascinare dallo sgomento, perché di questo si tratta alla fine, e dallo sdegno falsamente manifestato da una banda di manipolatori dell'informazione, eufemisticamente definiti giornalisti, affiancati da un'orda di profeti della sinistra più o meno istituzionale.

Vi racconterò di un'intera classe dirigente destinata a realizzare le fortune di un ampio settore dell'industria italiana, fino a diventarne nerbo indiscusso. Una classe dirigente che non poteva che assolvere le proprie tremende colpe sciacquando i panni in laguna e lasciandoli asciugare al calore tiepido di questo tenue sole di primo inverno.

Ma torniamo alla giurisprudenza. Da oggi sarà più semplice, fino ad una eventuale sentenza d'appello per la quale ci vorranno, ben che vada, altri quattro anni almeno, liquidare in tempi relativamente veloci qualsiasi altra questione legata alle vicende della chimica in Italia. Come sapete il Petrolchimico di Marghera non è l'unico stabilimento in cui si è prodotto e si produce ancora PVC, la famigerata plastica con annessi e connessi. Molte, drammatiche storie di ordinari soprusi ed altrettanto ordinarie devastazioni ambientali rimandano la loro eco greve da Brindisi: laggiù alcuni magistrati si sforzano di far luce su episodi ancora sottratti alla memoria ed alle cronache. Questa sentenza spiana la via per altre, facili assenze di colpa. Non credo sia possibile sostenere, a sentire perlomeno gli avvocati delle famiglie colpite dai terribili effetti collaterali di anni di permanenza forzata dentro allo stabilimento, che il giudice Salvarani ha applicato rigorosamente il diritto penale, giacchè è stato disposto ad ascoltare essenzialmente i periti di parte, tra cui spicca per erudizione e sapienza medica Cesare Maltoni, oncologo, autore degli studi, voluti dalla direzione del Petrolchimico, che dovevano stabilire i danni alla salute umana eventualmente recati dall'azienda.

Non credo sia possibile sostenere che il giudice Salvarani e i due colleghi "a latere", Stefano Manduzio e Antonio Liguori, hanno considerato davvero le prove e le testimonianze portate in aula da Casson, se hanno concluso, nello stesso dispositivo della sentenza, che "tutte le malattie causate dal cvm sono riconducibili ad esposizioni molto elevate a cvm degli anni Cinquanta, Sessanta e dei primi anni Settanta, quando si ignorava la tossicità della sostanza che fu evidenziata dalla comunità scientifica solo nel '73." Come mi ha più volte confermato lo stesso Bortolozzo, l'operaio da cui tutto è cominciato nel 1994 con un dossier dettagliatissimo consegnato nelle mani dello stesso Casson, una congiura del silenzio legava assieme gli interessi delle aziende americane ed europee produttrici di cvm e pvc fin dall'inizio del dopoguerra, quando la chimica si apprestava a diventare settore trainante delle economie del Vecchio Continente travolte da un conflitto cruento e distruttivo. Quella classe dirigente si trovò tra le mani il destino di una parte consistente dello sviluppo capitalistico di un paio di continenti. E quella classe dirigente sapeva di poter riscattare, in qualsiasi momento, il debito che il sistema internazionale dei profitti, lucrosissimi, credete, oltre ogni vostra capacità di immaginazione, aveva assunto nei confronti di uomini cui la storia aveva chiesto di sacrificare tutto per la moltiplicazione inarrestabile di denaro e potere.

Candidamente Carlo Baccaredda Boy, legale di Montedison, sussurra ad un giornalista de Il Gazzettino che "...è stato sicuramente un processo difficile anche per i giudici, chissà quante pressioni." Nemmeno il collegio degli avvocati della difesa si aspettava una assoluzione così piena, totale, indiscutibile, che sembra provenire dai luoghi occulti del comando. Eccola una delle poche verità di questo oscuro pomeriggio mestrino. Ma ce n'è un'altra ancora, in una città nella quale si muore di lavoro: è quella espressa senza tanti complimenti dall'avvocato Stella, professore emerito e difensore di Enichem; questo processo semplicemente non si doveva fare, le responsabilità intrecciate all'interno di un intero sistema produttivo non consentono che la liquidazione, in sede civilistica, delle parti offese. Così si archiviano vicende umane dolorosissime, sottraendole alla società e incastrandole negli ingranaggi del diritto. Insomma il processo penale non è l'unico modo per risolvere problemi di tale portata; il piano della giustizia sostanziale con cui si interpreta una serie di fatti storici è ben diverso dal piano dalla verità processuale che deve condurre all'individuazione delle responsabilità dei singoli imputati.

Tutto chiaro: chi sbaglia paga, magari anche profumatamente e risarcisce per il danno arrecato, ma da qui ad attribuirgli colpe perseguibili penalmente ce ne corre parecchio.

È straordinario, se non fosse in realtà allucinante, lo schema epistemologico che soggiace al sistema di diritto borghese, non esiste altro modo di chiamarlo. Il punto di torsione di questo insieme di argomenti arroccati a difesa di un modello politico di governabilità dell'esistente è in sostanza il problema della responsabilità oggettiva, perché è la responsabilità di una pretesa democrazia d'Occidente che non ammette soluzioni di continuità al suo incedere di decennio in decennio e di questi tempi addirittura di secolo in secolo. Il processo del Petrolchimico rischiava di cortocircuitare i delicati rapporti tra politica ed economia, disvelando l'innervatura sottile che ricopre come una rete inestricabile il nostro quotidiano, quella che chiamiamo società civile, sempreché ne sia mai esistita una. Un tessuto pulsante che registra ogni minima reazione alla rigida compartimentazione della nostra vita: effetti di potere che possiamo e dobbiamo soltanto subire.

Adesso che tutte le tazze sono sporche e non c'è tempo di lavarle, il giro ricomincia. E nessuno può dire come.

Mario Coglitore



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