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Da "Umanità Nova" n.39 dell'11 novembre 2001

Bush e bin Laden
Culo e camicia

Come il culo e la camicia, la pattaja per l'esattezza, ossia quel pezzo di stoffa del lungo camicione dei nostri contadini che, passando dalla schiena sotto le "vergogne", andava a ricongiungersi, indissolubilmente e nascostamente, alla parte anteriore dell'indispensabile indumento di tela grezza. Così, allo stesso modo, altrettanto indissolubili sembrano i rapporti, ben più vergognosi delle pudende degli agricoltori di un tempo, che intercorrono fra l'establishment a stelle e strisce e il cosiddetto "pericolo numero uno" del mondo libero.

Stando, infatti, alle solitamente ben informate agenzie giornalistiche francesi, "l'inafferrabile" bin Laden si sarebbe fatto curare, un mese esatto prima dell'attentato alle torri di New York, nell'ospedale americano del Dubai. Da uno stimato medico chirurgo, anch'esso a stelle e strisce, e non senza essersi incontrato, fra una dialisi e l'altra, con un altissimo esponente della Cia. Chissà cosa si saranno detti?

Culo e camicia, insomma! I vecchi rapporti instauratisi quando il miliardario saudita trovava negli americani la sponda per la sua guerra santa contro la Russia, devono essere, evidentemente, ancora ben saldi. E produttivi.

Nonostante le inevitabili smentite, questa storia, come le altre che poco per volta emergono con sconcertante regolarità, fatte di inestricabili intrecci fra le lobbies dei poteri americani e i signori del petrolio mediorientali, non solo è plausibile, ma pienamente, fortemente credibile. La somma di continue coincidenze diventa una regola, e la regola, a quanto pare, è quella che, nella loro diversità, gli interessi del governo americano e quelli del fondamentalismo islamico tendono allo stesso fine, una bella guerra senza quartiere fra opposte schiere di fanatici, quelli in divisa mimetica con la faccia macchiata di nerofumo e i capelli alla marine e quelli in turbante col corano al posto del cuore e del cervello. Una bella guerra che permetta, agli uni e agli altri, il raggiungimento dei loro obiettivi altrimenti difficilmente perseguibili: da una parte la penetrazione degli eserciti occidentali in un'area geografica importantissima e fino ad oggi assolutamente off limits, dall'altra lo spostamento del baricentro politico e sociale all'interno dell'enorme comunità musulmana con lo scopo evidente di emarginare per sempre le borghesie e i centri di potere troppo accondiscendenti col materialismo consumistico delle nostre società.

E come sempre, come in tutte le guerre e ancor più come nelle ultime di cui siamo stati testimoni, chi fa le spese di questo scontro fra interessi egemoni e criminali non sono i fanatici di cui parlavo in precedenza, bensì i civili: donne, vecchi, bambini, persone innocenti con la sola colpa di trovarsi nel paese sbagliato al momento sbagliato, e che sempre più stanno diventando quella carne da cannone che una volta era costretta a indossare un'uniforme e a partire per il fronte. Con, in più, il vantaggio che non c'è neppure il bisogno di comprare loro una divisa per mandarli a farsi ammazzare.

È ormai confermato che il territorio afgano, soprattutto intorno ai maggiori centri abitati, è disseminato delle micidiali cluster bomb, le bombe a grappolo inesplose all'impatto a terra ma pronte ad esplodere al successivo minimo urto. Graziosi oggettini gialli a forma di lattina o di scatoletta, che sembrano fatti apposta per essere raccolti da terra da chi li veda per la prima volta. Soprattutto, purtroppo, dai bambini. Con ammirevole spirito umanitario il governo americano ha deciso di cambiare di colore, dallo stesso giallo al blu, alle generose razioni alimentari paracadutate con la stessa dovizia sulle povere teste degli afgani. Dio non volesse, infatti, che l'ignaro bambinetto nomade scambiasse l'una con l'altra e invece di gustare le ali di pollo alla texana provasse in ben altro modo la generosità dei suoi "salvatori". Ma come sono buoni questi amerikani!

Massimo Ortalli



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