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Da "Umanità Nova" n.39 dell'11 novembre 2001
Guerra e oro nero
Libertà durature o approvvigionamenti duraturi?
La Candian Imperial Bank of Commerce (CIBC), uno degli
otto più grandi colossi finanziari Nord-Americani, sostenne che "la
vertiginosa salita del prezzo del petrolio - in un solo anno - da 8$ a
più di 35$ al barile (1998) è avvenuta nonostante l'OPEC - su
richiesta occidentale - abbia accelerato il pompaggio di complessivi 3.2
milioni di barili al giorno(...). Il problema è che - con l'eccezione
dell'Arabia Saudita, del Kuwait e degli Emirati Arabi Uniti - i produttori OPEC
stanno già operando a piena potenza (...) All'attuale crescita della
domanda la capacità residua di pompaggio sarà saturata prima di
due anni. Oltre quel punto, la domanda dovrà essere
razionata."[1] Questa spietata analisi sulle capacità e sulle
possibilità estrattive del nostro suolo, non è stata fatta da un
piccolo circolo sovversivi dediti alle chiacchiere ed alle buone bevute, ma da
uno dei più grandi colossi monetari del nostro pianeta. Che vi sia un
esasperato allarmismo, voluto anch'esso per spingere la politica, attraverso la
guerra, ad occuparsi di questioni altrimenti considerate soltanto dal punto di
vista lucrativo (nella sua immediatezza), potrebbe darsi, ma che non vi sia
alcunché di reale mi sembrerebbe eccessivo. Non capisco, infatti, quelle
analisi sulla questione afgana, che tendono a minimizzare i fattori
economico-strategici presenti in tale conflitto, riportando i contenuti del
contendere in una, seppur rilevante, contesa ideologico-cultural-religiosa.
Questo è, a mio parere, un pezzo di una questione che supera di gran
lunga le nostre più fervide immaginazioni: non vorrei cadere in un
semplicismo dottrinario da lettura meccanicistica e fuorviante di Marx
(struttura e sovrastruttura, per intenderci), ma vorrei pensare, invece, che la
questione economica (in questo caso si chiama petrolio, gas-metano, acqua,
eroina ed armi) sia oltremodo rilevante, proprio perché lo è per
l'economia globale e per le popolazioni che là risiedono. Se è
vero, dato che proviene da fonti comparate molto differenti[2], che il picco del tasso di estrazione del
petrolio avverrà tra dieci anni, allora è altrettanto attendibile
che la guerra afgana puzza soprattutto, e lontano miglia e miglia, di oro nero.
Non tenerne conto vuol dire ancora una volta cadere nella trappola dei nostri
avversari che tentano di diluire la soluzione bellica in una questione
puramente "tecnica" di lotta al terrorismo.
Ma facciamo un salto indietro. Nel 1997, l'ENI, tramite l'AGIP (detentrice del
32,5%), firmò due accordi di "Production Sharing" con la Repubblica del
Kazakhstan e le compagnie petrolifere straniere, partner delle due iniziative:
British Gas (32,5% con ruolo di operatore insieme all'Agip), l'americana Texaco
(20%) e la russa Lukoil (15%). Il primo progetto, che implicava un investimento
pari a 7 miliardi di dollari, per operare e sfruttare i giacimenti per 40 anni,
aveva come obiettivo il giacimento petrolifero di Karachaganak un campo a gas e
condensati le cui cifre sono stimate pari a 500 miliardi di metri cubi di gas e
300 milioni di tonnellate di olio e condensati. Il progetto prevedeva il
trasporto di circa 6 milioni di tonnellate l'anno tramite il nuovo oleodotto
(Caspian Pipeline) in funzione dalla fine del 2000. L'Agip ha partecipato anche
alla costruzione di questo oleodotto che trasporta "il nero" ed il gas dal
Kazakhstan al Mar Nero. Al 50% la proprietà è russa, kazaka e
omanita, mentra il restante 50% è stata attribuita alle società
petrolifere titolari di diritti per lo sfruttamento di giacimenti situati nella
regione servita dall'oleodotto.
Il secondo progetto, denominato "Progetto Caspio", prevedeva un accordo
paritetico (14,3%) tra la Repubblica del Kazakhstan, l'Agip, British Gas,
BP-Statoil, Mobil, Shell, Total e la società di stato kazaca KCS, per
l'esplorazione e la messa in produzione di un'area pari a 6000 chilometri
quadrati, divisi in 12 blocchi. Il blocco più importante è quello
di Kashagan (60 km di lunghezza, 20 di larghezza e 1000 metri di spessore),
forse il più grande al mondo. Se ci atteniamo esclusivamente agli
idrocarburi le riserve di olio del Kazkhstan sono pari a quelle degli Stati
Uniti + Mare del Nord. Il problema che si è aperto in termini dirompenti
è strettamente legato oltre che allo sfruttamento di queste riserve
anche al controllo economico e politico del loro transito. Sino ad ora le
soluzioni alternative, alcune delle quali tragittanti per aree a rischio, o per
stati "canaglia", come l'Iran, hanno previsto sommariamente tre tragitti:
A nord verso il Mar Nero e la Russia (Baku - Novorrossijsk è stato
recentemente riaperto, incrementato dall'ulteriore tratto Baku - Supsa in
Georgia) ed il corridoio del Caspain Pipeline, già citato (Tengiz,
Kazkhstan-Novorossijsk-Russia)
A ovest verso il Mar Nero (problemi verso eventuali transiti in Iran)
A sud verso la Turchia e gli stretti dei Dardanelli e del Bosforo (problemi dei
transiti nelle zona curda).[3]
Di fatto, ad eccezione dei passaggi verso la Russia, che mantengono anch'essi
problematiche legate a possibili sabotaggi di linea (Cecenia, indipendentisti
di varie regioni ecc.), tutti gli altri corridoi escludono completamente il
controllo statunitense o perché troppo a rischio o perché troppo
costosi. Dalla Russia gli ulteriori transiti petroliferi e di oleodotti
avrebbero privilegiato, poi, la Bulgaria a nord o la Grecia a sud (ipotesi
andate in frantumi con la guerra nel Kosovo).
Non è un caso che ora venga paventata una nuova tratta che passa, guarda
a caso, dal Turkmenistan, spingendosi, poi, in Afganistan per gettarsi infine
dal Pakistan nel mare Arabico dove sono di stanza, e non da oggi, le navi
militari statunitensi (guerra del Golfo Persico del 1991).
Allora una domanda (ed una possibile chiave di lettura): che questa guerra sia
realmente la prosecuzione ed il termine di quella iniziata dieci anni orsono in
Iraq, proceduta in Jugoslavia (Kosovo) ed approdata nelle terre desolate ed
affamate, ma sempre utili, dell'Afganistan? Cosa ne pensate dell'idea
statunitense di costituire un presidio militare permanente nel Nord
dell'Afganistan? Che sia stato pensato per difendere le libertà durature
o piuttosto gli approvvigionamenti duraturi?
Pietro Stara
Note
[1] Cfr Alberto Di Fazio, Le grandi crisi
ambientali globali: un sistema in agonia, il rischio di guerra, in Scienziati e
scienziate contro la guerra, Contro le nuove guerre, Odradek, Roma, 2000, pp
191, 192
[2] L'International Energy Agency (IEA), ente tecnico consultivo
dell'OCSE, al G8 di Mosca del 1998, ha mostrato chiaramente un picco produttivo
nell'estrazione del petrolio intorno al 2010.
[3] È utilissimo consultare il sito italiano dell'ENI (Agip)
per capirne un po' di più
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