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Da "Umanità Nova" n.39 dell'11 novembre 2001
Lager di San Patrignano, Rainbow 2001
Il lavoro rende liberi
Nella annuale sequenza di eventi mediaticamente rilevanti di cui la
città di Rimini ama rifornirsi, non poteva mancare una occasione ghiotta
di dibattito nazionale per guadagnare la ribalta, visto l'andamento tutto
sommato sotto tono del "Meeting" d'agosto dei ciellini, satolli e soddisfatti
del gran numero di deputati e senatori amici finalmente da annoverarsi fra le
fila del governo ed ora in attesa di raccogliere la giusta mercede dopo
l'estenuante attesa del proprio turno nella spartizione della torta
politico/amministrativa. Perduta l'occasione del vertice FAO, qualcosa è
infatti giunto a scuotere le cronache nazionali e chissà mai, fors'anche
quelle internazionali. Si è trattato del "Rainbow" (26/27/28 ottobre
2001), l'annuale congresso promosso dalla Comunità di S. Patrignano, da
sempre ghiotta occasione mediatica per politicanti di partito interessati ad
incrociare la spada sul fertile e redditizio terreno della tossicodipendenza e
dell'annosa questione proibizionismo/antiproibizionismo. Visto che certamente
resisteranno a lungo gli strascichi del ravvivato dibattito, sono però
necessarie alcune considerazioni rispetto ai contenuti ed ai messaggi emersi
dal "Rainbow", pur tralasciando di riportare le dichiarazioni ampiamente
diffuse da stampa e tv durante i giorni del convegno. Occorre innanzi tutto
calare i "messaggi" nel loro contesto di riferimento. I SerT, i servizi per le
tossicodipendenze pubblici che dipendono dalle Asl, malgrado le modificazioni
che sono intervenute nel passato più recente rispetto alla loro utenza
di riferimento (modificazioni legate alla diversificazione dell'uso/abuso di
sostanze, cioè al massiccio ingresso sulla scena dei contesti di
divertimento notturno di sostanze peraltro già conosciute e diffuse come
cocaina, ecstasy, ketamina e stimolanti - eccitanti vari), continuano ad
occuparsi prevalentemente di persone legate in vario modo al mondo dell'eroina.
In vario modo perché l'accesso al SerT può avvenire non solo per
volontà della persona, ma anche per altri motivi (art. 75 della legge
309/90, programmi territoriali o in comunità terapeutica in alternativa
al carcere, ecc.). Se dunque si è assistito al moltiplicarsi di servizi
specifici per gli alcolisti, di progetti per cocainomani, di interventi di
prevenzione ed informativi rivolti al "mondo della notte" rispetto all'ecstasy,
all'HIV ed ai comportamenti sessuali "a rischio", di interventi per giocatori
d'azzardo e tabagisti, si è d'altro canto dovuto fare i conti con quel
che il mondo dell'eroina, che continua ad essere il maggior azionista di
riferimento, portava ai SerT. Sostanzialmente, una richiesta generale che
può essere riassunta nella necessità di trovare forme di
convivenza con la dipendenza da oppiacei rispetto a sé stessi, e forme
maggiormente accettabili - e non punibili - dei propri comportamenti rispetto
al contesto sociale di appartenenza [1]. Questa richiesta, che proviene in gran
parte da individui adulti, spesso con una propria famiglia e figli, con
numerosi tentativi falliti di disassuefazione anche presso svariate
comunità terapeutiche, ha trovato una risposta - ma non mai una felice
unione... - nella cosiddetta "riduzione del danno". La riduzione del danno
sconta già una grave contraddizione interna: il "danno", infatti,
può essere quello che il tossicomane infligge alla propria salute, ma
anche quello che per i propri comportamenti "devianti" produce presso la
propria comunità. È per questo motivo che la riduzione del danno,
che è sostanzialmente una tattica socio-sanitaria, trova in Europa
sostenitori presso le aree laico/progressiste, mentre negli USA e nel
nordamerica è spesso sostenuta dagli ambienti conservatori e reazionari.
Ognuno, evidentemente, preoccupato di un diverso "danno", ma entrambi,
sostanzialmente, impegnati in una operazione di controllo sociale. Se quella
reazionaria, come sempre, è più evidente e dichiarata, quella
laico/progressista finisce per mascherare, dietro alla formale necessità
di tutela della salute dei tossicomani, la necessità di soffocare,
mascherare e negare le ben note contraddizioni sociali che, se non possono
essere ricondotte ad un mero rapporto di causa - effetto nello spiegare la
tossicomania individualmente, possono però ben spiegare la diffusione
delle cosiddette "epidemie" di dipendenza da oppiacei che colpiscono
inevitabilmente i ceti medio-bassi della popolazione ed i quartieri popolari
che da sempre hanno pagato e pagano il prezzo più alto in termini di
conseguenze sociali e morte, sia essa da overdose, da Hiv o da altre malattie
infettive. Con queste premesse i SerT hanno più o meno accolto un
confuso mandato istituzionale, pur riproducendo come sempre sul territorio le
disparità di risorse di ogni altro settore pubblico italiano, cercando
di coniugarlo con le nuove richieste che progressivamente la propria utenza
presentava. Un mandato istituzionale confuso, dove il controllo sociale
combatteva e combatte con l'esigenza di controllare ad ogni costo l'epidemia di
Hiv e dove i ruoli sanitari e terapeutici si scontrano e dovrebbero coniugarsi
con necessità di "gendarmeria di comunità". È in questo
dilemma che va a collocarsi la terapia con farmaco sostitutivo, ossia con
"Metadone cloridrato". Il metadone viene assunto in forma di sciroppo in
diversi dosaggi, stabiliti da un protocollo da un medico del SerT. Il dosaggio
dipende da una valutazione che il medico compie ed è verificato e
modificato periodicamente dallo stesso medico, a seconda dell'andamento della
terapia e dello stato del paziente. Ogni mattina (a meno che non disponga
dell'affidamento) questi si deve recare presso un punto di somministrazione
dove anche, a scadenze prestabilite, si sottoporrà al test delle urine
per verificare la presenza o meno di metaboliti di altre sostanze diverse dal
metadone. La terapia metadonica può essere a scalare o a mantenimento;
vale a dire, mirata a raggiungere in un tempo stabilito la disintossicazione
anche dal metadone, oppure semplicemente rivolta a mantenere il paziente
astinente dall'uso di eroina e quindi non necessitante di intraprendere azioni
illegali volte al procurarsene (spaccio, prostituzione, rapine, scippi, ecc.).
Va da sé che il metadone, "farmacologicamente corretto", è
comunque una sostanza che produce dipendenza (è venduto anche al mercato
nero insieme alle altre sostanze di spaccio) e che la disintossicazione da
metadone è più lunga e difficoltosa di quella da eroina, in certe
condizioni. È proprio mentre in Italia e nel mondo si va definendo la
"clinica del metadone", ossia la definizione di protocolli di intervento
nell'impiego di questo farmaco, che si sviluppa il dibattito sulla riduzione
del danno. La riduzione del danno richiede il contatto e se possibile
l'aggancio con il maggior numero di tossicomani possibile, se non con la
totalità; ovunque siano, ovunque si ritrovino, occorre essere presenti
con "operatori di strada" che avranno la funzione di orientare ed informare i
tossicomani "attivi" circa la disponibilità di servizi pubblici o
privati per cessare l'uso di eroina, qualora questi lo chiedano. Nel frattempo,
anche, avranno la funzione di distribuire a scopo preventivo siringhe monouso,
acqua distillata, profilattici, materiali informativi sul rischio di overdose e
sui comportamenti legati alle malattie infettive (i famigerati materiali
informativi che "insegnano a drogarsi"...). Negli anni '90 si consuma per
questo motivo la frattura fra SerT e comunità terapeutiche, o comunque
con gran parte di esse. Il metadone è visto dagli operatori delle
comunità nella migliore delle ipotesi come una interferenza che inquina,
"sporca" il rapporto terapeutico ed impedisce un reale processo di cambiamento;
nella peggiore, un buon sotterfugio che il tossicomane utilizza in combutta con
gli operatori dei SerT (denominati, in questo caso, "spacciatori di Stato") per
continuare sostanzialmente a "farsi" legalmente. Quel che conta è che
mentre le comunità si irrigidiscono nel loro rifiuto ad accogliere
persone in trattamento metadonico, la diffusione dello stesso trattamento
coinvolge e convince numeri sempre più elevati di tossicomani, spesso
anche soggetti "difficili", con numerose carcerazioni per reati legati
all'eroina, in pessime condizioni sanitarie e sociali, dimostrandosi terapia
elettiva della riduzione del danno. A fronte di questo aumento di accessi, i
SerT si attrezzano e rispondono come meglio possono e con le risorse di cui
dispongono. Chi mantenendo una funzione di semplice presidio sanitario volto al
monitoraggio della somministrazione del farmaco, chi introducendo e potenziando
funzioni legate allo sviluppo di programmi terapeutici non residenziali ed
anche di reinserimento socio-lavorativo: inserimenti in cooperative sociali,
borse lavoro, tirocini, attività di socializzazione. Inoltre,
l'insorgenza di un altro fenomeno si presenta come motivo di attrito fra SerT e
comunità: l'aumento delle cosiddette "doppie diagnosi", cioè di
persone che a problemi di dipendenza da sostanze associano disturbi psichici di
varia entità e gravità. La difficoltà data dal trattamento
terapeutico di queste persone, ed il sostanziale rifiuto ad accoglierle da
parte delle comunità, costituirà il secondo "no" che nell'arco di
dieci anni acuirà distanze e diffidenze. Oltre, naturalmente, a
determinare un notevole calo di introiti per le comunità terapeutiche.
Le comunità infatti, nella stragrande maggioranza dei casi, percepiscono
dallo Stato attraverso i SerT e quindi dal Ministero della Sanità (o dal
Ministero degli Interni in caso di arresti presso la comunità) una retta
giornaliera; cui si aggiungono gli introiti dati da tutte le attività
produttive che le persone inserite svolgono ed altri finanziamenti ed
agevolazioni di vario genere. In alcuni casi, come quello di San Patrignano,
però, non è richiesta alcuna retta e l'accesso è diretto.
I tossicomani possono presentarsi direttamente ai cancelli e richiedere
l'ingresso, oppure, se detenuti, possono richiedere in carcere - se rientrano
nei termini previsti - di scontare il resto della pena presso la
comunità. Il SerT e lo Stato conseguentemente non hanno alcun titolo sul
progetto di recupero o terapeutico che è esclusiva della comunità
di San Patrignano. "Segue" o "Non segue il programma" stabiliscono un esile
confine che sancisce la permanenza o l'espulsione dalla comunità;
espulsione che significherà per alcuni il ritorno a scontare la pena in
carcere, per altri un reinserimento estremamente difficile dopo magari diversi
anni di comunità. Il "programma", poi, si riduce sostanzialmente
all'adeguamento ai ritmi ed alle mansioni lavorative assegnate presso uno dei
numerosi settori produttivi ed all'assoluto rispetto delle norme e dell'ordine
gerarchico della comunità. La delega di ogni valutazione e decisione
circa la propria vita ed il proprio futuro costituiscono il fondamento di una
convivenza dove non esiste né può esistere spazio critico ma solo
adesione incondizionata. Tale adesione sarà poi forse premiata dopo
quattro o più anni, quando la struttura permetterà di "uscire
bene" (nel gergo degli ex di Sanpa), fornendo opportunità di lavoro o di
formazione professionale, una abitazione all'esterno ed altre forme di
sostegno. Trattandosi però di un riconoscimento del tutto arbitrario e
relativo al grado stimato di adesione della persona alla comunità ed ai
suoi valori (una adesione che deve stabilire un legame vita natural durante),
va da sé che pur "uscendo bene" non a tutti saranno concessi i medesimi
benefici di cui sopra. San Patrignano, del resto, grazie alle intuizioni del
suo fondatore, Vincenzo Muccioli, ha creato proprio in questo modo, cioè
garantendosi l'adesione ideologica di un gran numero dei propri ex, una rete
diffusa su tutto il territorio nazionale di strutture produttive, oltre che
terapeutiche, ma ha soprattutto creato una rete di gruppi e gruppuscoli di
genitori, parenti degli "ex" e sostenitori, una sorta di esercito di riservisti
diffuso in numerose città. Tali gruppi normalmente svolgono sul proprio
territorio la loro azione moralizzatrice armati di un bagaglio ideologico
sapientemente fornito dove in un fumoso calderone la riduzione del danno, la
legalizzazione della cannabis, la distribuzione controllata di eroina, il
metadone ed i SerT costituiscono i tasselli indistinti di un unico malefico
disegno portatore di distruzione e morte. Se normalmente questi gruppi svolgono
la loro funzione di "prevenzione morale" presso le proprie città, San
Patrignano può però disporne mobilitandoli in ogni occasione
ciò si renda necessario (i famosi "ventimila manifestanti" citati al
recente congresso). Si tratta insomma di un modello dove una efficientissima
organizzazione produttiva si coniuga con elementi tipici delle classiche
forme-partito marxiste/leniniste (il culto della personalità, le cellule
sul territorio...) e con elementi del fideismo cattolico (la fede in una
salvezza individuale e sociale che può avvenire solo all'interno della
struttura). La recente crisi di San Patrignano, che ha presentato il conto alla
carrellata di ministri invitati a "Rainbow", ha diverse origini, ma una
probabilmente su tutte. La gigantesca struttura produttiva costruita in decenni
necessita di manodopera per poter funzionare, e non di manodopera qualunque, ma
di manodopera a costo zero, completamente ricattabile ed assolutamente priva di
diritti sindacali: cioè di tossicomani in programma terapeutico. Di qui
l'attacco ai SerT ed alle terapie metadoniche, che sostanzialmente intercettano
potenziali utenti e quindi lavoratori. Sono le braccia, e non infatti le rette
che i SerT corrispondono per gli inserimenti, ad interessare Sanpa.
Tant'è che sembra ormai certo l'affidamento a San Patrignano della
gestione della ex Casa Lavoro di Castelfranco Emilia, in provincia di Modena.
Si tratterà di "un vero e proprio "villaggio penitenziario" (30 ettari,
attività zootecniche e colture intensive) destinato ad ospitare 200
detenuti tossicodipendenti (delle regioni Emilia Romagna, Lombardia e Liguria)
disposti a sottoscrivere un programma terapeutico e socio riabilitativo,
finalizzato al pieno reinserimento sociale e lavorativo"[2]. Al di là
del precedente che verrà a crearsi - la gestione di una struttura
detentiva da parte di una organizzazione privata -, non è difficile
immaginare in quale comunità terapeutica saranno inseriti i detenuti
all'uscita da Castelfranco Emilia. Se Maometto non va alla montagna... San
Patrignano va in carcere. L'attuale leader di Sanpa, Andrea Muccioli, ha
comunque provveduto durante il congresso a togliere ogni dubbio, qualora ce ne
fosse bisogno, tornando ripetutamente ed in più interventi sul valore
dei programmi di reinserimento socio-lavorativo, a suo avviso inesistenti
presso i SerT. Come dire: qua si viene e si verrà per lavorare. Altra
riflessione rilevante, (al di là della messe di riconoscimenti che il
governo ha tributato a San Patrignano ed al suo chiacchierato fondatore,
riabilitandolo per decreto), va fatta in merito al significativo silenzio del
Ministro della Sanità Sirchia; anche se certo nessuno si aspettava che
prendesse le parti delle "proprie" strutture, i SerT, era però da
aspettarsi una qualche difesa del potere e della lobby medica, da sempre e "per
statuto" al servizio dei poteri forti e della classe dominante. Che i medici, e
la medicalizzazione della tossicodipendenza, siano stati così facilmente
scaricati fa intuire quale sarà l'orientamento futuro in termini di
politiche per i tossicomani. Terminata la breve e pur contraddittoria parentesi
della assimilazione delle dipendenze patologiche al rango di patologie da
trattarsi in ambito sanitario con l'integrazione di interventi psico-sociali,
rimarrà la sola nuda necessità del controllo sociale. Spingendo
un gran numero di tossicomani alla semplice scelta fra comunità
terapeutica o vita di strada per procurarsi la roba, non è difficile
immaginare una ondata di microcriminalità cui seguirà la consueta
campagna di allarme sociale che a sua volta produrrà la scontata,
necessaria soluzione: più ordine, più controllo sociale,
più repressione, e la necessità di ulteriori e più
massicci investimenti negli apparati repressivi dello Stato. In altre parole,
il potere medico, cui era stata delegata la funzione di normalizzazione di un
fenomeno, ha fallito il proprio compito e deve restituire la delega: agli
apparati repressivi e ad altre istituzioni di cura che dispongono di altri
collaudati strumenti di "normalizzazione", capaci di produrre " il
comportamento adeguato ed il grado di efficienza richiesto" [3] dall'attuale
sistema produttivo. Se "la cura diventa quindi rapporto con la malattia,
cioè espropriazione del corpo dell'uomo malato, la riabilitazione della
devianza e della criminalità diventa - sotto mistificazioni ed ideologie
diverse - condanna e punizione, cioè espropriazione del corpo del
deviante e del criminale da parte delle istituzioni delegate ad appropriarsene.
Ciò che conta è che ogni fenomeno non possa esprimere la
contraddizione che esso rappresenta"[4].
Freddie Krueger
Note
[1] Già nel 1980, in "Dossier droga - Bravetta '80" di Stefano Fabbri, pubblicato sul numero 9/1980 di A Rivista Anarchica, Fabbri sintetizzava
così una possibile categorizzazione necessaria per l'impostazione di una
terapia corretta, libera e non coercitiva: "La scelta di 'uscire dal buco', per
sempre, per un certo periodo (disintossicazione temporanea), o non uscirne, ma
riuscire a non morirne, deve essere una scelta personale e libera del
tossicodipendente. E in ogni caso la scelta deve essere libera non tanto, e non
solo, per considerazioni genericamente garantiste, almeno per quanto riguarda
le droghe pesanti, quanto perché nessuna cura può essere efficace
e risolutiva se non tende a promuovere l'autocoscienza.".
[2] Ministero di Grazia e Giustizia, Ufficio Stampa, Comunicato Stampa del 18 luglio 1997
[3] Franca Ongaro Basaglia, Cura/Normalizzazione, Enciclopedia Einaudi, 1978, p. 49.
[4] Ibidem, p. 68.
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