unlogopiccolo

Da "Umanità Nova" n.40 del 18 novembre 2001

Kabul: a chi la vittoria?

L'abbandono di Kabul da parte dei Talebani davanti alle avanzanti truppe dell'Alleanza del Nord appare a tutti gli effetti un'astuta ritirata strategica ed infatti l'amministrazione americana ha fatto di tutto per ritardare la "liberazione" di Kabul, dichiarando emblematicamente che il suo obbiettivo non era tanto Osama bin Laden, ma un Afganistan libero, stabile e democratico.

La conquista di Kabul infatti sul piano militare non significa niente, come imparò a sue spese l'esercito d'occupazione sovietico che per dieci anni non riuscì a debellare la guerriglia sulle montagne, mentre invece la "vittoria" dell'Alleanza del Nord apre un periodo di conflitti per il potere tra le tre diverse etnie che ne fanno parte e costringe il governo pakistano - se vuole sopravvivere - ad intervenire militarmente contro i vincitori e a fianco dei Talebani.

Fin dall'inizio è apparso evidente che la posta della guerra in Afganistan era molto più che la ritorsione contro il terrorismo, ma un conflitto oggettivamente di natura imperialista. In gioco, come sappiamo, ci sono gli oleodotti e i gasdotti al punto che come è stato evidenziato da più parti a Kabul è iniziata una partita destinata ad incidere sugli equilibri politici che regoleranno gli scenari energetici mondiali.

Notoriamente l'Afganistan è un decisivo incrocio geostrategico di interessi petroliferi degli Stati Uniti, soprattutto adesso che questi temono una loro dipendenza energetica dal Golfo Persico. Loro nuovi possibili alleati sembravano essere la Russia e l'Iran ed in questo senso è vero che la guerra in Afganistan ha abrogato la politica energetica di Clinton intenzionato ad escludere Russia ed Iran dagli scenari strategici relativi a petrolio e gas naturali nell'Asia centrale. Invece il governo di Putin ha acquisito una nuova centralità e sembra intenzionato a sfruttarla sino in fondo, anche giocando sporco. Da un lato infatti ha fornito il sostegno politico all'intervento militare USA, fornendo basi e informazioni sul teatro d'operazioni, ma anche garantendo eventuali forniture di greggio russo in caso di crisi regionale; dall'altra ha appoggiato con rilevanti forniture militari l'Alleanza del Nord allo scopo di far perdere il controllo della situazione agli Stati Uniti.

In questo quadro un nuovo ruolo potrebbe assumerlo quindi l'Iran, certo interessato a gestire i corridoi energetici che insistono sul Mar Caspio, ma anche la Libia, dove potrebbero riprendere il business le lobby petrolifere texane legate alla famiglia Bush; e tutto questo diventerebbe persino una scelta obbligata nel caso che, in conseguenza della guerra in corso, in Arabia Saudita prendesse il potere un regime anti-americano.

L'imprevista caduta di Kabul rappresenta quindi una prima sconfitta per il governo e gli interessi USA, dato che è avvenuta prima che fossero stati raggiunti degli accordi sul dopoguerra con la Russia, ossia sul ruolo di questa nella costruenda mappa energetica della regione all'interno di una nuova spartizione del mondo tra Russia e Stati Uniti.

Di fronte a questa "vittoria di Pirro" gli USA adesso si trovano in evidente difficoltà e di fronte all'impossibilità di stabilire preventivamente con la Russia un accordo per tutelare i "corridoi" che dovranno portare attraverso l'Afganistan il petrolio dell'Uzbekistan e il gas del Turkmenistan, di certo stanno mettendo nel conto una lunga e difficile occupazione militare dell'Afganistan con il pretesto di combattere i terroristi, fornire aiuti umanitari e portare democrazia... proprio come in Vietnam.

Uncle Fester



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