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Da "Umanità Nova" n.40 del 18 novembre 2001

Il vertice WTO a Doha
Un mondo in vendita

Al momento in cui scriviamo non è dato sapere nei dettagli concreti se il vertice di Doha della WTO ha dato qualche esito. Come si ricorda, varie erano le poste sul tavolo, ereditate dall'insuccesso di Seattle: una ulteriore liberalizzazione degli scambi in materia agricola e di servizi (un tempo) pubblici, un proseguo della politica di appropriazione dei saperi attraverso l'apposizione di brevetti limitativi la circolazione di beni materiali e immateriali anche per uso non commerciale, l'apertura di mercati nuovi allo scambio mondiale decretati per norma - ulteriore prova che i mercati non si autoregolano ma si configurano in relazione al potere politico che ne danno le forme e i confini sia geografici che sostanziali.

Da questo punto di vista, sembra che tale ultimo risultato sia stato infine raggiunto con l'ingresso di Cina (contemporaneo a Taiwan) nella WTO come 143mo membro titolare, il che vuol dire l'apertura di un mercato di oltre un miliardo di futuri consumatori e futuri disoccupati strutturali, specialmente nel mondo rurale che, pur raccogliendo nel suo complesso oltre metà della forza lavoro mondiale, "produce" poco meno del 2% del PIL globale, prevalentemente attraverso l'agribusiness iperindustrializzato che taglierà fuori appunto i contadini cinesi.

Siccome l'adesione alla WTO comporta l'integrazione negli ordinamenti nazionali di tutte le norme istitutive nonché degli accordi man mano siglati, l'ingresso della Cina è una pedina di scambio politica tra l'inserimento della potenza asiatica nel consesso degli stati che contano e che peseranno sempre più nel futuro e l'uso degli immensi territori e manodopera cinesi ai fini di uno sviluppo del capitalismo globale, questa volta verso est (far west nel XIX secolo, far east nel XXI).

Contemporaneamente al vertice di Doha, si è tenuta in Marocco una sessione dei negoziati in ambito Onu sul clima, dopo i fallimenti di Bonn e Vienna. A quanto sembra, si è raggiunto un compromesso sul compromesso di Kyoto del 1997 per la riduzione dei gas tossici per le metropoli che comporterà la loro riduzione di un 5% nei prossimi anni. Poca cosa, necessaria ma insufficiente probabilmente pure per invertire il trend nocivo, comunque frutto non della ragionevolezza scientifica, quanto della mutata posizione americana dopo il colpo subito l'11 settembre. Evidentemente gli USA cominciano a rendersi conto che l'isolamento internazionale anche su temi apparentemente non politici come il clima e l'inquinamento mondiale, produce effetti disastrosi non solo sul piano della loro immagine e della loro leadership indiscussa.

L'adesione di Usa e Russia e l'ingresso della Cina nella WTO suggellano il momento di flirt politico delle tre grandi potenze per ridisegnare il nuovo ordine mondiale nell'area asiatica che costituisce con evidenza il topos per eccellenza del XXI secolo, segnando il tramonto del tradizionale scacchiere atlantico. Riflesso ne è il travaglio della Nato, che si trova senza campo di battaglia, costretta si fa per dire ad esorbitare non solo dalla piattaforma europea e dal Mediterraneo, ma addirittura fuori dall'area mediorientale.

Studi scientifici hanno dimostrato che il rapporto benefico tra commercio e guerra - nel senso che l'incentivazione del primo disincentiva il secondo - è una pia illusione dettata dall'auspicio che la forza sia il fattore di diversità tra i due termini. La struttura stessa della Wto invece dimostra come la forza, politico-economica nel primo caso, militare nel secondo, sia l'elemento di congiunzione per una medesima politica di potenza di penetrazione e assoggettamento attraverso vie e procedure differenziate. I mercati si aprono per una pressione combinata notevolmente sbilanciata e a vantaggio di stati forti, capaci di accogliere i benefici per sé a scapito di quelli altrui: la richiesta "illuminata" ai paesi del sud del mondo di adottare i costi economici di una migliore tutela dei diritti umani e del lavoro (eliminando la schiavitù e l'infantilizzazione della produzione), come se al nord tutto filasse liscio, si schiera contro la condizionalità inespressa di tutela di particolari ambiti di mercato privilegiato entro gli stati forti che non intendono "farsi" penetrare dalle "misere" attività di commercio estero da parte degli stati del sud (risorse energetiche ovviamente escluse), nonché di riservare ai migranti globali le medesime norme di tutela dei diritti umani invocate a casa altrui.

Apparentemente, ogni nazione è uguale come status nel seno della WTO, ma anche qui i paesi poveri non riescono ad avere una delegazione fissa a Ginevra, ad avere uno staff di esperti a loro disposizione per raccapezzarsi nelle norme commerciali che sempre più assumono l'aspetto di accordi privati di arbitrato internazionale mediate dagli studi di professionisti al servizio del migliore pagatore, ad avere le risorse per l'opera di lobbying che ha consentito alle imprese transnazionali di coprire ben oltre 600 degli 800 posti di invito riservati alle ong, come se la Monsanto fosse un'associazione al pari di Amnesty International!

Sempre più nettamente emerge una posizione "antimilitarista" anche negli aspetti economici e commerciali: la parola d'ordine del disarmo si traduce soltanto nella chiusura di strutture globali irriformabili, in cui l'individualismo liberale concepisce il "debole" e il "povero" fittiziamente uguale nel trattare con il "forte" ed il "ricco", anche per i soli aspetti culturali dei negoziati. Solo una sorta di federalismo macroregionale che associ popoli e associazioni di base nella tutela della vita quotidiana può costituire una barriera di argine allo strapotere delle potenze globali, statali e economiche, per impiantare parallelamente una relazione proficua e paritaria sud-sud senza intermediazioni parassitarie e senza apparati normativi e repressivi quali evocano gli accordi in seno alla WTO e le sentenze del micidiale Organismo di Regolazione delle Dispute, che rappresenta gli interessi opachi delle potenze commerciali, che decreta senza procedure di pubblicità e di trasparenza, che è composto da esperti nominati nella e dalla casta delle élite globali, e che segue criteri scientificamente alieni alla comunità mondiale.

Salvo Vaccaro



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