unlogopiccolo

Da "Umanità Nova" n.40 del 18 novembre 2001

Conflitti per il controllo delle risorse idriche
La guerra per L'acqua

In più di un articolo, nell'elencare i fattori scatenanti del conflitto bellico, a fianco del petrolio, del gas metano, dell'eroina e delle armi ho segnalato come elemento detonatore un preziosissimo, quanto scarso, bene primario: l'acqua. Ebbene, nel mio peregrinare mediatico, dove un link ne tira un altro, quasi fossero bicchieri di vino, mi sono imbattuto nel sito del SISDE (Servizi segreti civili), "http://www.sisde.it", che pubblica una rivista dal nome altisonante "Per aspera ad veritatem". Girovagando qua e là vengo a scoprire un articolo del 1999, scritto da Vincenzo Strika, titolato in maniera assai significativa: "Il problema dell'acqua nei Paesi Arabi. Problemi economici e politici."

Proverò a sintetizzarvelo, raccomandandovi, come sempre, se ne avete la possibilità, di cercarvi la fonte originale.

L'autore afferma che senza alcun dubbio il problema dell'acqua, per i paesi arabi, è più essenziale del petrolio e questo per quattro motivi:

Il tenore di vita è destinato a salire anche nei paesi in via di sviluppo;

l'inquinamento atmosferico accompagnato dalla deforestazione è destinato ad alterare il clima del pianeta;

la crescita demografica va dallo 0,3% in Europa al 35 nei paesi arabi e 2,9% in Africa;

i fiumi transnazionali in condizione di carenza idrica sono suscettibili di suscitare conflitti.

Successivamente l'articolista riporta i dati disastrosi sulle possibili variazioni del clima: da 1 a 5 gradi, con condizioni di crescita della temperatura ai poli sino di 10-12 gradi e con possibili aumenti di piovosità mal distribuita (la gran parte avverrebbe sui rilievi montuosi) calcolabili intorno al 15%.

Sui conflitti relativi alle distribuzioni idriche legate ai percorsi dei fiumi, che nascono in un paese, ma transitano attraverso altre nazioni, fa da precedente politico la cosiddetta dottrina Hammon del 1985 (Hammon non a caso era un generale): non esiste un bacino fluviale con diritti e doveri nei confronti dei paesi a "valle". La dottrina Hammon nasce a seguito della contesa tra Stati Uniti e Messico a proposito del Rio Grande. Benché a tutt'oggi tale dottrina sia stata smentita da convenzioni ed istituzioni internazionali, rimane comunque un punto di riferimento per ogni nazione che non si voglia "assoggettare" a discipline internazionali.

I ventuno Paesi aderenti alla Lega Araba si estendono su di una superficie di circa 14 milioni di kmq, ovvero il 9% del globo terraqueo: di questo 9% il 40% è deserto ed un altro 40% è semi-deserto (con possibilità di desertificazione totale). Le acque rinnovabili presenti nel mondo arabo sono pari a 338 miliardi di mc l'anno a fronte di una richiesta di 172 miliardi. In futuro la tendenza (2030) potrebbe essere quella di richiedere oltre 435 miliardi metri cubi con un deficit complessivo di oltre 100 miliardi, che potrebbe aumentare sino ad arrivare a - 258 miliardi di mc.[1]

I vari tentativi di recupero dell'acqua tramite desalinizzazione (L'Arabia Saudita è in testa con una produzione annua ddi 4,2 miliardi di mc), si stanno rilevando molto costosi più per la distribuzione che non per la produzione, mentre i sistemi alternativi (pioggia artificiale, nebbia...) si sono scoperti inefficaci.

"Il fattore più rilevante sul piano politico è il fatto che buona parte delle risorse idriche (per taluni l'85%) ha origine nei paesi vicini (Turchia e Iran)."[2]

La Turchia ha avviato negli anni '80 il progetto GAP (Guney Anadolu Projesi) che comporta la costruzione di 22 dighe che dovrebbero bonificare una vasta zona meridionale (cancellando, di fatto, intere città curde), mentre il Peace Pipeline dovrebbe produrre 2,5 milioni di mc al giorno per l'esportazione. "E' chiaro che il progetto, la cui conclusione è prevista per il 2010, danneggia la Siria e l'Iraq e pertanto può alterare l'intero assetto regionale già soggetto alle note tensioni."

Il 98% delle acque dell'Eufrate ha origine in Turchia, mentre il Tigri, che nasce anch'esso in Turchia, ha il 58% delle acque in Iraq.

"Ancora più complessa è la situazione nel bacino del Giordano, che interessa Siria, Giordania, Israele, territori occupati e se vogliamo il Libano." Con la guerra dei "6 giorni" Israele si impadronì delle principali sorgenti del Giordano, ma non del bacino dello Yamuk che fa parte della Siria.

Veniamo al punto dolente: l'80% dell'acqua israeliana è tolta ai territori occupati. Israele controlla 2000 milioni di mc d'acqua le cui sorgenti si trovano nei paesi arabi. Nella sola Cisgiordania dei 700-900 mc d'acqua prodotti dalle falde sotterranee solo 130 mc vanno ai palestinesi. Un rapporto della Ue prevede che intorno al 2020 le risorse idriche di Israele saranno dimezzate ed in Giordania ridotte di 2/3.

Un altro piccolo tassello sulle ipotesi belliche che si stanno dipanando nell'area terrestre che va dal Bosforo al mar Caspio sono appunto legate all'acqua. Qui la partita si gioca a livello di potenze regionali, che hanno interessi diretti, legati alla pura e semplice sopravvivenza, connessi al recupero degli approvvigionamenti idrici, laddove fondamentali diventano le fonti sorgive, i canali di trasporto (acqua Pipeline) ed il controllo militare delle aree di transito. In un futuro a noi molto prossimo è probabile che i detentori e gli sfruttatori di questo bene primario lo potranno scambiare, nelle rispettive zone di influenza, alla pari con l'oro nero.

Pietro Stara


Note

[1] Sto volutamente tralasciando il problema dell'acqua nei Paesi Africani, non perché non sia drammatico, ma perché avrebbe bisogno di una trattazione a parte.

[2] Fonte ASCAD: Arab Center for the Study of Arid Zones and Dry Lands)



Contenuti UNa storia in edicola archivio comunicati a-links


Redazione: fat@inrete.it Web: uenne@ecn.org