unlogopiccolo

Da "Umanità Nova" n.41 del 25 novembre 2001

Scacco a Kabul

Viaggiavano rivestiti d'acciaio e armati di spada e lancia e scure da guerra e se non riuscivano a persuadere qualcuno a provare una macchina per cucire col pagamento rateale, o una fisarmonica, o un recinto di filo spinato, o un giornale proibizionista, o una qualsiasi delle mille cose che cercavano di vendere, lo eliminavano e proseguivano.
(Mark Twain, "Un Americano alla corte di Re Artù")

La vera guerra è iniziata con la caduta di Kabul, così titolava un quotidiano del Qatar all'indomani della sbandierata liberazione della capitale afgana, ed aggiungeva: "Con il ritiro dei Taleban l'equilibrio della regione è mutato drasticamente ed è ora che inizia la partita tra USA, Russia, Iran e Pakistan e le varie componenti etniche del paese".

Sullo scorso numero di UN si era già accennato, seppure frettolosamente, allo scenario che si andava aprendo e la dinamica degli ultimi avvenimenti lo sta confermando.

Aldilà della retorica patriottica contro il terrorismo internazionale, gli interessi statunitensi in questa guerra erano e rimangono evidenti:

- il controllo dei corridoi strategici costituiti da oleodotti e gasdotti nella regione;

- il controllo dei giacimenti petroliferi nella zona del Caspio;

- la possibilità di stabilire basi militari in Medio Oriente e a ridosso di paesi con potenziale bellico nucleare;

- indebolire l'Unione Europea ricattando e dividendo i singoli Stati che ne fanno parte.

Parlando però di interessi USA deve essere chiaro che non abbiamo di fronte il mitico Impero, ma interessi economici che si fronteggiano, si alleano e si scontrano. Non è perciò la politica statunitense, tesa a dominare il mondo, a determinare le guerre ma la stessa logica del capitalismo che rende necessaria per il dominio e la sopravvivenza degli Stati una politica estera sempre più aggressiva e militarista. Tale considerazione è confermata dal dato che, dietro questo conflitto e l'imprevista caduta di Kabul, emerge in modo alquanto chiaro il nuovo protagonismo della Russia di Putin, tornata prepotentemente in gioco, che rivendica un proprio ruolo nella costruenda mappa energetica della regione nella prospettiva di una nuova spartizione bipolare del mondo. Infatti dietro la facciata dei summit, i sorrisi e le strette di mano tra Russia, USA, Cina, etc. si nascondono aspri conflitti per ridefinire i confini di influenza e sfruttamento. In tale contesto i Taleban e il miliardario Osama bin Laden, come le altre borghesie nazionali islamiche, che recriminano la possibilità di un autonomo e indipendente sfruttamento senza vincoli occidentali, forse sono antiamericani ma non certo nemici dell'imperialismo di cui risultano essere anch'essi prodotti e pedine.

La Russia - si diceva - sta giocando una partita importante, forte della sua posizione geopolitica e delle ingenti risorse petrolifere che le permettono di tenere il coltello dalla parte del manico, dopo aver fornito sostegno politico-logistico all'intervento militare USA e allo stesso tempo usato l'eterogenea Alleanza del Nord per destabilizzare i piani di Washington, dato che ogni giorno che passa con Kabul sotto il controllo militare dell'Alleanza cresce la probabilità di un intervento armato del Pakistan.

Bush e il governo USA appaiono quindi in seria difficoltà e sono davanti ad una scelta: ridimensionare i propri disegni strategici ed arrivare ad un'intesa storica simile a quella di Yalta con la Russia che da parte sua metterebbe in discussione anche il futuro dello Scudo Spaziale, oppure decidere per l'occupazione militare dell'Afganistan rischiando un nuovo Vietnam che, come prima conseguenza, comporterebbe la perdita dei principali fornitori arabi di petrolio, a tutto vantaggio di Russia, Iran e magari Libia.

Putin, in occasione dell'incontro con Bush, ha sottolineato furbescamente la necessità di riportare "la pace e l'ordine" in Afganistan, ma aggiungendo che la soluzione per il futuro del popolo afgano deve venire dal popolo stesso con l'aiuto dell'ONU il cui Consiglio di Sicurezza, dopo aver assistito inerte all'aggressione e ai bombardamenti USA, adesso sostiene l'idea di un governo interetnico di transizione a Kabul con l'appoggio armato di una forza di sicurezza multinazionale, in cui assumerebbe un'importanza centrale la presenza di truppe di Stati non invisi agli islamici per motivi religiosi, come ad esempio la Turchia, l'Indonesia, la Giordania o il Bangladesh.

Ma le probabilità di vincere sulla difficile scacchiera afgana sono assai poche e Bush, dopo aver sacrificato le sue due torri, appare un re sotto scacco.

Uncle Fester



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