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Da "Umanità Nova" n.41 del 25 novembre 2001

Metalmeccanici in sciopero
Fiom, Prc, Social Forum: la nuova alleanza

La riuscita dello sciopero e della manifestazione indetti dalla FIOM il 16 novembre modifica in maniera rilevante il quadro sindacale e sociale. È, di conseguenza, bene riflettere nel merito con la consapevolezza che siamo in una fase di movimento che non permette facili previsioni sull'evoluzione della situazione.

La dimensione simbolica

Ogni volta che i lavoratori salariati e, in particolare, i lavoratori industriali appaiono sulla scena vi è una sorta di corsa alla scoperta dell'ovvio: i lavoratori industriali esistono, sono un settore importante della società, quando agiscono collettivamente realizzano un'efficace critica pratica delle scemenze correnti sulla "fine del lavoro".

La manifestazione ha reso visibile, inoltre, un processo di modificazione interna della working class e di radicalizzazione dei settori che potevano essere giudicati meno disponibili alla lotta: i giovani proletari e gli immigrati. Che, per fare un solo esempio, i lavoratori dei call centers stiano sviluppando originali forme d'organizzazione e di conflitto non è una novità e altrettanto si può dire per i proletari immigrati. La ricomposizione di classe, il parziale e problematico quanto si vuole ma possibile, processo di ricomposizione di settori di classe si da nel conflitto.

La mobilitazione dei metalmeccanici determina oggi, al di là delle intenzioni dei singoli lavoratori, un arricchimento del fronte dell'opposizione sociale e un riporsi al centro della contraddizione di classe a fronte di una sua presunta scomparsa.

L'oggetto del contendere

Non si deve sottovalutare il fatto che vi è uno scarto evidente fra estensione e vivacità della mobilitazione e piattaforma sulla quale è stato indetto questo sciopero come quello precedente.

La FIOM chiede la pura e semplice applicazione degli accordi del luglio 1992 e 1993, di quella concertazione che è una gabbia di ferro contro il conflitto sociale e che il padronato spezza nel convincimento di potersi permettere di fare a meno di un accordo con il principale sindacato italiano.

Vi è, di conseguenza, uno scarto secco fra livello della mobilitazione e suoi obiettivi formali e su questo scarto è necessario ragionare ed agire.

È, infatti, evidente che i lavoratori coinvolti nella mobilitazione pongono all'ordine del giorno la questione salariale, quella dei diritti, quella del loro peso sociale. Dal primo punto di vista, è sin troppo noto che negli ultimi dieci anni la quota della ricchezza sociale che torna ai lavoratori sotto forma di salario non ha fatto che ridursi. Dal secondo, basta considerare l'attacco all'art. 18 dello statuto dei lavoratori per comprendere quale sia l'attuale linea di azione di parte padronale e governativa e la loro valutazione dello stato dei rapporti di forza fra le classi.

I "rapporti di forza", d'altro canto, non sono definiti da leggi oggettive dell'economia né dalla volontà divina, si tratta di una, problematica, misurazione dello stato delle relazioni sociali e possono cambiare sovente in fretta ed in maniera imprevedibile.

Il quadro sindacale

Non credo valga la pena di tediare i lettori ricordando che la radicalizzazione della CGIL, in generale, e della FIOM, in particolare, è assolutamente strumentale. Questi stessi sindacati non hanno avuto alcun problema ad accettare contratti pessimi quando cercavano e, soprattutto, avevano la possibilità di ottenerlo, un ruolo di cogestione con la Confindustria. Nemmeno si può parlare di una radicale mutazione di linea sindacale, se mutamento vi è stato si è dato dall'altra parte.

In realtà, il governo delle destre sta determinando una dinamica sindacale, ovviamente complicata, che determina una polarizzazione fra settori del sindacato (CISL e UIL) disponibili ad un rapporto non conflittuale con la destra di governo ed, anzi, intenzionati a condizionarla in qualche modo e settori (CGIL e poco altro) che rischiano di essere marginalizzati da questa dinamica.

La CGIL, di conseguenza, come direbbe Totò "quasi, quasi si butta a sinistra" perché solo recuperando un rapporto con i settori più combattivi dei lavoratori ha una speranza di salvezza.

Si spiega così lo sciopero del 16 dei metalmeccanici e quello del 12 dei lavoratori della scuola, un altro caso di rottura dell'"unità sindacale".

È possibile che si determini, nei prossimi anni, una nuova geografia del sindacalismo: da una parte un sindacato moderato, "apolitico", concertativo al ribasso costituito da CISL, UIL e sindacati autonomi del pubblico impiego e, dall'altra, una "grande CGIL" che assorbirebbe le residue sinistre della CISL e della UIL. L'attuale sinistra sindacale vedrebbe, di conseguenza, realizzato il suo obiettivo di decenni.

Il quadro politico

Paradossalmente la CGIL oggi sembra in una posizione simile a quella della CISL di un decennio addietro. È vero che i DS, a differenza della DC, formalmente esistono ancora e continuano ad ammorbare l'aria (ma anche la DC lo fa assai più di quanto non si creda) ma la loro scelta di continuare la deriva liberale libera la CGIL dal collateralismo che l'ha sinora caratterizzata.

Oggi, la cosa fa un po' ridere ma è seria, Sergio Cofferati è il capo del maggior partito della sinistra. Avendo fatto la scelta, sensata, di non correre per la segreteria dei DS e di lasciare l'onore di spaccarsi le ossa ad un maestoso rudere, ha le mani libere per giocare in proprio e per porsi come massimo dirigente di una socialdemocrazia che, sul piano parlamentare, è poca cosa.

Perché i DS abbiano deciso di proseguire nel percorso di secessione dalla propria tradizionale base sociale non è facile da spiegarsi e, comunque, meriterebbe una riflessione a parte. Nei fatti, avendo scelto il modello del "partito democratico" o, se si preferisce, visto che siamo in Europa, del "new labour" di Blair, lasciano scoperto uno spazio che l'apparato della CGIL si candida a coprire.

Un progetto del genere non può che vedere il PRC più che disponibile, per molte e comprensibili ragioni, a fare da sponda di sinistra con l'effetto di disegnare un asse, sul terreno sindacale, fra sinistra DS e PRC. Se, poi, quest'asse determinerà convergenze più significative è oggi difficile a dirsi ma non è possibile escluderlo.

FIOM e "movimento"

Un aspetto non secondario dell'attuale pratica della FIOM è stato il suo porsi come interlocutore sindacale dei vari social forum.

Funziona, in questa dialettica, il tipico meccanismo a salsiccia:

la sinistra CGIL (e quindi quella FIOM che è più forte della media) è essenzialmente in quota PRC;

il PRC, come è noto, ha scelto di porsi come interfaccia istituzionale dei movimenti contro la globalizzazione, la guerra ecc.;

nei movimenti sono presenti settori post autonomi, cattolici, ecologisti ecc. che non hanno alcuna repulsione per le interfacce istituzionali ed anzi le cercano avidamente (basta pensare alle tute bianche che non hanno avuto alcun problema ad interloquire con i democratici ed i verdi e che, quindi, non hanno alcun problema a farlo con il PRC);

vi sono in Italia almeno un paio di quotidiani che sponsorizzano un giorno si e l'altro pure il fronte unito della sinistra di opposizione.

Come si vede, le condizioni perché si giunga ad una sorta di divisione dei compiti fra CGIL, movimento no global, PRC sono già presenti. La necessità di opporsi ad un governo come quello attuale fornisce a questo processo una motivazione vera e seria che ne permette l'allargamento a settori sociali che pure hanno perfettamente chiara la natura sociale della CGIL e il carattere strumentale di tutta l'operazione. A maggior ragione, le giovani generazioni militanti possono vedere nel nuovo fronte unito antiberlusconiano una prospettiva meritevole di essere fatta propria.

La FIOM ed il sindacalismo di base

È altrettanto evidente che questa situazione non può che avere delle ricadute sul sindacalismo di base. Non si insisterà mai abbastanza sul fatto che alcune delle argomentazioni degli "unitari" sono sensate. Con la FIOM in pista pare implausibile ed è, comunque, difficile lanciare scioperi generali separati nel settore privato e, in un domani, anche in quello pubblico.

I segnali della corsa all'affratellamento non mancano. Alcuni settori del sindacalismo alternativo hanno un rapporto con la CGIL di tipo edipico che non può essere sottovalutato, basta pensare al Sin Cobas. Vi sono esperienze, come la CUB e lo SLAI Cobas, per fare due esempi fra gli altri, meno suscettibili al richiamo della foresta ma, anche se un altro mondo è possibile, i loro militanti vivono in questo mondo, devono misurarsi con la pressione dei lavoratori, con l'egemonia FIOM sulla sinistra, con la pressione del PRC.

Non credo, per la verità che la CGIL sia in grado di recuperare i sindacati di base, al contrario vi è, nelle loro componenti più significative, una cultura ed un'esperienza sufficiente a garantirne la sostanziale autonomia. Certo, vi sono e vi saranno più difficoltà che in passato almeno da questo punto di vista.

La quadratura del cerchio?

Naturalmente la quadratura del cerchio, tranne forse che nel possibile altro mondo, non esiste. Credo, però, che lo spazio per un sindacalismo indipendente dal parlamentarismo e dall'egemonia della sinistra CGIL sia reale a due condizioni:

che si sappia essere soggetti attivi nei conflitti sociali che quotidianamente si sviluppano. In altri termini, il problema reale è la qualità e l'estensione dell'intervento sindacale;

che si sviluppi una cultura dell'autonomia rispetto al quadro istituzionale e che questa cultura sia esplicitamente e con ricchezza di argomentazioni rivendicata.

Soprattutto da questo punto di vista, l'intervento dei militanti sindacali libertari può giocare un ruolo importante.

Cosimo Scarinzi



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