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Da "Umanità Nova" n.42 del 2 dicembre 2001

Notizie di guerra
La censura e il controllo dell'informazione

Ancora oggi celebriamo il caso più noto dell'antichità di smentita di un informazione militare: quello attuato da Filippide che portò la notizia della vittoria dei greci ad Atene assediata dai resti dell'esercito persiano, che, pur proclamandosi vincitori per intimare la resa alla città, erano invece stati sconfitti da Milziade nella battaglia della piana di Maratona.

Se all'epoca però bastava farsi una cinquantina di chilometri di corsa (la distanza di 42.195 metri fu inventata dagli inglesi 2400 anni dopo) per violare la censura militare, le cose oggi sono un po' più complicate.

Fu Napoleone il primo ad istituzionalizzare, con il "Bureau de l'opinion publique", la gestione della stampa e della propaganda di guerra.

La guerra di Crimea fu il primo caso di manipolazione internazionale delle notizie dal fronte: scaramucce divennero, nei resoconti degli inviati dal fronte, epiche battaglie e manovre militari sballate contro un nemico molto più debole si trasformarono in grandi vittorie.

Con l'accrescersi del peso dei mezzi di comunicazione di massa (dai giornali alla radio, alla televisione) è aumentata la necessità di controllo dell'opinione pubblica da parte degli stati. Durante la seconda guerra mondiale, il celeberrimo Minculpop italiano non era dissimile dal tedesco "Volksaufklärung" (quello di Goebbels) o dal "Commitee on pubblic information" americano o dal ministero per l'informazione inglese (quello da cui dipendeva, tra l'altro, Radio Londra).

Il controllo delle informazioni era però attuato prevalentemente a fini di politica interna: la piena consapevolezza del ruolo della manipolazione dell'opinione pubblica venne acquisita solo con la guerra del Vietnam. Sia per scatenare la guerra, con la diffusione dalla falsa notizia dell'incidente del Golfo del Tonchino del 1964 dove siluranti nordvietnamite avrebbero attaccato un cacciatorpediniere statunitense, sia per perderla (sul fronte interno) quando vennero diffuse, nel 1971, le carte segrete del pentagono che rivelavano la manipolazione della notizia.

Con lo scatenarsi delle "guerre calde" dopo il 1989 apparve chiaro che non erano sufficienti i metodi classici utilizzati fino ad allora per il controllo della stampa (autocensura dei giornalisti per patriottismo, censura sulle informazioni date dal nemico, diffusione di notizie false) e che conveniva affidarsi a chi questo lavoro lo faceva sempre: le agenzie pubblicitarie, che potevano vendere indifferentemente una guerra come un nuovo tipo di sapone.

È divenuta molto famosa, a livello mondiale, la Ruder Finn, che ha curato l'immagine dei governi croato e musulmano durante la guerra in Bosnia: benché sia Tudjman sia Izetbegovic fossero noti antisemiti, forzando le notizie sui "lager serbi" ed evocando la Germania nazista, riuscì a far schierare a favore dei sui committenti la potente comunità ebraica statunitense.

Addirittura, riuscendo ad attribuire ai serbo bosniaci la granata caduta sul mercato di Sarajevo nel 1995 (in realtà la strage fu compiuta dall'esercito musulmano), diede delle motivazioni "umanitarie" all'intervento della NATO che bombardò le postazioni serbe in Bosnia.

Durante la Guerra del Golfo la manipolazione delle informazioni acquisì caratteri di scientificità. La campagna venne affidata dal governo statunitense alla Hill & Knowlton che riuscì ad impiantare una gigantesca macchina di propaganda. Vennero girati, ad Hollywood, dai filmati che mostravano il Kuwait liberato, venne intervistata la figlia dell'ambasciatore kuwaitiano presso le Nazioni Unite (che non andava da anni nel suo paese) per dichiarare, in perfetto inglese, come gli iracheni avessero ucciso migliaia di bambini levando la corrente elettrica alle incubatrici nei reparti di maternità (in realtà la corrente non c'era per il bombardamento della centrale elettrica di Kuwait City). Fecero addirittura recitare ai marine più volte la scena della riconquista dell'ambasciata americana due giorni dopo la liberazione della capitale. Seppero differenziare l'informazione per target di pubblico: sui giornali sportivi comparve la notizia (completamente falsa) della fucilazione di tutta la nazionale di calcio kuwaitiana.

Ci furono anche altri attori della falsificazione delle informazioni in quella guerra. A cominciare dal Dipartimento di Stato americano che convinse Ra Fahd dell'Arabia Saudita ad associarsi alla coalizione mostrandogli delle false foto satellitari sulla disposizione dell'esercito iracheno.

Un altro protagonista della campagna informativa di quella guerra fu la CNN. Non solo perché diffuse il filmato del cormorano inzuppato di petrolio per rappresentare il disastro ecologico dell'inquinamento del Mar Rosso (in realtà le immagini erano state riprese al largo dell'Alaska, durante il naufragio di una petroliera) o perché facessero le trasmissioni dagli studi indossando le maschere antigas (quando non c'era, ovviamente, alcun pericolo), ma perché riuscì ad avere il monopolio delle informazioni dall'Iraq. Grazie al fatto che l'unico corrispondente straniero a Baghdad fosse Peter Arnett, riuscì a far vedere quello che non c'era (un video gioco con lucette che si avvicendavano nel cielo) e a non far vedere quello che c'era (200.000 soldati iracheni uccisi mentre si ritiravano, i morti e le distruzioni di Baghdad).

Quanto fosse cruciale il monopolio delle immagini televisive (le informazioni giornalistiche hanno molto meno peso perché colpiscono meno l'immaginario collettivo) lo si è visto con la guerra alla Jugoslavia. Gli "effetti collaterali", la fine dell'alibi delle "bombe intelligenti" ha messo in seria difficoltà la gestione mediatica della guerra, tanto da suggerire (oltre ai consueti proclami di una vittoria che non c'è stata) una fine delle ostilità in una situazione ancora oggi non chiara (il Kosovo è formalmente iugoslavo ma, sotto il controllo della NATO, è divenuto il più grosso fattore di instabilità dell'area).

Per non ripetere questi errori, fin dall'inizio di questa guerra gli USA sono ricorsi ad Hollywood, consultando i produttori cinematografici.

Non sappiamo a chi abbiano affidato, stavolta, la regia della campagna pubblicitaria per gestire la guerra, ma siamo certi che ci sia qualcuno che muove i fili dell'informazione.

La CNN è riuscita ad assicurarsi anche stavolta il monopolio dell'informazione dal fronte nemico: stipulando un contratto di esclusiva con Al Jazeera, l'unica emittente presente in Afganistan prima della "strepitosa avanzata" è riuscita ad oscurare, agli occidentali, qualsiasi cosa non fosse gradita al governo USA.

Non appena la Casa Bianca ha richiamato i giornalisti all'ordine, la CNN ha diramato sette "regole di autoregolamentazione" che sanno molto di censura. Le regole sono del tipo: "non mostrare immagini di vittime civili dei bombardamenti" (per cui nel mondo non si è vista più alcuna vittima civile), "ricordare ogni volta che la guerra è per vendicare i cinquemila morti delle Twin Tower" (che intanto sono diventati 2600), "far presente che i taleban usano scudi umani e che proteggono degli assassini", "ribadire che il pentagono ha lanciato un ultimatum, proprio per evitare vittime civili". La parola chiave sembra "contestualizzare le immagini": fa troppa paura che la gente possa capire qualcosa da sola e quindi "Bisogna ricordare che sono i taleban i responsabili di quanto sta avvenendo oggi in Afganistan".

Lo stesso atteggiamento di attacco e censura a tutto ciò che è "antipatriottico" sta pervadendo il potere americano. Lynne Cheney, la moglie del vicepresidente USA, per mezzo di un'associazione da lei fondata, l'ACTA, ha diffuso una lista nera di 39 professori universitari che hanno espresso perplessità sulla politica statunitense.

Il congresso americano ha promulgato una legge che consente l'arresto a tempo indeterminato e senza motivazioni di qualsiasi cittadino straniero nel territorio degli Stati Uniti (attualmente sono detenuti in queste condizioni circa 1.200 persone, ma anche il loro numero è incerto). Hanno istituito i tribunali speciali, militari, davanti a cui poter condannare chiunque, anche a morte, senza la minima prova. Stanno discutendo sull'opportunità di legalizzare la tortura e, vista l'arbitrarietà degli arresti, ci immaginiamo in quali condizioni debbano svolgersi gli interrogatori.

Così facendo sono riusciti a mettere la sordina ad una campagna militare che si stava rivelando fallimentare trasformandola, come di consueto, in un glorioso successo.

Dopo settimane di bombardamenti apparentemente inutili, con l'ovvio corollario di vittime civili e la distruzioni di edifici che con la guerra non avevano nulla a che fare (gli ospedali, i depositi alimentari dell'ONU, interi quartieri di Kabul), aumentavano sempre più i dubbi sull'efficacia (e sugli scopi) della guerra. Tutto ad un tratto, per fugare qualsiasi dubbio, ecco arrivare il crollo del regime talebano.

C'è una notizia economica di questi giorni che ci può aiutare a capire cosa stia succedendo in Afganistan: da quando è stato invaso la moneta locale, l'afgano, si è rivalutata rispetto al dollaro.

È la prima volta nella storia economica del pianeta che avviene un evento del genere. Le monete dei paesi sono garantite dagli stati che le emettono: è impossibile che una moneta di un regime che non c'è più acquisti valore... a meno che non si sia riversato un fiume di dollari in Afganistan in questi giorni, magari per comprare, come consuetudine nella storia afgana, i vari signori della guerra locali e garantire una vittoria quasi indolore.

Come questa vittoria sia effimera lo si vedrà nelle prossime settimane quando verranno al pettine due nodi fondamentali.

Il primo è stato il mescolarsi di interessi di altre nazioni (Russia, Iran e Pakistan) nell'area. È prevedibile che si crei una situazione bosniaca dove ogni etnia è controllata da un signore della guerra locale con propri riferimenti internazionali. Se non vogliono ricorre alla più comoda "guerra per procura" rischiano di trovarsi impantanati in un nuovo Vietnam dove i loro stessi alleati gli si potrebbero rivolgere contro. Se si comportassero come hanno fatto tutti finora in Afganistan, limitandosi a finanziare una fazione per tutelare i propri interessi, gli USA non potrebbero poter far valere la propria superiorità militare. Ad oggi l'unico obiettivo che hanno raggiunto, con questa roboante vittoria è stato quello di far rientrare nel gioco afgano la Russia e l'Iran.

Il secondo problema lo stanno dimostrando nella propaganda verso gli islamici: la "Voice of America" trasmette in arabo classico che è compreso solo dal 2% della popolazione, tra l'altro prevalentemente dai religiosi, visto che è la lingua del corano: è come se durante la seconda guerra mondiale avessero irradiato le trasmissioni in Italia in latino, visto che si usava a messa. Nessun diplomatico o politico americano parla in arabo, non hanno contatti con alcun "opinion maker" islamico (del tipo di quelli di Luttwak con Santoro, per intenderci), e la stessa Al Jazeera è invisa agli islamici perché considerata troppo filoamericana. Il colmo del ridicolo lo hanno dimostrato con i volantini lanciati dagli aerei insieme alle bombe in Afganistan: ad una popolazione prevalentemente analfabeta hanno scritto che il corano condanna l'uccisione degli innocenti, dando per scontato che in un paese dove la televisione è vietata, l'energia elettrica (nelle zone dove c'è) arriva di rado e la radio trasmette solo versetti del corano, tutti sapessero cos'era successo a New York. Hanno anche scritto che i "mujaheddin griffati Gucci" erano estranei all'islam, come se tutti conoscessero lo stilista italiano. Aspettiamoci molta rabbia da parte dell'Islam verso gli occidentali.

Francesco Fricche



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