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Da "Umanità Nova" n.42 del 2 dicembre 2001

Dibattito/le giornate di Genova
Per una critica radicale, cioè non simbolica

Là dove domina lo spettacolare concentrato domina anche la polizia
G. Debord, La società dello spettacolo

Non esiste critica radicale se questa non mette in discussione la potenza simbolica del dominio ed il ruolo delle opposizioni spettacolari e da questo punto di vista lo scenario genovese ha messo a nudo quanto sia insidiosa, ambigua e pericolosa ogni rappresentazione simbolica del conflitto.

Tale rappresentazione infatti, al contrario delle illusioni dei suoi sostenitori, non comunica quello che si vorrebbe: lo scontro comunica lo scontro, non produce consapevolezza critica ma tutt'al più crea , attraverso il sangue e l'adrenalina, emozioni che, in quanto tali, sono effimere e facilmente canalizzabili da chi è in grado di pilotarle o di sovrapporvi altre emozioni ancora più forti.

I fatti di per sé difficilmente comunicano, solo le parole possono farlo interagendo con la memoria.

Questo discorso riguarda quasi tutto il cosiddetto movimento no-global, a partire dal fatto che è raramente stato in grado di intuire che i vari summit dei poteri economici e politici mondiali hanno avuto e continuano ad avere una funzione soprattutto simbolica e che dietro alle passerelle e ai banchetti c'è soltanto un dominio che può tranquillamente sostituire il consenso col terrore, la disinformazione o i ricatti morali.

Come ha osservato Oreste Scalzone infatti "trattasi di un rituale di potere, un rito necessario, che funziona come potere costituente, verso l'instaurarsi di nuovi Poteri costituiti: manifestamente, la sovraesposizione è necessaria a radicare forzosamente la legittimazione di un processo di costituzione di forme di Stato mondiale/società civile planetaria".

Senza neppure sospettare la funzionalità della sua parte, il Genoa Social Forum, col suo esercito di sognatori, si prefiggeva l'assalto simbolico alle recinzioni della Zona Rossa, dichiarando in anticipo di voler assediare e violare SIMBOLICAMENTE il territorio dell'Impero.

Da parte loro, altri, hanno preferito infrangere vetrine di banche e dare alle fiamme auto di lusso, scegliendo la strada di un conflitto altrettanto simbolico ma soltanto un po' più hard di quello dei "disobbedienti". La vetrina rotta è divertente e fa la felicità del vetraio di turno (Do you remember IL MONELLO di Charlot?) ma di certo la banca è assicurata contro tale evenienza, così come la distruzione di un'auto da ricchi farà sicuramente contenta la casa produttrice dato che il "ricco" se ne comprerà una nuova e più costosa di quella precedente.

Inoltre il problema del "gesto" simbolico, sia questo individuale o collettivo, illegale o legalitario, pone sempre il problema della sua interpretazione e anche quello apparentemente più semplice e di facile lettura, nel momento in cui è "mediato" dall'informazione dominante, si espone ad essere reinterpretato; non a caso, già alcuni anni fa, di fronte a quanti teorizzavano il potere delle immagini, si sottolineava il potere semmai delle didascalie.

Queste contraddizioni, dopo Genova, si sono ancor più evidenziate.

Così, quelli che poche settimane prima avevano "rivendicato" politicamente la rottura delle vetrate del consolato onorario svedese a Venezia, si sono avventati contro quelli sospettati di aver fatto lo stesso con le vetrate delle banche genovesi.

In modo altrettanto schizofrenico, quelli invece che avevano criticato le Tute Bianche per un certo carattere militarista delle proprie sceneggiate in uniforme, hanno finito per riproporsi come semplice immagine AL NEGATIVO delle Tute Bianche, a partire dalla scelta del nero.

A tal proposito va ricordato come le Tute Bianche a Genova decisero di non indossare la famosa divisa del disobbediente civile, in quanto i loro dirigenti temevano con tutta evidenza che i media finissero per veicolare l'immagine di giovanotti in Tuta Bianca, ormai fuori controllo, intenti a fare cose tutt'altro che non-violente così come si era peraltro già intravisto a Bologna in occasione della mobilitazione contro il raduno di Forza Nuova.

D'altra parte, fin da Seattle, le forze dell'ordine hanno potuto contare anche sulla responsabilità di settori "pacifisti" del finto-movimento antiglobal, "compenetrati dalla necessità di gestire l'immagine di civismo e di responsabilità della maggioranza dei manifestanti" al punto da sottoscrivere "contro ogni evidenza ed al prezzo di un'affrettata revisione della concezione di azione `non-violenta' che loro stessi ostentano e praticano, la comoda interpretazione stalinista...: dato che questi giovani `anarcs' non obbedivano a loro, erano dunque manipolati dalla polizia" (René Riesel).

Ma come scritto prima di Genova da P. Ferraris su Invarianti, "di fronte alla rappresentazione sempre uguale che ambedue gli antagonisti ufficiali (organizzatori del `movimento globale contro la globalizzazione' ed organi capitalisti, di governo e di polizia) hanno prodotto per tutte le puntate di questa nuova modalità di confronto (...) si tratta invece di spezzare la sequenza unificata di incidenti più o meno ben preparati" e, se gli attuali rapporti di forza non sono tali da imporre la rivolta sociale generalizzata, la scelta di disertare e sabotare gli spettacoli sotto la regia del potere è già una scelta sovversiva.

KAS



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