unlogopiccolo

Da "Umanità Nova" n.42 del 2 dicembre 2001

A scuola con "Letizia"
Per i preti e per i padroni

Per chi si trova di fronte alle recenti iniziative del governo sul terreno scolastico è lecita una domanda che proverò a schematizzare.

"è sin troppo chiaro che il governo intende:

  1. Ridurre la spesa per la scuola pubblica e, in particolare, il numero dei dipendenti oltre che deprimere le retribuzioni ed altre nefandezze del genere.
  2. Sostenere la scuola privata in genere e quella confessionale in particolare.
  3. Favorire la gestione di tipo confindustriale della scuola nel suo assieme oltre che gli interessi della stessa Confindustria.
  4. Rafforzare il ruolo dei dirigenti e dare alle scuole un taglio aziendale.
  5. Ridurre le libertà sindacali e quella di insegnamento.
Esiste un'idea di scuola da parte della destra e, nel caso, in cosa si differenzia da quella della sinistra visto che i punti citati segnalano fra destra e sinistra solo differenze quantitative e non qualitative?"

Proverò a dare alcune risposte sintetiche sulla base dei materiali sino ad ora disponibili.

In primo luogo, la quantità, in questioni di questo tipo, comporta mutazioni qualitative evidenti. La destra sta conducendo a compimento alcune operazioni iniziate dalla sinistra ma lo fa, potremmo dire, senza cattiva coscienza o, per dirla da materialisti, avendo ben chiaro chi sono gli azionisti di riferimento da accontentare e curandosi di meno degli interlocutori che verranno scontentati.

La destra ha, per fare un esempio clamoroso, affidato, come segnalavo nel precedente numero di Umanità Nova, la presidenza della Commissione per la deontologia professionale del personale docente al Cardinale Tonini.

D'altro canto al buon cardinale un ruolo di consulente del defunto Ministero della Pubblica Istruzione, oggi ribattezzato Ministero dell'Istruzione Università e Ricerca (non più pubbliche, con ogni evidenza, e per scelta del precedente governo), era già stato offerto un paio di anni addietro dal defunto, politicamente Luigi Berlinguer, allora ministro prima di venire travolto dalla rivolta degli insegnati contro il concorso indecente che aveva cercato di imporre agli insegnanti.

Dietro la notizia più "d'effetto" vi sono, però, scelte ben più significative. Scopriamo, infatti, che della "Commissione per la deontologia professionale del personale docente" fanno parte, fra gli altri:

  • Rosario Drago (Associazione Nazionale Presidi distintosi nella vittoriosa battaglia per ottenere la dirigenza scolastica con il conseguente aumento di potere e retribuzione ai presidi e capi di istituto);
  • Giuseppe Savagnone (direttore del Centro Diocesano per la pastorale della cultura e dell'Ufficio regionale per la cultura, la scuola e l'università della Conferenza Episcopale Siciliana);
  • Emilio Brogi (Alleanza nazionale);
  • Carla Cerofolini (Forza Italia);
  • Luciana Lepri (Fondazione Nova Spes notoriamente legata alla destra sindacale corporativa)

Della "Commissione per l'applicazione della legge sulla parità tra la scuola statale e non statale" fanno, invece, parte:

  • Franco Garancini (fra l'altro notista di "Avvenire" organo dell'episcopato italiano);
  • Don Guglielmo Malizia (pedagogista Università Salesiana);
  • Enzo Meloni (Presidente Agesc l'associazione che raccoglie le famiglie che sostengono la scuola cattolica);
  • Franco Nembrini (Responsabile Scuola della Compagnia delle Opere, braccio economico di Comunione e Liberazione);
  • Attilio Oliva (ex Responsabile Scuola di Confindustria).

È, quindi, evidente che è entrato in crisi il precedente modello concertativo e che la signora Letizia Arnaboldi Brichetto Moratti, oltre ad avere fatto una sorta di pulizia etnica al ministero, ha rotto la concertazione con i sindacati di stato (ed in primo luogo con la CGIL) per valorizzare a pieno altri interlocutori.

La scelta di immettere in ruolo mediante un concorso pro forma ben 14.000 insegnanti di religione, nel mentre si taglia l'organico, segnala una determinazione nel costruire una propria guardia pretoriana e nel garantire alla chiesa il ruolo di ufficio di collocamento che va presa in considerazione. Fra l'altro, questa scelta porta alla rottura del fronte sindacale visto che la CISL è d'accordo mentre la CGIL si riscopre sensibilità laiche e giacobine che aveva messo in soffitta qualche decennio addietro.

Questo per l'oggi e il futuro più immediato. Il governo, d'altro canto, sta mettendo a punto un suo progetto di riforma della scuola già noto nei suoi caratteri generali e consistente essenzialmente:

  1. Nella precoce (dodici anni) divisione degli studenti fra coloro che andranno al liceo e quelli che entreranno in un sistema di formazione professionale.
  2. Nella salvaguardia del vecchio tipo di liceo, magari ammodernato in qualche modo, al fine di accontentare la tradizionale classe media ed i docenti "vecchio stile" dei licei stessi.
  3. Nella fine di ogni illusione che il settore della formazione professionale in senso lato (l'80% della secondaria superiore) abbia una significativa valenza culturale di carattere generale.

Non vi è in questa sede lo spazio per addentrasi nei dettagli di un progetto del genere. Fra l'altro, i materiali a disposizione sono ancora preparatori. Probabilmente verranno studiate delle "passerelle" ascendenti per permettere a qualche ragazzo inserito nella formazione professionale di passare al liceo se particolarmente "meritevole" e discendenti per chi al liceo si dimostrasse inadatto come non sono da escludersi percorsi per passare dalla formazione professionale a corsi di tipo universitario predefiniti.

Il cuore del progetto è, però, chiaro: la scuola pubblica non si propone nemmeno formalmente come diritto universale e come strumento di mobilità sociale. Qualche compagno potrebbe affermare che, in fondo, si tratta della fine di una menzogna. La scuola pubblica attuale è, essenzialmente, uno strumento di inquadramento da parte dello stato e, anche dal punto di vista delle possibilità di lavoro reali che offre, non fa che confermare l'attuale stratificazione sociale. Un "classista" duro e puro potrebbe considerare un bene la rigorosa separazione degli ordini di scuola per gruppi sociali di origine e di destinazione.

Credo, però, che dovremmo porci, a questo proposito, in una prospettiva diversa. Se anche è vero che non vi è alcuna scuola effettivamente "pubblica" da difendere, è anche vero che l'ipotesi sulla quale il governo lavora tende a eliminare il carattere complesso e contraddittorio della formazione e a piegarla completamente alle ragioni dell'economia.

Dall'attuale equivoco sul carattere pubblico della scuola si può uscire, in altri termini:

  • sviluppando le contraddizioni che attraversano questa scuola e operando per liberarla dagli interessi mercantili e statali, e riconosco che non è un percorso facile;
  • rivendicando il carattere mercantile della formazione per le classi subalterne e lasciando solo a quelle medio alto l'accesso ad un sapere non immediatamente funzionale al lavoro.

Tertium non datur, almeno a mio avviso e, di conseguenza, si tratta di operare nella prospettiva di opporsi alle operazioni in corso non per difendere il passato ma per rivendicare un altro, possibile, futuro.

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