Da "Umanità Nova" n.43 del 9 dicembre 2001
Viaggio al capolinea delle pipeline
Il petrolio kazako: da Karachaganak al Mar Nero
Premessa
Queste brevi note servono ad introdurre i problemi derivanti dall'uso massiccio
di risorse naturali costituite da idrocarburi gassosi, principalmente metano,
che alcune compagnie occidentali praticano nella regione situata tra il mar
Nero e l'area caucasica settentrionale.
I contenuti sono stati raccolti tra documenti, contatti con persone del luogo e
traduzioni di articoli esteri.
1. In Kazakistan passando per l'Italia e per il mar Nero
Attraversando il Kazakistan, si va dagli Urali fino al lago d'Aral e al mar
Caspio.
Se, da una parte, l'ambiente naturale, contrassegnato da una crescente
aridità nel procedere da nord a sud, ostacola la valorizzazione agricola
del territorio, dall'altra il sottosuolo ricco di risorse minerarie costituisce
il principale fondamento del suo rapido sviluppo economico.
Dopo un periodo di recessione seguito alla disgregazione dell'Unione Sovietica,
lo Stato Kazako ha avviato un vasto piano di discutibili riforme che ha esposto
il territorio alla colonizzazione/invasione degli investitori stranieri.
Ci sono investitori/produttori italiani impegnati? La risposta è
affermativa.
Principalmente si tratta dell'ENI, che tende a portare il marchio del cane a
sei zampe in giro per il mondo, alla conquista di nuove fonti di fatturato.
Nel piccolo centro di Karachaganak l'Eni, la BG (British Gas) e la Texaco hanno
avviato iniziative significative di sfruttamento soprattutto di metano, pur con
le difficoltà incontrate nel risolvere, per l'export, il problema dei
trasporti.
L'attenzione dell'opinione pubblica e dei movimenti ambientalisti, non solo in
questa fase, è focalizzata particolarmente sul petrolio, tralasciando
quasi del tutto gli aspetti legati allo sfruttamento dei giacimenti di sostanze
gassose.
Al fine di risolvere il problema del trasporto verso l'Europa (quello del
trasporto verso l'Asia lo si sta risolvendo attualmente in Afganistan),
è in corso d'opera il progetto denominato Blue Stream.
Blue Stream è una lunga pipeline, un gasdotto. Un gasdotto destinato a
trasportare il prezioso metano fino alla Turchia.
Il gas del Kazakistan viaggia nella pipeline onshore costruita da Gazprom fino
a Beregovaya, sul mar Nero, dove il gas sarà ricompresso per compensare
le perdite di carico, e immesso sulla sezione offshore fino in Turchia. La
sezione offshore è Made in Italy. Con notevole impatto ambientale
e sociale.
Cosa c'entra Blue Stream, in costruzione tra la Russia e la Turchia, con il
Kazakistan? Perché non si parla di distruzione della fauna marina del
mar Nero ma della piccola località di Karachaganak, situata nel nord
ovest del Kazakistan, ai piedi degli Urali?
Quello che si può osservare è che Karachaganak è sia fonte
di petrolio sia fonte di gas, con decisa predominanza quantitativa di
quest'ultimo. Blue Stream c'entra eccome! Sarà il gas di Karachaganak
(in parte già lo è) ad essere convogliato, una volta giunto al
Caspio, nel settore on-shore di Blue Stream, per poter soddisfare la fame di
gas della Turchia, come vogliono farci credere. Sì, farci credere,
poiché in tutto questo, secondo la modesta valutazione di chi scrive, la
Turchia c'entra ben poco.
Poiché lo scrivente segue le questioni legate al mondo energetico da
dieci anni, il sapere che è in costruzione una pipeline che termina in
Turchia fa saltare subito alla mente un'altra pipeline molto più antica:
la Istanbul-Trieste-Ingolstadt. L'ipotesi più credibile appare
essere la rivendita del gas (ancora una volta) a Paesi Occidentali quali
l'Italia, l'Austria e la solita Germania.
Tra l'altro, se si guarda una carta geografica con il tracciato delle pipeline,
si osserverà che la Istanbul-Trieste-Ingolstad ha già causato
molti scontri sanguinosi per il controllo delle tubazioni e delle stazioni di
pompaggio (località come Sarajevo e Tuzla dicono qualcosa alla nostra
memoria?).
Torniamo in Kazakistan ed a Karachaganak.
2. Colonizzazione, popolazioni locali ed opposizione
L'Eni ha aperto i seguenti uffici in Kazakistan:
Agip Division (Ufficio di rappresentanza) Posiolok Kok tobe 2; Uliza
Stroitelnaia,1 - Almaty
Agip Caspian Sea BV (Filiale) Microdistrict Samal, 2 Building 69a - Almaty
Saipem SpA (Filiale) Abaya Street, 157 Room 11 - 48009 Almaty
Il vero nucleo operativo, non di rappresentanza o amministrativo, è il
campo di Karachaganak, dove oltre alle abitazioni dei (pochi) dirigenti
occidentali e dei (molti) lavoratori Kazaki ed immigrati caucasici, ci sono i
pozzi per petrolio e gas e le stazioni di pompaggio per l'immissione nelle
pipeline esistenti.
Eni è tra i fondatori del campo di Karachaganak. Oltre tutto questo, il
gruppo Eni possiede una modesta quota (2%) del CPC. Quest'ultimo è un
consorzio per la costruzione di pipeline sia per liquidi che per gas che
uniranno il mar Caspio con il mar Nero.
Questa è la colonizzazione capitalistico/produttiva. Poi c'è
naturalmente quella culturale, immancabile.
In occasione del centenario della scoperta dei giacimenti petroliferi Kazaki,
l'ENI si è affrettata a dichiarare che "Il Kazakistan è un paese
che l'Eni ha imparato a conoscere e per il quale nutre un profondo senso di
amicizia.", con tanto di pubblicazione di un libro sul Paese.
Naturalmente non c'è solo la colonizzazione da parte dell'Eni: anche le
altre compagnie presenti nel consorzio di Karachaganak, prima tra tutte la BG
(British Gas), si comportano allo stesso modo.
Per un quadro completo della situazione kazaka, naturalmente dal punto di vista
occidentale/capitalistico, si rimanda alla pagina dell'Energy Information
Administration dedicata al Kazakistan.
La totalità assoluta delle fazioni politiche parlamentari del Kazakistan
è firmataria degli accordi con le compagnie occidentali per lo
sfruttamento delle risorse. Di conseguenza ci si trova in una situazione di
opposizione istituzionale completamente nulla.
D'altra parte, dietro una parvenza di democrazia si nasconde la stretta
dittatura del presidente Nursultan Nazarbayev.
La popolazione di tutta l'area sta affrontando seri problemi dovuti all'impatto
ambientale (sia delle installazioni petrolifere sia dei cantieri per la
costruzione della pipeline) ed all'impatto sociale dell'industrializzazione
forzata. In generale, dopo la fine coatta del nomadismo e soprattutto dopo la
caduta dell'Unione Sovietica, la popolazione del Kazakistan vive una situazione
di grossa difficoltà economica: quelli che, durante l'appartenenza
all'URSS, erano scambi di beni e servizi interni, sono ora diventati scambi
internazionali, con tutte le conseguenze del caso. Il reddito medio è
bassissimo, la poca agricoltura ottenuta con la riforma agraria sovietica
è stata riassorbita dal deserto. Restano solo i campi di estrazione di
idrocarburi in comproprietà tra la Gazprom e le compagnie occidentali.
Resta solo la possibilità di abbandonare la propria casa ed andare a
vivere per lavorare, anziché lavorare per vivere, nei campi di
estrazione.
Karachaganak è una Zona Industriale di Esportazione a tutti gli
effetti, con la differenza che non esporta beni prodotti ma energia,
impalpabile energia chimica che era la principale ricchezza del proprio
sottosuolo e che ora viene trasmessa all'opulento occidente. Uno sviluppo
fasullo, controllato e guidato da colossi economici italiani, inglesi,
americani e giapponesi.
Dal punto di vista dei danni ambientali, occorre considerare che la regione
è boscosa solo nell'area più vicina agli Urali, mentre
spostandosi verso sud diviene rapidamente desertica. La costruzione della
pipeline sta provocando la deforestazione forzata proprio del nord ovest,
cioè dell'unico polmone verde.
Secondo la IESNC (Independent Ecological Service on Northern Caucasus), alcune
ampie operazioni di deforestazione, oltreché nocive all'equilibrio
ambientale, sono anche illegali, come ad esempio l'abbattimento dei Pini di
Crimea nei parchi nazionali. Il parco naturale di Gelendzhik svanirà
rapidamente, cessando alla base la sua ragion d'essere, quando a breve l'ultima
foresta di pini sarà stata distrutta per fare spazio alle stazioni di
pompaggio della pipeline.
Stessa sorte, nei pressi del mar Nero, tocca alla riserva naturale
"Arkhipo-Osipovskoe", dichiarata "Monumento della Natura" dalla Federazione
Russa ed addirittura in corso di abbattimento illegale da parte della
SAIPEM/ENI.
In questo quadro, senza appoggi politici né interni né esterni,
il movimento di opposizione stenta a trovare spazi di espressione e di azione.
All'interno del mondo lavorativo, quasi sempre sotto dominio (nel vero senso
della parola) ENI o British Gas, sono pochi i lavoratori sindacalizzati.
All'esterno, esistono alcuni movimenti, tra i quali quello ambientalista legato
all'IESNC, ed alcune organizzazioni politicizzate come gli anarchici della
Autonomous Action.
Proprio questi ultimi, assieme ai lavoratori sindacalizzati, e quindi situati a
metà strada tra movimento di lavoratori e movimento sul territorio,
esprimono un punto di vista autenticamente "alternativo" a quello dominante.
Non trovano molti spazi a causa della forte repressione e dei pochi spazi di
agibilità forniti dalla situazione sociale ed economica kazaka, ma
appaiono in grado di raccogliere consensi nell'immediato futuro, a quanto
risulta allo scrivente da contatti diretti.
In seguito alla ricezione di un comunicato, pervenutomi direttamente da
Autonomous Action, e tra l'altro per altra via riportato su UN ndeg. 36, pag.
8, c'è stato un intenso scambio di contatti con attivisti del luogo e di
ricerca sull'argomento.
Da alcuni contatti diretti successivi alla ricezione del testo risulta che:
1. Karachaganak è un centro piuttosto esteso, formato da un 1% di
abitazioni destinate ai dirigenti occidentali, un 40% formato da abitazioni
piuttosto povere destinate ad abitanti locali e lavoratori immigrati, un 59% di
strutture di estrazione petrolifera e metanifera e relative infrastrutture.
2. L'unico 1% di abitazioni residenziali, quelle destinate ai manager
americani, europei e giapponesi, è guardato a vista da guardie armate,
un vero e proprio ghetto dorato dei ricchi sfruttatori.
3. Karachaganak è una zona energeticamente ricchissima, visto il
petrolio ed il metano del suo sottosuolo. Nonostante questa abbondanza
energetica, che qui in Italia (storicamente importatrice di energia) possiamo
solo invidiare, ai lavoratori locali ed immigrati non è concesso
né avere energia elettrica ad uso abitativo né una sola briciola
del gas per usi civili: non hanno impianti a gas per cucine, e neanche acqua
calda. Di impianti di riscaldamento, neanche a sognarne...
4. Tutta l'energia prodotta viene convogliata nelle pipeline, verso
destinazioni sconosciute (data la complessità della rete di pipeline
russe). L'unica deroga è rappresentata dalla minuscola percentuale
destinata al villaggio dei manager occidentali.
5. Per gli abitanti di Karachaganak del XXI secolo si presentano poche
alternative: se non si vuole essere costretti ad emigrare occorre accettare la
schiavizzazione nei campi di estrazione petrolifera/metanifera. Per le ragazze
esiste solo l'alternativa di vivere prostituendosi ai manager e ai tecnici
occidentali, il che spesso è l'unico modo per vivere almeno qualche ora
nel villaggio dorato senza essere buttati fuori dalle guardie armate.
Mentre gli unici oppositori a Karachaganak sono i lavoratori
anarcosindacalisti, sulle rive del mar Nero è la IESNC, ed
organizzazioni ad essa collegate, a lottare contro la posa del tratto offshore
di Blue Stream.
L'azione di protesta è principalmente su due fronti: da un lato vengono
prodotti documenti scientifici precisi, firmati anche da persone autorevoli del
mondo scientifico, in particolare chimici e fisici, dall'altro vengono
effettuate azioni dirette volte a rendere visibile il problema alla popolazione
locale non politicizzata e magari non ancora sensibile alla tematica.
Ad esempio, è stato effettuato, con successo, il blocco della enorme
nave posatubi Castoro 8 della SAIPEM/ENI da parte di ambientalisti ed
anarchici il 20 settembre scorso, con relativa "rivendicazione".
Legrand
fonti di informazione e l'approfondimento
http://italy.indymedia.org/kazak
Il dossier originale dal quale è stato estratto il presente articolo.
http://russia.indymedia.org
Resta la migliore fonte d'informazione indipendente, non filtrata e non
controllata/dominata. Il principale svantaggio (per noi occidentali) di Indy
russia consiste nell'essere completamente in russo, i documenti in inglese
restano molto rari e di solito sono posting occidentali.
ENI-Kazakistan
Il sottosito dell'ENI che pubblicizza (a volte esalta) l'opera del cane a sei
zampe in Kazakistan. Con molte informazioni qualitative e quantitative che
hanno reso possibile, dopo opportuna verifica, lo scrivere queste note.
http://www.eia.doe.gov/emeu/international/kazak.html
Il sito dell'EIA dedicato al Kazakistan. Contiene le più ampie ed
aggiornate informazioni su tutti gli aspetti energetici: dal petrolio al
carbone passando per l'elettricità. Altre pagine dell'EIA possono essere
utili per ottenere informazioni anche su altri paesi del mondo, per cui
può essere importante per ricerche simili su altre zone.
Radio Free - Radio Liberty
A dispetto del nome, a dire il vero promettente, è meglio sfatare il
mito di questo portale dedicato al mondo dell'Est. Radio Free/Radio Liberty ha
indubbiamente avuto dei meriti nei decenni scorsi, quando era una radio
clandestina negli stati sovietici e del patto di Varsavia. Oggi ha manifestato
chiaramente che il proprio concetto di libertà è quello
americano.
Nonostante questo, che comporta un presentare le informazioni condite di
propaganda politica "di parte", è sicuramente il portale con più
informazioni sul mondo dell'Est Europa e dell'Asia, sia in lingua locale sia in
Inglese.
Sul sito sono pubblicati alcuni articoli fondamentali per la profonda
comprensione del problema dello sfruttamento energetico in area
caucasico/caspica/kazaka. Da segnalare Energy politics in the Caspian and
Russia 2001.
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