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Da "Umanità Nova" n.43 del 9 dicembre 2001

La nuova grande partita
Politiche del petrolio nell'Asia Centrale

Nursultan Nazarbayev ha un problema terribile. È presidente e ex leader del partito comunista del Kazakhstan, la seconda più vasta repubblica dell'ex-Unione Sovietica.

Pochi anni fa, il paese estraeva petrolio nella zona orientale del Mar Caspio. I geologi hanno stimato che sotto le ventilate steppe del Kazakhstan giacciono circa 50 miliardi di barili di greggio, fino ad ora la più grande riserva nel mondo. L'Arabia Saudita, al momento il maggiore produttore di greggio, si ritiene ne abbia ancora circa 30 miliardi.

L'economia del Kazakhstan sovietico crollò subito dopo l'indipendenza, nel 1991. Quando ho visitato la capitale nel 1997, Almaty, sono rimasto colpito dalla totale assenza di anziani. Uno dopo l'altro, la gente era convinta che i propri genitori erano morti di malnutrizione durante il gelido inverno tra il 1993 e il 1994. La classe media locale di una superpotenza si era ridotta a condizioni di povertà estrema. Donne trentenni, che sembrano avere sessanta anni, espongono i loro corredi nuziali nei sottopassaggi nei pressi del museo statale di arte, sperando di vendere abbastanza quadri in stile realista socialista da poter tenere la luce accesa. Il salario medio é di 20 dollari al mese, quelli che non voglio rubare o sono incapaci di farlo muoiono di cancrena distesi al suolo con i loro racconti di sofferenze sui volti.

Gli autocrati tendono a morire in malo modo durante i periodi di crisi, così Nazarbayev ha pensato di impegnare gran parte dell'ultimo decennio cercando di portare in superficie il petrolio. Una volta che questo comincia a zampillare, non ci vorrà molto perché il Kazakhstan sostituisca il Kuwait come paese dell'oro nero. Ma più lungo sarà l'oleodotto, più costoso e facile sarà da sabotare.

Il percorso più breve corre attraverso l'Iran, ma il Kazakhstan é così strettamente legato agli USA da avere problemi ad attraversare il territorio di Teheran. La Russia da parte sua si é offerta a dare aiuto costruendo un oleodotto che collega i pozzi al mar Nero, ma come ha già constato il vicino Turkmenistan, i Russi hanno la tendenza a deviare il petrolio per il proprio uso personale senza pagare nulla. C'è anche un progetto per portare il greggio attraverso la Cina, ma l'oleodotto proposto, di 5.300 miglia, sarebbe sicuramente troppo oneroso.

La logica alternativa, allora, é il progetto Unocal, che vuole estendere l'esistente conduttura del Turkmenistan ai pozzi kazakhi sul Caspio e a sudest fino al porto pakistano di Karachi sul mar Arabico. Questo progetto passa per l'Afganistan.

Ahmed Rashid, esperto di questioni dell'Asia Centrale, ha scritto nel suo recente lavoro: ("Taliban: Militant Islam, Oil and Fundamentalism in Central Asia"), che il fatto che i talabani siano i produttori di circa il 50% dell'oppio mondiale li ha resi un alleato scomodo del progetto dell'oleodotto.

L'attacco missilistico lampo del 1998 sull'Afganistan voluto da Clinton ebbe lo scopo di richiamare all'ordine il regime di Kabul; hanno estirpato le coltivazioni di oppio in meno di un anno, ma hanno continuato a sostenere senza sosta i gruppi militanti islamici.

Quando una cellula egiziana, formatasi nei campi afgani, ha dirottato quattro aerei e causato la morte di 6mila persone, la pazienza americana con l'ex alleato é terminata. Finalmente Bush e i suoi hanno avuto la scusa per fare ciò che gli USA volevano fare da tempo, invadere e/o installare un regime fantoccio vecchio stile a Kabul. La realpolitik non ha alcun legame con i 6mila morti più di quanto non ne abbia con la condizione delle donne afgane; questa specie di guerra voluta dal presidente telefonista é soltanto un modo di garantire il futuro dell'oleodotto dalle interferenze della fastidiosa classe media locale.

La politica nel Centro Asia, ad ogni modo, é un castello di carta. Ogni qualvolta sposti un elemento, l'intero sistema rischia di crollare. Gli estremisti islamici in Pakistan come in Afganistan continueranno a sostenere gli attacchi contro gli USA perché l'installarsi a Kabul di un governo guidato dall'Alleanza del Nord scontenterebbe il Pakistan e richiederebbe per la sua permanenza non solo armi e corsi di formazione dei militanti ma un vero e proprio esercito di occupazione. I pashtun pakistani non tollererebbero mai di perdere un governo amico talibano per rimpiazzarlo con i tagiki dell'Alleanza del Nord. E senza la cooperazione pakistana, non c'è modo di portare il petrolio in occidente e di garantire stabilità all'Afganistan.

Come direbbe Bush, "make no mistake: é una questione di petrolio". É sempre questione di petrolio. É sempre lo stesso cliché, lo stesso noioso ma vero cliché.

Ted Rall

Tratto da Alternet e ripreso da Kater, rivista on line, traduzione di Nando Sigona



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