unlogopiccolo

Da "Umanità Nova" n.43 del 9 dicembre 2001

Diffondere la ribellione al militarismo
Smontare la guerra

La guerra continua; anzi, è con ogni probabilità solo agli inizi. E dentro questa guerra, nostro malgrado, vi è entrato anche lo Stato italiano per difendere interessi economici, supremazie ideologiche e culturali che non ci appartengono. Pur senza voler dare eccessiva credibilità ai sondaggi, sta crescendo il numero degli Italiani che si dichiarano contrari alla guerra, al punto da risultare persino maggioranza sociale; eppure, anche dopo la riuscita manifestazione del 10 novembre a Roma, è innegabile che l'opposizione alla guerra e all'intervento militare italiano stenta ad inceppare realmente i meccanismi della politica del governo che, pur con consensi limitati, vuole ad ogni costo "fare la sua parte".

L'elettorato dei Democratici di Sinistra e dell'Ulivo è sicuramente quello che appare più disorientato; ai tempi dell'aggressione contro la Jugoslavia il "compagno" D'Alema ebbe a dichiarare "se fossimo all'opposizione saremmo in piazza a protestare e contrastare questa guerra", ma alla prova dei fatti non solo i DS hanno appoggiato in Parlamento le decisioni belliciste del governo Berlusconi, ma Massimo Cacciari ha affermato che "Inviare aerei e soldati italiani è giusto, rende tutto più onesto e pulito. È un problema di etica politica. Così si fa nei paesi seri!" (Corriere della Sera del 5 novembre, pag. 6).

Il problema però riguarda anche la sinistra antagonista, l'area pacifista e il movimento anti-global, ed infatti sono in molti che, dopo aver generosamente e in più occasioni, manifestato il proprio rifiuto si chiedono cosa possono fare concretamente per bloccare la guerra.

Trovare una risposta e praticarla non è facile; anche perché, ancora una volta, le sensibilità e le volontà si sono attivate troppo tardi, a guerra già avviata, sia da un punto di vista militare che da quello altrettanto strategico della disinformazione.

Una guerra non si ferma, purtroppo, con le buone intenzioni o invocando il rispetto dell'Articolo 11 della Costituzione: una guerra si ferma solo se l'insubordinazione sociale e militare raggiunge un tale livello di massa da rendere vani gli ordini del governo, oppure se questo governo di fronte ad un esteso disordine pubblico è costretto per la sua stessa sopravvivenza ad uscire da un conflitto.

Altre soluzioni possibili storicamente parlando ancora non si sono viste, se si escludono la guerra civile e l'insurrezione popolare.

Per cui, realisticamente, nel presente occorre fare il possibile per diffondere la non-collaborazione con l'apparato militare e la ribellione contro il governo della guerra; per fare ciò occorre ovviamente contribuire a sviluppare ed organizzare le proteste, le azioni di lotta, gli scioperi, etc. ma oltre a questo si possono fare molte altre cose, sia individualmente che collettivamente.

- Mantenere alto il livello d'attenzione e diffondere consapevolezza critica su quanto sta accadendo.

- Manifestare in ogni modo la propria contrarietà alle scelte di guerra e insinuare dubbi in chi la pensa diversamente.

- Contrastare la propaganda interventista, senza complessi d'inferiorità per i nostri mezzi "poveri" che spesso si dimostrano più efficaci e diretti di quanto si possa immaginare.

- Evidenziare costantemente la totale inattendibilità dell'informazione ufficiale e le contraddizioni dei discorsi dei politici.

- Sottolineare l'incompatibilità degli interessi di classe, esistente tra chi è padrone di niente e miliardari come Bush, Bin Laden o Berlusconi.

- Disertare ogni schieramento culturale di matrice nazionalista a favore dell'Italia, dell'Europa, degli Usa.

- Seminare non-sottomissione e amore di vivere tra i giovani chiamati al servizio militare.

- Solidarizzare con le vittime della guerra, sostenendo le organizzazioni umanitarie laiche e non-governative come Emergency e Medici senza Frontiere.

Nel fare tutto ciò è però fondamentale partire sempre dalla realtà quotidiana e dal vissuto comune: dai sacrifici economici che la Finanziaria di guerra imporrà ai lavoratori e ai ceti meno garantiti, dalla psicosi delle armi chimiche e batteriologiche che spinge le persone ad acquistare inutili maschere anti-gas, dalla dilagante paura di viaggiare, dal timore di vedere i propri figli mandati in guerra, dal rischio che comporta la presenza di basi Usa e Nato sul nostro territorio, dalle produzioni di morte delle fabbriche belliche italiane, dai ricordi dei più anziani, nonché dal pericolo di perdere la propria libertà di agire, pensare, muoversi, scioperare, etc. in conseguenza delle misure poliziesche imposte dallo stato di guerra.

In questo modo costruiremo le condizioni sociali affinché, di fronte ad un probabile precipitare della situazione bellica e alle prevedibili conseguenze del coinvolgimento dell'Italia in questo conflitto, l'opposizione alla guerra possa radicalizzarsi e giocare un ruolo determinante.

Sgretolare le fondamenta ideologiche, culturali, psicologiche, spettacolari del consenso verso la guerra è quanto mai urgente e necessario per far si che il dissenso di chi afferma individualmente "non in mio nome" si trasformi in rivolta collettiva.

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