unlogopiccolo

Da "Umanità Nova" n.44 del 16 dicembre 2001

Palestina... Soluzione finale?

Quanto sta succedendo in questi giorni in Medio oriente non può essere compreso se non alla luce della guerra globale inaugurata l'11 settembre 2001. Nel ritaglio del territorio planetario secondo un nuovo ordine geopolitico e geoeconomico, anche il Medio oriente si rimpicciolisce sino a diventare un frammento di realpolitik di fronte al quale le migliaia di vittime (delle quali ogni quattro, tre sono palestinesi, nonostante gli attentati eclatanti che mietono quantità di corpi umani più numerose rispetto allo stillicidio quotidiano) sono insignificanti e prive di qualunque valore, come del resto la politica ci ha insegnato da quando l'etica è stata costretta a divorziare.

Già all'indomani dell'11 settembre, la tentazione di Sharon di fare letteralmente terra bruciata dei territori palestinesi - di cui i media omettono sempre l'aggettivo qualificativo "occupati" anche secondo le norme del diritto internazionale e le risoluzioni delle Nazioni Unite - si era scontrata con la necessità di costruire una sacra coalizione con i paesi arabi moderati, cosa che oggi forse non viene più considerato politicamente rilevante perché Bush & co. sono passati alla fase due della Guerra duratura con cui intendono conquistare il mondo alla loro mercé. Adesso non hanno bisogno neanche di alibi: i mille morti della seconda Intifada non valgono i quattromila morti delle Twin Towers neppure nelle dovute proporzioni.

Ciò che inquieta è la strategia di lungo temine della guerra duratura, non solo sul piano globale, ma anche su quello locale del Medio oriente. Sharon, come ogni leader di paesi più o meno democratici, sarà sostituito quando non servirà più alla politica di guerra della società israeliana, talmente assuefatta al nemico arabo in casa da non poter concepire un processo di pace senza quel nemico che cementifica una società integralista per principio costituzionale (ogni ebreo sparso per il mondo è virtualmente un cittadino israeliano titolare di un potenziale diritto di ritorno, cosa non concessa agli arabi espulsi dalla Palestina nel 1948, o addirittura stigmatizzata nel panserbismo di Milosevic) e che probabilmente vive di una economia di guerra almeno per un buon 50% + 1 della sua popolazione, indifferentemente dalla sua collocazione ideologica e partitica, visto che anche i laburisti al potere hanno ampliato a dismisura il cancro sociale della colonizzazione territoriale ponendo uno sbarramento colossale di non ritorno.

Ma sforzarsi con ogni mezzo di eliminare quella élite laica e corrotta di Arafat & soci, in assenza di un ricambio analogo, significa voler consegnare una popolazione araba raramente preservata dal virus del fondamentalismo islamico proprio al peggior nemico della civiltà occidentale - come recita la vulgata intellettuale del conflitto in corso sulla terra - amplificando oltremodo il medesimo errore (ma in politica anche gli errori sono frutto di calcolo politico) che fece la destra israeliana ai tempi della prima Intifada quando finanziò Hamas per indebolire Arafat. Con l'aggravante che oggi i fondamentalisti (palestinesi, arabi in genere e di qualunque tipo in generale) non conoscono il vocabolo della trattativa di pacificazione sotto nessuna sfumatura, il che apre la strada a Sharon e a chi dopo di lui di praticare l'unica "soluzione finale" al conflitto mediorientale: lo sterminio palestinese.

La necessità della convivenza tra arabi e palestinesi in due stati distinti ma intrecciati a livello territoriale era il passo debole e fragile di Oslo, che oggi paragona Israele al Sudafrica dell'apartheid, mutuando tale modello dalle enclave di protettorati regionali che il nuovo ordine del mondo sta disegnando un po' dappertutto: dai Balcani in Europa, all'Afganistan in Asia, alla Colombia in America latina, e prossimamente nel Messico del piano Puebla-Panamà e nell'Indonesia del dopo-Suharto.

Lo sterminio come azzeramento della questione palestinese è concepibile solo in questo quadro di guerra globale, militarmente praticabile, politicamente insostenibile, economicamente impazzito. Israele e il suo alleato hanno i mezzi bellici per attuare un genocidio palestinese e per vincere nei tempi dovuti ogni guerra tradizionale con i nemici arabi, qualora i regimi moderati arabi scendessero accanto i palestinesi non certo tanto amati. Il prezzo da pagare sarebbe il controterrorismo quale arma del debole in un confronto asimmetrico (e dico controterrorismo, perché ci ricorda Chomsky come il primo terrorista sia lo stato, e i poveri per definizione non possono praticare il terrore tecnologizzato, ma al limite la fuga, l'esodo). Politicamente il mondo potrebbe sacrificare i palestinesi solo a fronte di una quarta guerra mondiale o di un'aggressione all'occidente ulteriormente più grave di quella dell'11 settembre (l'uso improbabile dell'arma biochimica a tutto campo o mini-nucleare a largo raggio). Mettere in scena un simile spettacolo non sarà impossibile, però il grado di autoillusorietà degli utenti mediatici dovrà pure avere un limite di satirazione che non sia la morte fisica e cerebrale di ciascuno! Economicamente, non si capisce a che serve una guerra se non a troncare ogni deriva del capitale globale finanziario nei confronti della cui recessione (speculare all'accumulazione di ricchezze asimmetriche in capo a pochi individui e a poche realtà transnazionali quali alcune imprese e alcuni fondi pensioni) i ribassi del costo del denaro decisi da Greenspan sono acqua di rosa, nonché a bloccare ogni ragionamento politico sulla impotenza di una sfera politica che della globalizzazione impazzita ha fatto il proprio vessillo.

La militarizzazione del pianeta sembra essere la prospettiva a breve termine, secondo uno schema di apartheid globale con sacche di democrazia tollerata e regressiva rispetto ai canoni di civiltà giuridica degli stati stessi di diritto - come dimostrano le norme fasciste varate da Bush sull'arresto dei sospettati etnici e sulle corti extragiudiziali segrete degne di Cosa nostra - e poche aree salubri di privilegi fortificati e circondati in attesa di traslocare armi e bagagli (letteralmente) nelle basi spaziali da cui controllare la rivolta terrestre a distanza.

Sceneggiatura fantapolitica hollywoodiana? Dopo l'11 settembre anche i mitici studios americani si sono dovuti inchinare di fronte alla potenza mortale dell'idea e della pratica del pianeta unico, della cui realizzazione stiamo assistendo solamente al preludio. Non essendo un film con una trama, un regista e attori finti, questa sarà la nostra esistenza sulla terra da qui ai prossimi anni, dal nostro osservatorio tutto sommato tutelato rispetto a tanti altri luoghi di disperazione e di morte permanente. Ovviamente, insciallah...

Salvo Vaccaro



Contenuti UNa storia in edicola archivio comunicati a-links


Redazione: fat@inrete.it Web: uenne@ecn.org