unlogopiccolo

Da "Umanità Nova" n.44 del 16 dicembre 2001

Afganistan
La guerra dell'oppio

"A voi signori interessa scoprire il lato in ombra della luna. Anch'io allora mi sono messo in quest'ordine di idee, col risultato che mi è venuto un profondo e terribile sospetto."
I. Fleming, Agente 007 al servizio segreto di Sua Maestà

Su queste pagine abbiamo già avuto modo di prendere in considerazione l'importanza economica e politica dell'oppio che, nella guerra contro l'Afganistan, si intreccia con gli interessi legati a petrolio, idrocarburi e "corridoi" (vedi l'articolo di Robertino "La guerra e la guerra alla droga" in UN n. 41 del 25 novembre).

Cerchiamo quindi di tornare sull'argomento e fornire qualche cifra a riguardo, tenendo ben presente che a livello mondiale il volume degli "affari" legati al capitale illegale (produzione e commercio di sostanze proibite, traffico di armi, prostituzione, riciclaggio di denaro sporco, etc.) è di gran lunga superiore a quello del capitale cosiddetto legale e che in molti casi è proprio il primo a determinare la politiche e l'economia di interi Stati.

Dopo questo doverosa premessa, passiamo al caso dell'Afganistan.

La coltivazione del papavero da oppio è, da oltre un secolo, un elemento di continuità in tutta la tormentata storia afgana. Quando l'impero britannico intervenne per la prima volta in Afganistan, uno dei prodotti più lucrosi della colonia indiana che gli Inglesi volevano proteggere era proprio l'oppio che veniva trasportato in Cona e importato clandestinamente per controbilanciare l'esportazione di grandi quantità di tè dalla Cina alla Gran Bretagna. In tempi più recenti, tra le truppe sovietiche di occupazione, molti militari iniziarono a fare uso di oppio divenendone dipendenti, proprio come era accaduto a molti soldati americani in Indocina.

La produzione del papavero, durante l'occupazione sovietica, restò in mano ai contadini locali, infatti da dati ufficiali dell'ONU risulta che fino al 1978 ben l'85% della popolazione afgana aveva abitato le campagne coltivando grano, ma che con l'occupazione militare straniera, la conseguente guerriglia mujaheddin e le migrazioni interne/esterne per i pochi contadini rimasti a coltivare la terra l'oppio divenne la principale risorsa; fu così che tale coltivazione, praticata da tutte le etnie, tra il 1978 e il 1994 aumentò del 1200%, giungendo al boom raggiunto nel 1999 - sotto il regime talebano - quando da solo l'Afganistan produsse il 79% dell'oppio illecito a livello mondiale. Contemporaneamente fino al 90% dell'eroina spacciata in Europa risultava avere provenienza afgana attraverso la rotta balcanica (Afganistan, Iran, Turchia, Balcani) o, più di recente, attraverso quella alternativa Asia Centrale-Russia.

Nel 1999 il valore stimato della produzione di oppio per i contadini afgani di circa 8.000 villaggi su tutto il territorio era di circa 600 miliardi di lire, che attraverso le tasse imposte, rendevano al regime di Kabul circa 30 milioni di dollari all'anno.

Ma il 1999 é anche l'anno della "svolta" e, nel settembre, lo stesso regime decide una sostanziale riduzione della produzione, unendo l'applicazione della legge coranica al business dei consistenti finanziamenti ONU per la riconversione di tali coltivazioni, tanto più che sicuramente nei depositi è stata accumulata una tale quantità di oppio da costituire una riserva consistente, esattamente come erano solite fare le famiglie contadine che seppellivano sotto terra piccole quantità di oppio così come i nostri nonni mettevano i loro risparmi sotto il materasso in previsione dei tempi duri.

Nel luglio del 2000 con un decreto del mullah Omar i Talebani vietano quindi totalmente la coltivazione dell'oppio per motivi religiosi e, a detta degli osservatori internazionali anche americani, il divieto è applicato con rigore, attraverso arresti, sequestri e distruzioni, con gravi conseguenze sulle condizioni di vita delle popolazioni.

In conseguenza di tale contrazione produttiva l'oppio afgano, pur non di eccelsa qualità, nel 2001 ha visto decuplicare il suo prezzo rispetto all'anno precedente.

Ma se, nei territori controllati dai Talebani, la produzione è crollata verticalmente così non è stato in quelli al Nord sotto il dominio delle opposizioni che poi hanno dato vita all'Alleanza del Nord, interessate a finanziarsi in questo modo le armi per la guerriglia; tra l'altro, secondo alcune fonti, la maggior parte dei magazzini si trovavano dislocati per evidenti motivi commerciali vicino ai confini col Tagikistan e l'Iran, ossia nelle zone non controllate dal regime Talebano.

Di fronte a questo intreccio di interessi economici rilevantissimi legati alla produzione dell'oppio è quindi fin troppo evidente che tra le cause di questa guerra vi è sicuramente anche questa; qualcuno ipotizza anche tale mole di interessi non potrebbe essere estranea neppure all'attacco terroristico dell'11 settembre.

Già adesso se ne vedono alcuni effetti: il prezzo dell'oppio e dell'eroina sul mercato pakistano è sceso nuovamente in conseguenza anche del flusso di profughi provenienti dall'Afganistan con le loro piccole riserve accantonate per i momenti difficili, ma soprattutto perché i grandi depositi stanno divenendo merce di scambio per comprare armi e nuove alleanze per un conflitto che con ogni probabilità è solo agli inizi. Inoltre il governo transitorio in via di formazione a Kabul difficilmente potrà fare a meno dal riprendere la produzione dell'oppio per sanare la situazione economica e sociale interna, magari sotto il controllo dell'ONU.

Uncle Fester


Fonti:

I dati e le informazioni riportate sono in gran parte ripresi dal Dossier pubblicato in "Narcomafie" (Ottobre 2001) e dal libro di Ahmed Rashid, "Talebani. Islam, petrolio e il Grande scontro in Asia centrale", Feltrinelli ed.



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