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Da "Umanità Nova" n.44 del 16 dicembre 2001

Il Grande Gioco balcanico
Macedonia: la ripresa del conflitto armato è vicina

La guerra in Afganistan ha fatto passare in secondo piano i drammatici avvenimenti che si susseguono in Macedonia dall'inizio dell'anno. In realtà i due avvenimenti sono collegati tra loro più di quanto non si creda. In Macedonia, non diversamente dall'Afganistan, gli americani e i loro alleati hanno da tempo avviato un "grande gioco", finalizzato al controllo stretto delle aree di produzione energetica e di quelle di importanza strategica per il trasporto internazionale di merci e risorse. Come abbiamo visto in articoli apparsi nei numeri precedenti di UN, la Macedonia, che non possiede nessuna risorsa strategica, si trova al centro dei corridoi commerciali, economici e energetici che corrono dal Medio Oriente e dal Caspio verso l'Europa. Non diversamente da quanto successo nell'Asia Centrale, anche nei Balcani gli Stati Uniti hanno "giocato con il fuoco", utilizzando per i loro fini di destabilizzazione e di intervento bande armate dalla dubbia origine, finanziate e addestrate per agire in conformità con i loro interessi. La stretta alleanza, cementatasi negli anni finali della Guerra Fredda, tra gli Stati Uniti e la "nazione" fondamentalista islamica (nazione senza territorio ma con disponibilità di capitali, armi e contatti finanziari senza precedenti nella storia), ha avuto un ruolo centrale nello sviluppo delle guerre jugoslave, e continua a averlo nello sviluppo della crisi macedone. In Bosnia il governo musulmano, comunitarista e venato di islamismo tradizionale, è stato e è sostenuto dagli Stati Uniti con il concorso di capitali, armi e istruttori non solo sauditi, ma anche iraniani. Visto il ruolo avuto dall'organizzazione di Bin Laden nella destabilizzazione per conto americano della Cecenia e dell'Algeria, si può ragionevolmente supporre che lo sceicco miliardario non sia stato estraneo alle attività islamiche, sotto copertura CIA, svoltesi nel paese balcanico. Il fatto che una denuncia in questo senso sia stata fatta dai nazionalisti serbi (i grandi sconfitti delle guerre jugoslave), non toglie valore alla denuncia stessa. Certo, volendo approfondire la questione, troveremmo finanziamenti e addestramenti analoghi a quelli islamico-americani verso la Bosnia, anche nell'altro campo. L'unica differenza è che questi ultimi non arrivavano da oltreatlantico, ma dalla Russia. Ma, tant'è, il fatto che un assassinio sia denunciato da un noto pluriomicida, non vuol dire che questo, non sia avvenuto. D'altra parte, chi scrive può testimoniare di avere visionato un video girato da cooperatori internazionali dello SCI, nei quali si potevano vedere distintamente le reclute della famigerata Quinta divisione dell'esercito bosniaco (responsabile di svariati massacri etnici nel corso della guerra e della caccia al serbo, casa per casa nella Sarajevo "liberata", dopo gli accordi di Dayton), giurare fedeltà alla nazione islamica sul Corano, brandito da un mullah che presiedeva alla cerimonia.

Avvicinandoci alla Macedonia, possiamo solamente ricordare come la svolta anti fondamentalista dei paesi occidentali, sta permettendo di alzare il velo su operazioni sulle quali la copertura è sempre stata assoluta. L'ultima operazione della nostrana Guardia di Finanza, ha, infatti, permesso di svelare la triangolazione tra mafia kosovara impiantata in Svizzera, Germania e Italia da un lato, UCK dall'altro, e finanza islamica legata alla "nazione" fondamentalista a svolgere la funzione di mediazione, allocazione di risorse e garanzia di affidabilità per i committenti del Pentagono e del Dipartimento di Stato. Certo, l'indagine dei finanzieri italiani si è fermata prima di quest'ultimo livello, ovviamente precluso a indagini e scoop giornalistici, ma la filiera dei rapporti tra servizi segreti americani e europei, fondamentalisti islamici, mafiosi albanesi e bosniaci e guerriglia indipendentista kosovara, risultano chiarissimi.

Come è naturale, ognuna delle parti in causa nell'attuale conflitto balcanico stanno cercando di approfittare del rimescolamento delle carte in atto. Gli albanesi e i kosovari hanno avviato una serie incredibile di cerimonie di lutto all'indomani dell'11 settembre, allo scopo di confermare la loro fedeltà alla bandiera a stelle e strisce. L'UCK, sfiorando il ridicolo, ha addirittura offerto al Presidente Bush i propri armati per la guerra in Afganistan, giustificando questa offerta con l'addestramento dei miliziani albanesi alla guerra di guerriglia. È noto che gli USA hanno risposto cortesemente di no alla generosa offerta, ma ci immaginiamo l'imbarazzo dei responsabili del Pentagono all'idea di schierare sul campo alcune centinaia di uomini addestrati in condominio con il nuovo nemico.

Il governo macedone, ben conscio che gli accordi di Ohrid, sottoscritti a luglio, segnano l'inizio della fine dello stato unitario ha avviato una campagna di criminalizzazione della controparte albanese, segnalandone gli stretti rapporti con la "nazione" fondamentalista. Al di la del giudizio sul governo macedone, responsabile dell'innalzamento del livello di odio nazionalista tra la propria gente, l'accusa, come abbiamo visto sopra, non è del tutto peregrina. A novembre lo stesso governo, la cui composizione - ricordiamolo - è quella di un governo di salvezza nazionale: tutti dentro, socialisti, centro-destra (che controlla presidente e primo ministro) per i macedoni, PPD e PdSH per gli albanesi, ha votato i cambiamenti richiesti nella costituzione del paese. Questi ultimi, prevedono il riferimento all'esistenza di due entità comunitarie all'interno del paese, macedoni e albanesi, aprendo così la strada alla secessione delle aree abitate dai secondi. Non si tratta, infatti, del giusto riconoscimento della presenza in Macedonia di un buon quarto della popolazione di origine albanese, quanto di fornire ai gruppi del nazionalismo armato albanese le armi legali per continuare nel progetto di creazione di uno stato degli albanesi di Macedonia sulla parte orientale di questo paese. La votazione è stata compiuta all'unanimità sotto pressione americana, ma questo non ha, certo, contribuito a tranquillizzare la situazione, dal momento che nuovi scontri armati sono segnalati ogni giorno. La guerriglia albanese, approfittando del black-out informativo attuale, sta rosicchiando posizioni su posizioni all'esercito macedone, il quale è ostacolato nelle sue operazioni dalle truppe NATO schierate sulla linea del "cessate il fuoco". La ripresa della guerra è vicina, questo dato è chiarissimo a tutti nel paese balcanico, tanto è vero che, in campo macedone, si è aperta la gara per riuscire a ricoprire il ruolo di imprenditore politico del nazionalismo in tempo di guerra. I socialisti, finora quasi assenti dalla scena, hanno avuto un'improvvisa impennata, uscendo dal governo e accusando la destra di "svendere il paese agli albanesi". Per gli eredi dell'internazionalismo proletario, non c'è male. La reazione della destra, ovviamente, non si è fatta attendere: il Primo Ministro Ljiubo Georgevskij ha immediatamente annullato le elezioni, previste per febbraio dagli accordi di Ohrid. La reazione albanese è stata chiara: due mesi per convocare le elezioni, o sarà guerra. Quest'ultima, tutto sommato, è la vera prospettiva sulla quale tutti stanno scommettendo. Né i macedoni, né gli albanesi, infatti, pensano più di riuscire a mantenere uno stato unitario e multietnico; il problema per tutti, oggi, è quello di assicurarsi le posizioni migliori per la guerra e, in prospettiva, i confini migliori al momento del prossimo "cessate il fuoco". D'altronde, a luglio, il mensile Reporter, edito nella Bosnia serba, ha anticipato i piani americani di risistemazione dei Balcani. Questi, prevedono la costituzione di tre grandi stati, la Croazia (che assorbirebbe l'Erzegovina), la Serbia (che assorbirebbe la Bosnia serba, il Montenegro e il Kosovo del nord) e l'Albania (che assorbirebbe il resto del Kosovo, alcune zone del Montenegro e la Macedonia occidentale); la Bosnia e la Macedonia attuali verrebbero rimaneggiate in due protettorati americani, di minuscole dimensioni, senza sbocco al mare e circondati da vicini nemici.

Questo è dunque il quadro dell'ultima guerra balcanica, dopo un decennio di sangue in tutta la ex-Jugoslavia; a guisa di conclusione abbiamo pensato di riportare la parte finale di un articolo apparso su Le Monde Diplomatique di ottobre 2001 a firma di Jean-Arnault Derens, che mi sembra rappresenti bene quella che, oggi, è la situazione di quest'area del mondo: "I protagonisti delle guerre balcaniche contemporanee affermano tutti di voler correggere le ingiustizie della storia. Invece della pace duratura che prevedono alcuni, una vasta ridefinizione delle frontiere dei Balcani rischierebbe piuttosto di far sprofondare la regione in una guerra dei cent'anni. La Macedonia è, forse, destinata a servire da regione-cavia per la ridefinizione etnica delle frontiere balcaniche?"

Giacomo Catrame



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