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Da "Umanità Nova" n.44 del 16 dicembre 2001

Le partigiane femministe afgane di RAWA
A colloquio con Matilde delle Donne in Nero

Ho incontrato Matilde Adduci alla Casa della Donna di Torino, dove da parecchi anni si incontrano le Donne in Nero, femministe e pacifiste impegnate nella solidarietà attiva con le donne dei paesi in guerra. La loro è, con le parole di Matilde, una "diplomazia delle donne" che tenta di costruire ponti, legami, dialogo con le palestinesi, le bosniache, le croate, le serbe, con le afgane.

In questa "diplomazia" si inserisce il recente viaggio che una delegazione di Donne in Nero italiane, tra cui Matilde, ha compiuto in Pakistan, tra le donne dei campi profughi, tra quelle che da anni resistono alla violenza, all'integralismo, ai sovietici, ai mujaheddin come ai talebani. Scopo di questi viaggi è conoscere e conoscersi per costruire insieme percorsi di pace, laicità, libertà.

In questi giorni Matilde ha ripetuto la sua testimonianza più e più volte in numerosi incontri, assemblee, riunioni ma la tranquilla passione del suo racconto non è offuscata. Anzi. Finalmente, grazie a lei, ho l'occasione di cogliere la vita concreta di uomini e donne in carne ed ossa, liberati dalla pesante cappa di piombo dell'informazione addomesticata dalla guerra, dall'arida registrazione delle cifre dei morti e dei feriti, dal necessario ma estraniante esercizio di capire le ragioni del conflitto, la contabilità degli interessi, gli snodi delle pipeline, le "relazioni pericolose" tra Cia e bin Laden...

Le Donne in Nero hanno visitato alcuni campi profughi ed incontrato esponenti di associazioni umanitarie e pacifiste ma, soprattutto, hanno consolidato i legami con le donne della RAWA (l'Associazione Rivoluzionaria delle Donne Afgane) che sin dagli anni '70 si batte per i diritti e la libertà delle donne afgane. Partigiane disarmate, le donne di RAWA si sono opposte all'invasione sovietica con la stessa forza con la quale hanno contrastato l'affermarsi dell'integralismo islamico dei mujaheddin prima e dei talebani poi. Molte di loro sono cadute per mano dei sovietici, dei mujaheddin e dei talebani. Il 4 Febbraio 1987, Meena, una delle fondatrici di RAWA, è stata assassinata all'età di 30 anni nella sua casa di Quetta, in Pakistan, dal KHAD (distaccamento afgano del KGB), con l'aiuto dei mujaheddin.

La loro è un'organizzazione clandestina e chi vi appartiene rischia quotidianamente la vita per portare avanti il proprio lavoro "sovversivo": insegnare alle bambine ed alle donne analfabete, supportare grazie al microcredito l'avvio di attività di artigianato che consentano alle profughe di conquistarsi un reddito e, quindi, una possibilità di indipendenza. Rawa persegue il progetto di una società laica, pluralista, aperta. Sebbene la loro sia una prospettiva meramente "democratica" e sia evidente una loro eccessiva fiducia nelle possibilità di un intervento "supra partes" dell'ONU, tuttavia la coerenza ed il rigore con il quale da oltre un trentennio lottano per la vita e la libertà delle donne afgane merita attenzione e rispetto.

Rawa opera sia nei campi profughi del Pakistan sia, clandestinamente, in Afganistan. Queste donne rischiano la vita tutti i giorni, attraversando il confine nascoste sotto il burqa che, simbolo concreto di una negazione assoluta, diviene lo strumento attraverso il quale riescono ad ingannare gli integralisti. Le appartenenti sono alcune centinaia ma la rete di supporto che le sostiene sia nel loro paese sia all'estero è molto ampia.


Quali sono state le tue prime impressioni nell'avvicinarti alla realtà del Pakistan?

Non posso nascondere di aver nutrito un certo timore. In quei giorni la stampa e la televisione italiane mostravano un paese sull'orlo della guerra civile, squassato dalle manifestazioni violente degli integralisti. La realtà è molto differente. L'unica manifestazione di integralisti durante il periodo della nostra visita ha raccolto non più di 400 persone, in una città di oltre 2 milioni di abitanti. I fondamentalisti riescono ad influenzare la società soprattutto per la capacità di infondere terrore: l'ho avvertito spesso specie tra le profughe più recenti, prive di casa, reddito, spesso vedove con figli. Le donne della Rawa vanno in giro sempre scortate da persone che verificano che la strada sia libera: anche in Pakistan per una donna è pericoloso girare sola la sera.


Come è stato il primo incontro con le donne di Rawa?

Io e poche altre siamo arrivate un paio di giorni prima del resto del gruppo per preparare un programma di massima per la delegazione, ma non solo. Le rappresentanti di gruppi di solidarietà con le donne afgane che hanno una speciale relazione con RAWA avevano anche in agenda alcuni incontri con le donne di quest'associazione riguardo a programmi e progetti specifici già in corso. Io sono fra queste. Le riunioni con le donne di RAWA sono sempre fitte e concitate, il piacere di guardarci finalmente negli occhi è grande, le questioni da discutere sono tanto numerose che abbiamo paura di dimenticarne qualcuna. S. ad un certo punto interrompe la riunione, non riuscendo a trattenere il suo stupore. Nonostante sia la prima volta che ci conosca e parli con noi, ci tiene a farci sapere, le sembra di essere a una riunione di RAWA, tanto è naturale il nostro modo di comunicare insieme. Sorridiamo tutte e continuiamo a discutere, il cuore gonfio di emozioni, in sintonia con la ragione.


Come si finanzia Rawa?

La maggior fonte sono i contributi che giungono loro da singoli o da gruppi di appoggio. Vi sono gruppi di appoggio in Europa, in Australia, persino negli Stati Uniti. Anche noi siamo un gruppo di appoggio. Tutto ciò è stato possibile grazie ad internet: il loro sito è stato una finestra aperta sul mondo da cui è stato possibile conoscere la condizione delle donne (e degli uomini e bambini) afgane. In molti hanno preso un primo contatto scrivendo alla loro casella postale.


Ti hanno parlato, almeno le più anziane tra loro, della vita in Afganistan prima della guerra civile?

Sì. Fare alcuni paragoni è utile anche a noi.. Ti faccio un solo esempio: trent'anni orsono in Afganistan c'era il divorzio mentre nel cuore dell'Europa, nella Spagna di Franco, divorziare era proibito. Certo anche in Afganistan vi erano violazioni dei diritti delle donne e la RAWA nasce nel 1977 proprio per l'affermazione dei diritti sociali femminili. E non solo. Infatti il paese che loro vorrebbero è un paese multietnico, un paese in cui possano convivere pacificamente tutte le etnie. Loro dichiarano orgogliosamente che al loro interno sono rappresentati tutti i gruppi etnici presenti in Afganistan.


So che avete avuto modo di visitare un orfanotrofio...

Sì, ci siamo recate in uno degli orfanotrofi gestito dalla RAWA dove vivono una quarantina di bambini, 30 femmine e dieci maschi, con un'età variabile fra la prima infanzia e l'adolescenza.

Dopo le prime presentazioni, ci viene presentato uno spettacolo preparato per noi. Lo spettacolo, fatto di poesia, prosa e scenette, prevede anche che alcune bambine raccontino parte delle loro vite. Non sempre questa parte è facile, perché si tratta di rievocare momenti drammatici. La voce di una ragazza si spezza mentre ci racconta di quando i taleban hanno ucciso suo zio di fronte a lei. Per lei è impossibile continuare.

Le ragazze ci presentano anche alcune scenette in cui si rievocano i drammi comuni a tante fra loro (familiari sequestrati dai taleban e mai più rivisti, fame, disperazione), ma vi sono anche numerosi momenti in cui i taleban vengono rappresentati in tutta la loro arrogante ignoranza, e l'ironia con cui vengono dipinti strappa a tutti un sorriso liberatorio.

Mi ha colpita vedere la tranquilla sicurezza con cui le bambine recitavano a voce alta, lo sguardo diritto nei nostri occhi, segno di una consapevolezza ormai acquisita del proprio valore.

Una ragazzina in buon inglese mi domanda che cosa ne penso dell'attacco alle due torri. Discutiamo un po' della situazione politica, poi mi rivolge numerose altre domande, anche sulla mia vita privata, dimostrando un'intelligenza viva e senso dell'umorismo. Questa piccola ospite non è un'eccezione. Molte bambine, passata la timidezza iniziale, vogliono parlare con noi, e parlano dei più svariati argomenti. Possiamo comunicare grazie al fatto che loro parlano in inglese. Ci raccontano molte cose, anche dettagli, della loro vita attuale.

Le bambine e i bambini dell'orfanotrofio studiano molto, cosa di cui sono molto orgogliose, e, da come si pongono con noi, sembra evidente che siano abituate al confronto.

Parlo con numerosi bambini. Molti di loro vogliono che scriviamo qualcosa sui loro diari personali. Le visite sono rare per loro, ci spiegano, e vogliono un nostro ricordo.

L'ora di lasciare questi bambini arriva anche troppo presto. Ci chiedono di ritornare, spero che avremo modo di mantenere la promessa.

Sul pullman, al ritorno, B., attivista di RAWA, mi parla della solitudine di questi bambini, che, così piccoli, hanno alle spalle una serie di storie drammatiche. B. mi dice che loro, ai visitatori, chiedono di non fare domande ai bambini sul loro passato, perché questo troppo spesso li fa scoppiare in lacrime. I bambini parleranno solo se se lo sentiranno, e, se vogliono, possono raccontare la loro storia agli ospiti nel corso dello spettacolo. Ma anche questa opzione è spesso troppo dolorosa.


Siete state anche in alcuni campi profughi...

Tutte insieme ne abbiamo visitato uno, un campo dove opera la RAWA e del quale per motivi di sicurezza delle donne che vi svolgono la loro attività, io non conosco neppure il nome. In un altro, dopo moltissime difficoltà sono riuscite ad entrare solo alcune. Questo secondo campo, detto di Jaluzai nuovo, è fatto solo di misere tende appoggiate sulla nuda terra ed è privo di servizi: è probabile che le autorità pakistane non volessero che noi vedessimo la situazione di questi profughi. Faccio fatica ad immaginare le condizioni in cui versa un altro campo cui non ci è stato concesso di accedere... Enorme poi è la preoccupazione per le migliaia e migliaia di profughi che premono lungo la frontiera e che si privano degli ultimi, miseri averi per poter passare il confine. Non è dato sapere quali siano le esatte condizioni di vita di quelle persone, ma non è difficile immaginare che si tratti di un inferno in terra.


Vi è quindi una forma di sfruttamento economico dei profughi?

Certo. Torniamo al campo che ho visitato anch'io: è un luogo che ospita 2500 famiglie, di circa otto persone ciascuna. Si tratta di un campo sorto sedici anni fa, la cui popolazione non vive in tende, ma in casupole di fango secco.

Nel corso del viaggio verso questo campo profughi è evidente che più ci avviciniamo alla meta, più il panorama diviene desolato. A un certo punto siamo circondati soltanto più da terra brulla e polvere, di cui è possibile avvertire perfino il gusto acre. Poi, poco prima di raggiungere il campo, ecco che ci appaiono le fabbriche di mattoni. Si tratta di edifici di fango, in cui si producono mattoni d'argilla. I lavoratori, molti ancora bambini, si affannano sulle distese di mattoni secchi e sono ricoperti dall'onnipresente polvere marrone. Ci verrà spiegato che gli operai sono tutti profughi, provenienti dai campi situati nelle vicinanze. In effetti, queste fabbriche di mattoni sono sorte proprio in seguito all'insediamento dei rifugiati in questa zona: isolati, bisognosi di tutto, i profughi costituiscono infatti un immenso serbatoio di manodopera a bassissimo costo, costretti ad accettare condizioni di lavoro disumane. Si tratta si uno dei tanti, strazianti aspetti del business dei rifugiati.


Come sono le condizioni di vita nel campo?

Nonostante si tratti di un campo profughi presente sul territorio ormai da più di vent'anni, e la popolazione alloggi in piccole casette di fango - e non sotto teli di plastica svolazzanti senza nulla che copra la terra sottostante, come spesso accade nei campi allestiti per i nuovi rifugiati - la povertà e le mille difficoltà di vita della popolazione appaiono subito evidenti.

Il campo, come tutto il paesaggio circostante, è immerso nella polvere - una delle cui conseguenze è la diffusa, cronica presenza di malattie respiratorie, soprattutto fra i bambini e le bambine.

Le case che visitiamo sono poverissime, piccole, spoglie, spesso buie. In molti casi i pasti vengono cucinati in piccoli angoli allestiti direttamente sul terreno - un fuoco di legna che riscalda pentole annerite. L'acqua potabile, arrivata di recente, è distribuita da fontane collocate nei vicoli. Tuttavia, non mancano gli sforzi per abbellire le abitazioni, e ridare loro il sapore di casa: la presenza di un orto, di un cespuglio di fiori.

Il campo è gestito da un consiglio ed al suo interno vi è anche un Mullah ma le donne della RAWA sono al suo interno ben accette.


Mi raccontavi che nel campo ci sono una scuola ed un ambulatorio medico...

Nonostante la povertà del campo, è evidente che al suo interno viene svolto un intenso lavoro costruttivo. Dentro il campo c'è una scuola, che funziona regolarmente. Con pazienza, nel corso degli anni, le donne della RAWA hanno convinto le famiglie del campo a mandarvi i propri figli. Così, la maggioranza dei bambini e delle bambine, all'interno del campo, frequenta la scuola. Si tratta di un risultato molto importante, frutto di un lavoro difficile e delicato. Spesso i bambini e le bambine, infatti, venivano tenuti a casa perché lavorassero al telaio, aiutando così la famiglia a mettere insieme il necessario per vivere. In molti casi, dunque, è stato necessario fornire alle famiglie un'alternativa al reddito procurato dai più piccoli, per favorire la frequenza scolastica di questi ultimi. La RAWA ha così fornito a molte famiglie un telaio, e ha garantito loro l'acquisto dei tappeti ad un giusto prezzo, preoccupandosi poi di rivenderli all'esterno. Inoltre, l'associazione ha organizzato alcuni laboratori di cucito, in cui le donne, tantissime fra loro vedove, confezionano sciarpe e vestiti, acquistati, come i tappeti, direttamente dalla RAWA. Come condizione, è stato chiesto alle famiglie di mandare bambine e bambini a scuola. In molti casi questa strategia si è rivelata un successo.

A scuola, all'interno di aule molto povere, vengono insegnate tutte le materie. L'insegnamento è laico, rispettoso delle diversità: viene insegnata storia delle religioni, di tutte le religioni. Da questo punto di vista sono ben più avanzate delle nostre scuole dove ai ragazzi viene insegnata la sola religione cattolica.

Durante il pomeriggio le aule scolastiche non rimangono inutilizzate. Vi si tengono, infatti, i corsi di alfabetizzazione per adulti, anch'essi molto frequentati. E non solo dalle persone di questo campo. Alcune classi, infatti, sono affollate dalle donne di un campo profughi vicino. Non si tratta di cosa da poco, perché il campo da cui provengono queste donne è caratterizzato dalla presenza di elementi fondamentalisti. In passato, i rapporti fra i due campi non sono stati privi di tensioni, anche preoccupanti: a lungo si sono temuti attacchi armati. In ogni caso, adesso, le donne del campo in cui vi è una presenza fondamentalista si recano nel campo che abbiamo visitato per frequentarne i corsi scolastici e avere accesso alle cure mediche.

Nel campo, infatti, funziona anche un ambulatorio. Si tratta di poche stanze, in cui il medico (condannato a morte dai mujahidin) del campo insieme al personale infermieristico, riesce a prestare le cure ai malati, nonostante le difficili condizioni di lavoro. Le medicine e le attrezzature sono infatti scarse, i bisogni moltissimi.


Avete discusso con le esponenti di Rawa della guerra in corso?

Ci hanno detto che entro pochi giorni dall'inizio dei bombardamenti è parso evidente che i bombardamenti colpivano indiscriminatamente e prevalentemente la popolazione civile, causando costi pesantissimi in termini di vite umane, senza però aprire reali prospettive di libertà per il Paese. Da cui la ferma richiesta dell'associazione di fermare immediatamente i bombardamenti sull'Afganistan.

Inoltre le rappresentanti di RAWA ci hanno chiaramente esposto la loro posizione rispetto all'Alleanza del Nord. Esse ritengono che tale forza non rappresenti una reale alternativa per il Paese. Gli anni di governo delle forze che costituiscono l'Alleanza del Nord sono ricordati come un incubo violentissimo, durante il quale l'oppressione e la paura hanno paralizzato l'Afganistan. Gli strupri, anche di donne anziane, erano quotidiani.

Il messaggio politico che RAWA ci invia è molto chiaro e comprende la richiesta della cessazione immediata dei bombardamenti, nonché il rifiuto di qualsiasi tipo di trattativa con le forze fondamentaliste del Paese, siano esse composte da taleban o da mujahidin.


Per altre informazioni è utile consultare il loro sito (documenti anche in italiano): www.rawa.org

a cura di Maria Matteo



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