Da "Umanità Nova" n.44 del 16 dicembre 2001
Turchia: un anno orsono l'irruzione nelle carceri
Ci bruciarono vive: la testimonianza di una sopravvissuta
Lo Stato turco ha tempo fa annunciato l'abolizione della pena di morte.
Tale decisione con ogni probabilità accelererà il processo di
integrazione della Turchia nell'Unione Europea. Da tempo l'UE aveva posto
l'eliminazione della pena di morte quale condizione per l'ingresso della
Turchia nell'Unione. Ma la pena di morte non è che uno dei tasselli del
feroce sistema repressivo dello stato turco, il cui accanimento contro i curdi
e gli oppositori passa dalla repressione quotidiana della libertà
d'espressione culturale e politica alla tortura nei commissariati e nelle
prigioni, sino alle uccisioni extragiudiziali.
Il 19 dicembre dello scorso anno la repressione nei confronti dei
prigionieri politici in sciopero della fame sino alla morte (intere sezioni
delle carceri erano nelle mani dei detenuti in rivolta) fu particolarmente
dura: nell'operazione chiamata "Ritorno alla vita", intrapresa con il pretesto
di fermare lo sciopero della fame e "salvare" i detenuti, vennero uccisi 28
prigionieri. Lottavano contro l'introduzione di un regime carcerario ancor
più duro: le celle cosiddette di tipo F. La maggior parte di loro venne
bruciata viva. Questo non ha fermato la lotta: in questi mesi si è
tragicamente allungato l'elenco di chi, dentro e fuori dalle mura del carcere,
è morto dopo mesi di sciopero della fame. In ottobre l'attacco con armi
da fuoco, blindati e ruspe al quartiere Armutlu a Istanbul, dove prosegue il
dramma dello sciopero della fame di decine di ex detenuti politici e di loro
familiari contro la generalizzazione delle celle d'isolamento, con la
solidarietà della popolazione si è concluso con un bilancio di 6
morti e decine di feriti.
I.: Tu sei una delle donne che furono bruciate durante l'operazione del 19
dicembre. Per quanto tempo sei stata in prigione e qual è la tua
situazione di salute oggi?
E.D.: Fui arrestata nel 1996. Rimasi nella prigione di Bayrampasa per circa 5
anni e mezzo. Non sono stata ancora giudicata ed ora sono in libertà
provvisoria. Dovrei subire molte operazioni, ma i dottori dicono che, pur
avendo bisogno di essere curata, non posso andare all'estero per farlo. A causa
delle bruciature i miei occhi non si chiudono completamente. Mi hanno detto che
ciò potrebbe farmi diventare cieca. Questo è il modo in cui
"torniamo alla vita"!
I: Cosa successe il 19 dicembre 2000?
E.D.: Fu l'ultimo stadio di quella protesta che chiamammo "morte veloce" e
comprendeva anche lo sciopero della fame. Io facevo parte del terzo gruppo di
volontari per la protesta. Prima del 19 dicembre i negoziati erano continuati,
ma il giorno 18 fu presa una decisione. Il primo ministro, proprio il giorno
prima dell'incendio, disse che il giorno dopo "sarebbe stato un giorno
diverso", lo ricordo molto bene.
Molte cose cambiarono in quella notte. 28 persone furono massacrate in un
giorno.
La maggior parte delle prigioniere fu ferita ed abbandonata: questo è il
modo in cui siamo "tornati alla vita". Quel giorno fu raggiunto il punto
più alto di crudeltà.
I.: Come fu condotta l'operazione?
E.: Fu un attacco improvviso. Io stavo dormendo quando iniziò. Nel
dormitorio solo un paio di persone erano sveglie. Alle 4.30 tutte fummo
svegliate dal rumore. Quando l'attacco cominciò per prima cosa fecero
dei buchi nel pavimento del piano sopra il dormitorio: da lì gettarono
dentro le bombe. Non avemmo neanche la possibilità di vestirci: lo
facemmo in pochi secondi. Non avevamo nulla con cui proteggerci. A quel punto
sono saltata dal letto ed ho visto i soldati sul piano. Stavano mettendo in
posizione le loro armi.
I.: Erano soldati di leva?
E: Erano tutti mascherati. Non potevamo vedere le loro facce, tranne un paio di
loro, il resto aveva il volto coperto. Il bombardamento è cominciato
alle 4.30 ed è continuato sino alle 11 senza sosta.
Allo stesso tempo hanno aperto il fuoco sul dormitorio. Songul Ince è
stata colpita al braccio ed una bomba è caduta sulla sua ferita. Ma io
sono riuscita a gettarla via: ero al suo fianco. Molti dei nostri amici sono
stati avvelenati dalle bombe.
I: Che tipo di bombe?
E: Erano bombe... a gas, per quello che potevo distinguere o ricordare, molte
erano bombe a gas, gas nervino, gas irritanti..., certamente non potevamo
distinguerle in quel momento. Più tardi si analizzano i dettagli. Gli
effetti erano che non avevamo il controllo dei nostri movimenti, perdevamo
conoscenza, e poiché l'attacco continuava non avevamo tempo per
riaverci. Abbiamo tentato di respirare attraverso le finestre, ma anche da
quella parte venivano lanciate bombe. In questo modo ci impedivano di
raggiungere l'aria fresca per riuscire a riprenderci un po'. Non ero
incendiata, ma ustionata.
I.: Come è successo l'incendio? Che armi hanno usato? È
successa una cosa dopo l'altra?
E.: Sì, è successa una cosa dopo l'altra. Il bombardamento
è proseguito senza sosta per nove ore e noi non potevamo lasciare la
camerata. Non avevamo un posto dove andare. Non potevamo neppure rialzare la
testa, non potevamo stare in piedi. A causa delle bombe fumogene e
perché loro sparavano ai vetri, non avevamo mezzi per proteggerci,
eravamo tutte senza conoscenza. Prima che lasciassimo la camerata e nel momento
dell'uscita, hanno bruciato la porta d'ingresso. Non so come l'abbiano bruciata
e con cosa. Ancora oggi non lo so.
I: Pensi sia stato un gas?
E.: Nessuno lo sa ancora adesso. Abbiamo detto che è stata un'arma
chimica perché un fuoco normale si allarga pezzo per pezzo. Cioè,
un pezzo comincia a bruciare e da lì le fiamme si allargano. Questo
invece non è successo. Le fiamme sono esplose all'improvviso. In pochi
secondi l'intero dormitorio stava bruciando. Quando mi sono ustionata, i miei
vestiti non hanno subito danni, bruciava solo la pelle, molto strano. Il dorso
delle mie mani ed il mio viso erano ustionati, ma non erano bruciati i miei
vestiti.
A quel punto abbiamo cominciato a lasciare la camerata. Ho perso conoscenza. A
causa del pesante bombardamento non potevamo vederci l'un l'altra. Ci sono
compagne che sono rimaste avvelenate e sono svenute. Altre, che hanno lasciato
il dormitorio per prime, sono tornate indietro per aiutarle. Mi hanno portato
fuori in quel momento. Sono stata salvata perché ero vicina alla porta
d'uscita. Se fossi stata più distante, oggi non sarei viva. C'erano 28
di noi in quel dormitorio e saremmo potute morire tutte. Sei sono completamente
bruciate ed anche i loro corpi non sono stati riconosciuti. Nilufer Alcan,
Özlem Ercan, Gülser Tuzcu, Sefinur Tezgel sono bruciate vive.
(...) Appena siamo arrivate all'aperto hanno cominciato a colpirci con l'acqua
degli idranti. Nello stesso tempo, ed eravamo già tutte ferite, hanno
continuato a lanciare bombe su di noi. Colpivano le nostre teste, le braccia,
le schiene, ed eravamo già tutte ferite.
I soldati cominciarono ad occupare l'area all'aperto. Erano tutti mascherati.
Hanno preso alcune di noi, trascinandole e colpendole, senza tenere conto di
come fossero già ridotte.
L'operazione, sin dall'inizio, era registrata da videocamere. C'erano due
telecamere sul piano. Abbiamo gridato "Smettete di sparare!"... ma non l'hanno
fatto.
I.: Ma queste telecamere erano dei militari?
E.: Sì, telecamere dell'esercito. L'intero incidente è stato
ripreso, ma non ci sono tracce di queste riprese. Sono ancora in loro possesso
e non pubbliche. Hanno tentato di far credere alla gente che ci siamo date
fuoco da sole. Hanno fatto dichiarazioni con questo obiettivo.
I.: Ci hanno detto che sghignazzavano guardandovi. (...)
E.: Certo, quando siamo ritornate all'aperto ci guardavano e ridevano. (...)
I.: Cosa stavano dicendo, potevi sentirli?
E.. Usavano dei megafoni, ci gridavano "Arrendetevi!", e ci giuravano: "Vi
uccideremo tutti, vi bruceremo tutti". Una per una ci hanno afferrate: alcune
erano gravemente ferite.
I.: Chi erano quelle gravemente ferite?
E.: Hacer Arikan, io, Birsen Kars che è nella prigione di Bakirkoy oggi.
Le hanno negato le cure mediche. Hacer Arikam è in una situazione
pericolosa. Il 45% del suo corpo è ustionato, è finita nelle
fiamme tentando di salvare Sefinur Tezghel. Quando ero in ospedale, fino a due
mesi fa, Hacer ancora non poteva stare in piedi né camminare. Non
l'hanno curata nell'ospedale di Cerrahpasa per almeno due mesi perché
stavano aspettando che morisse.
I.: Erano dottori?
E.: Sì, erano dottori, stavano parlando tra di loro e li abbiamo
sentiti. Ce l'ha detto anche Hacer. C'erano quattro di noi, in quell'ospedale,
tutte seriamente ustionate: Hacer, Birsen, Gulizar Kesici ed io. Ci siamo
rimaste per due mesi e nessuna è stata curata. Eravamo incatenate per le
gambe ai letti. Non eravamo in grado di alzarci: questa tortura è
proseguita per due mesi. Penso sia stato un mese e mezzo dopo l'incendio quando
sono venuti i rappresentanti del Comitato contro le torture dell'Europa. In
quel momento mi stavano operando per cui non li ho visti. Le catene delle
nostre compagne sono state rimosse per un paio d'ore: dopo che la delegazione
se ne è andata le hanno incatenate di nuovo. (...) Se escludiamo il
pronto soccorso né io, né Hacer, né le altre compagne
abbiamo ricevuto cure mediche. Solo asciugamani umidi.
(...)
E.: Esprimere i miei sentimenti è molto difficile, ma mi piacerebbe che
ognuno conosca la realtà della Turchia. Questo non è stato il
primo massacro e nonostante tutto, io non posso smettere di chiedermi
"perché?" "perché?"
(...) Io stavo pensando al nazismo ed ad Hitler. L'abbiamo letto nei libri.
Abbiamo visto i documentari. Penso al massacro di Sivas. Io penso ai 37
compagni che sono bruciati a Sivas. Possiamo dire: "prima eravamo nelle camere
a gas, poi siamo finite nei crematori". È stata una vera
bestialità: eravamo intossicate dalle bombe e dai gas e poi ci hanno
bruciato. Hanno fatto tutto in una notte. Hanno fatto la tirannia, la
segregazione e la morte in una sola notte.
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