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Da "Umanità Nova" n. 1 del 13 gennaio 2002

Fiat
Gomme sgonfie

Il 10 dicembre scorso lo stato maggiore della Fiat, riunito in Cda, ha preso atto della crisi strutturale del gruppo. Le cause sono molteplici e le vie di uscita né brevi, né facili. La drammatica situazione dei mercati internazionali dopo lo scoppio della guerra ha finito per tranciare definitivamente le speranze di ripresa di tutte le aziende più esposte al ciclo economico: e la Fiat è tra queste. A dire il vero, non tutti i gatti sono neri. Il crollo delle vendite non ha colpito in maniera uguale e molti sono rimasti stupiti nel vedere gli imprevedibili boom di vendite di autoveicoli nei mesi di ottobre e di novembre, proprio nel pieno della crisi. Sia il mercato americano, che quello europeo, hanno visto esplodere i volumi, a tal punto che il 2001 rischia di passare alla storia come un anno record. Dietro la scorza dei numeri, c'è però una polpa molto meno appetibile. I produttori hanno infatti lanciato una campagna eccezionale di sconti e interessi zero sulle vendite a credito, per gonfiare i volumi e chiudere bene l'esercizio. L'aggressività commerciale si paga però con un crollo della redditività nell'immediato, e con la sicura prospettiva di assistere ad un drastico ridimensionamento della domanda nei mesi a venire: infatti i consumatori anticipano le proprie decisioni d'acquisto per sfruttare il momento favorevole, per poi desistere completamente al venir meno degli incentivi. Il pronostico è che, passata la fase della domanda drogata, il mercato scenda del 8-10% almeno.

Non tutte le case produttrici sono nelle condizioni della Fiat: le tedesche Porche, Bmw, Audi beneficiano del loro posizionamento della gamma alta del mercato, con domanda anelastica e margini reddituali elevati; la francese Peugeot non è mai andata così bene, la Renault-Nissan ha qualche problema in più, ma anche le spalle larghe dell'azionariato statale; le tre grandi americane Ford, Gm, Daimler-Chrysler hanno avviato da tempo drastici piani di ristrutturazione e sanno di poter contare su un mercato ciclico in grado di premiarli una volta cessata l'emergenza. La Fiat invece ha gli stessi problemi di sempre, con qualche acciacco nuovo: ha prodotti a bassa qualità, basso margine di profitto, scarsa capacità innovativa. L'ultimo modello (la Stilo), lanciato con grande sfiga pochi giorni prima dell'11 settembre, giace invenduto nei garage dei concessionari, dopo essere stato immatricolato a migliaia di pezzi per poter comunicare "all'esterno" i soliti dati gonfiati.

La crisi della Fiat è una crisi "da auto", ma non solo. L'auto pesa pur sempre per la metà del fatturato del gruppo, ma il bubbone più serio è scoppiato nel settore dei trattori. Il 18 maggio 1999 la Fiat comunicava di aver lanciato l'Opa, tramite la New Holland, sull'americana Case, per costituire il secondo gruppo mondiale nel comparto, dopo la John Deere e prima della Caterpillar. Le cose sono andate molto male le due società insieme valgono oggi un quarto di quanto valevano separatamente tre anni fa: il buco nel bilancio Fiat vale quasi 8.500 miliardi di lire. Un po' meglio va l'Iveco, che ha sempre chiuso in attivo il bilancio negli ultimi anni, e alla cui guida c'era quel Giancarlo Boschetti chiamato a risollevare il settore auto, dopo la "strana" defenestrazione di Roberto Testore, scaricato per fargli pagare forse torti non solo suoi, senza tante spiegazioni. Va bene la Fiat Avio, anche se il ritiro dell'Italia dal progetto A400 rischia di mettere in forse delle importanti commesse future.

Tuttavia la grande malata è la Fiat Auto e i dubbi sul futuro del Lingotto sono più che mai confermati. La crisi dell'auto, che farà chiudere nel 2001 il bilancio Fiat in passivo per 800 milioni di euro, impone una riflessione sulla strategia del gruppo e sull'adeguatezza del gruppo dirigente, cui l'Avvocato ha garantito, come sempre nel corso della storia, il suo autorevole appoggio. Fresco e Cantarella escono rafforzati dal nuovo piano di ristrutturazione, ma si tratta ora di vedere ciò che riusciranno a realizzare effettivamente. Fresco ha saputo realizzare due cose importanti: l'alleanza con General Motors e la diversificazione nell'energia. L'accordo con GM permette alla famiglia di poter uscire dall'auto, dopo il 2004, con una buona fuoriuscita: se Fiat Auto sarà ripartita, la proprietà potrà decidere di cedere con una buona plusvalenza e impiegare altrove la sua liquidità; se il settore sarà ancora impiombato, la famiglia potrà farsi da parte senza danni e senza rimpianti. La diversificazione nell'energia, attuata acquisendo Montedison, permette di entrare in un settore molto più stabile e anticiclico come ricavi, sfruttando nel contempo le ottime prospettive che si aprono con la liberalizzazione del mercato sia dell'elettricità che del gas. In più, alla Fiat non è costato nulla, in termini di cassa, perché il ticket d'ingresso è stato staccato in cambio del conferimento del ramo "energetico" della Fiat, che si è limitata a coprire politicamente l'ingresso in Italia della francese Edf, che ha messo invece i soldi. Un'ipotesi analoga circola per Italgas, nel mirino della francese Gaz de France: anche qui Italenergia svolgerebbe l'importante ruolo di cavallo di troia.

Tuttavia questi due successi della gestione Fresco non possono far dimenticare il resto del suo operato: l'opa residuale su Toro e Magneti Marelli, l'opa sull'americana Pico e la francese Fraikin, le mancate cessioni, hanno fatto lievitare con un progresso impressionante il debito della Fiat. Alla fine del 1999 la Fiat aveva in totale meno di 25 miliardi di euro di debito, al 30.9.2001 era salita oltre i 35 miliardi di euro. Il rapporto tra patrimonio e debito è così salito da 100/194 a 100/267. La situazione si stava facendo insostenibile, sul piano finanziario e quindi, come ha commentato qualcuno sulla stampa specializzata, era ora finalmente di "chiudere il libro dei sogni e aprire finalmente il libro dei conti".

A pagare i costi della crisi sono come sempre lavoratori e azionisti. Il piano prevede la chiusura di 18 stabilimenti a livello mondiale, il licenziamento di 6.000 addetti, la mancata conferma dei contratti interinali e a termine in Italia. In Italia verrà chiuso Rivalta e uno stabilimento Fiat Avio, mentre saranno presumibilmente migliaia i mancati rinnovi e le mancate conferme. Gli azionisti saranno chiamati a rimpinguare le casse con circa 1 miliardo di Euro, altri due ne entreranno con un prestito obbligazionario convertibile (in azioni GM, da notare), ed altri due miliardi ancora con il programma di cessioni (Magneti, immobili, produzione militare, parte della Comau). La Fiat dimagrisce, vende a pezzi le attività "non core", fa cassa per ridurre e allungare il debito, si ridisloca per sfruttare le grandi aree urbane dimesse: da lungo tempo di parla della definitiva chiusura anche di Mirafiori. Il lento abbandono dell'auto si accompagna ad un processo sociale di progressiva deindustrializzazione delle aree tradizionali d'insediamento: il tessuto torinese fatica ad inventarsi un altro futuro e la scommessa delle Olimpiadi invernali del 2006 è più un disperato riempitivo che un progetto coerente di ripartire. Anche qui, purtroppo, siamo al "ground zero".

Renato Strumia



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