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Da "Umanità Nova" n. 1 del 13 gennaio 2002

Il caldo autunno degli studenti
A scuola senza Letizia

Da un paio di mesi a questa parte, ormai, l'universo studentesco è in fibrillazione.

Per quanto le contraddizioni e i limiti abbondino, si sta effettivamente sviluppando qualcosa di molto simile ad un vero e proprio movimento d'opposizione al progetto di riforma della scuola del ministro-manager Moratti.

Un progetto talmente chiaro nelle sue intenzioni di fondo da avere se non altro il pregio d'aver fatto riscoprire a molti un concetto considerato obsoleto quale quello della divisione in classi della società.

Non mi soffermerò troppo sui caratteri generali di questa riforma, posso dire però di concordare con l'analisi già fatta a proposito da altri su questo giornale (si veda U.N. n. 42 del 02/12/01).

Ciò che mi preme di aggiungere è uno sguardo sulle direttive europee in materia. Nell'era della New Economy, i concetti di precarietà e flessibilità entrano a far parte del mondo dell'istruzione: il singolo diventa "imprenditore di se stesso" fin dalla tenera età, dovendo gestirsi in proprio un'istruzione e formazione "just in time" per le esigenze del mercato, in un percorso di "riconversione perpetua" lungo tutto l'arco della vita. Lo chiamano "lifelong learning" e viene indicato come il futuro dell'istruzione nei paesi a tecnologia avanzata tanto dall'Unione Europea quanto dai G8.

Un futuro in cui "gli insegnanti avranno un ruolo di consulenti, tutori e mediatori" mentre "le scuole e i centri di formazione diverranno centri polivalenti di acquisizione delle conoscenze, dotati di collegamento a internet e accessibili ai cittadini di tutte le età"[1]. Il tutto all'insegna dell'individualismo più spinto.

L'istruzione si adatta così al modello economico circostante, assumendone (o aspirando ad assumerne) tutte le caratteristiche.

Ed è questo un processo che tende sempre più ad uniformarsi ad un livello che trascende i confini nazionali e tanto più le scelte dei singoli governi.

Proprio nel non saper prendere coscienza di ciò sta, a mio parere, uno dei punti deboli di questo movimento.

Non si può infatti rapportarsi a cambiamenti in atto su scala mondiale come se si trattasse semplicemente delle proposte balzane di un singolo ministro (Letizia Moratti) o di un singolo governo (quello Berlusconi). Atteggiamento comune, almeno per quanto ho potuto vedere, alla maggioranza degli studenti mobilitatisi in questo periodo.

Nonostante ciò, non si può che salutare positivamente questa ripresa di combattività in un settore (quello delle scuole superiori) che in questi ultimi anni pareva, a livello di lotte studentesche, sempre più prossimo allo zero Kelvin.

Ora invece si assiste in tutta Italia ad un proliferare di gruppi, collettivi e coordinamenti a livello locale.

Manca sicuramente una rete più ampia, che sappia coordinare (o quantomeno tenere in contatto) le diverse realtà presenti sul territorio, slegate da qualunque area di riferimento specifica. E sono molte. Direi senz'altro la maggioranza.

Il dato negativo è che ciò non è affatto dovuto, nella maggioranza dei casi, né a spirito d'indipendenza né tanto meno alla volontà di autogestire dal basso le lotte (magari!).

Molto più semplicemente, c'è una gran confusione sotto il cielo. Ma la situazione è ben lungi dall'essere eccellente.

Si pone infatti ora un problema (tutt'altro che nuovo) di peso non indifferente: quello delle strumentalizzazioni.

Da questo punto di vista, due sono, per quel che posso vedere, i candidati in pole position: i Ds, attraverso la Sinistra Giovanile e l'Unione Degli Studenti (UDS) e le ex-Tute Bianche (ora Disobbedienti) attraverso al rete di "Studenti in Movimento". Passerella per entrambi (uno pari, direi, il risultato) è stata la kermesse romana di stati e controstati generali della scuola il 20 dicembre scorso.

Una mobilitazione sicuramente importante e imponente (70-80.000 persone in piazza è già di per sé positivo) giunta in seguito a due settimane e più di agitazioni locali. Una giornata però su cui ci sarebbe molto da dire e da fermarsi a ragionare.

Innanzitutto sul livello medio di coscienza politica dimostrata, che a colpo d'occhio è stato piuttosto scarsino, andando di poco oltre a slogan quali "Moratti puttana l'hai fatto per la grana".

Ma soprattutto ciò che sconcerta e sconforta, quantomeno me, sono l'assoluta confusione e ignoranza, che regnando sovrane fanno sì che si possano tranquillamente vedere sventolare in corteo bandiere rossonere con sopra adesivi dell'UDS o della Sinistra Giovanile.

Il che non è importante per una questione di etichette, ma per il fatto che in questo modo si fa di ogni differente ideologia, storia, percorso politico un unico minestrone in cui si accetta tutto proprio perché più nulla ha significato. "Chiunque sia in piazza con me va bene, tanto in fondo siamo tutti studenti".

Ma non può essere questa la sola discriminante per la creazione di un percorso comune e parlare di difesa della scuola statale o di autogestione della cultura non può essere la stessa cosa.

Anche perché è proprio così che il movimento corre il rischio di farsi mettere il cappello dal primo che passa, nonché di diventare terreno di scontro politico di interessi strategici altrui.

Tanto per fare l'esempio secondo me più vergognosamente palese, si potrebbe citare proprio l'UDS, che dopo aver in questi anni digerito e assecondato qualunque nefandezza a firma Berlinguer, tuona oggi a gran voce proprio contro ciò che aveva allegramente supportato all'epoca (ricorda un po' la CGIL, ma questa è un'altra storia).

Nonostante tutto, va però detto che quel corteo ha senz'altro avuto il pregio di far risaltare agli occhi dell'opinione pubblica il fallimento totale degli Stati Generali voluti dal ministro. Un incontro protetto e blindato da migliaia di poliziotti e carabinieri (senza contare gli evidenti infiltrati nel corteo stesso), alla stregua di un qualunque summit di potenti in stile G8.

Un incontro disertato da buona parte delle organizzazioni invitate (che spesso si trovavano fuori a manifestare), e criticato anche dai partecipanti (magari sbattuti fuori per questo, tipo gli studenti delle consulte).

Un danno notevole a livello d'immagine; ma, tant'è, "sono tutti d'accordo" e la riforma si farà.

Non si può certo pensare quindi, di circoscrivere la lotta alle episodiche quanto cicliche mobilitazioni di metà dicembre.

È necessario che questo movimento superi il "mese caldo studentesco" senza abbassare la guardia. Per fare ciò, bisogna che gli studenti sappiano darsi strutture stabili e coordinate fra loro, anche per evitare di ricadere in pieno nell'apatia da poco abbandonata.

Ma più importante ancora, anzi direi fondamentale, è riuscire a capire come i processi di privatizzazione che investono oggi la scuola facciano parte in realtà di una tendenza ben più ampia, che, con tempi e modalità differenti, tocca ogni settore delle società cosiddette occidentali.

La lotta di conseguenza non può restare circoscritta nel tempo e nello spazio all'universo scuola e al ruolo studente: essa deve diventare, anche nella vita del singolo, parte di una lotta più generale per un cambiamento radicale dell'esistente. Sarà una sfida molto dura, e la situazione attuale non induce a farsi troppe illusioni. D'altra parte questa è l'unica strada percorribile, e in questa direzione devono andare gli sforzi delle - purtroppo ridotte - minoranze attive e coscienti. È un lavoro difficile, ma qualcuno lo deve pur compiere.

Sara


[1] tratto dal "Memorandum per l'istruzione e la formazione permanente", Bruxelles-30/10/2000



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