Da "Umanità Nova" n. 3 del 27 gennaio 2002 Militari italiani in Afganistan: codice di guerraCon il Decreto legge 1.12.2001, n.421, il governo ha emanato "Disposizioni urgenti per la partecipazione di personale militare all'operazione multinazionale denominata "Enduring Freedom". L'art. 8 di detto decreto legge prevede che "Al corpo di spedizione italiano che partecipa alla campagna per il ripristino ed il mantenimento della legalità internazionale denominata "Enduring Freedom" di cui all'art. 1, comma 1, si applica il codice penale militare di guerra approvato con regio decreto 20 febbraio 1941, n. 303, salvo quanto previsto dall'art. 9". Quest'ultimo articolo prevede espressamente che gli eventuali reati commessi siano puniti dagli ordinari Tribunali Militari (in particolare quello di Roma) e quindi non da Tribunali Militari di Guerra. Va subito notato che l'applicazione del codice penale militare di guerra (abbreviato c.p.m.g.) dovrebbe consentire anche di punire quei militari che commettano fatti contro prigionieri o la popolazione civile sanzionati dalle Convenzioni internazionali e previsti dal Titolo IV del c.p.m.g. che si intitola "Dei reati contro gli usi e le leggi della guerra". Purtroppo il primo articolo di questo Titolo, l'art. 165, prevede che ciò accada solo in caso di reciprocità (cioè solo se lo Stato nemico prevede la stessa tutela per lo Stato italiano e i suoi cittadini) e che i reati siano puniti solo in seguito a "disposizione del comando supremo". Ora, non è chi non veda che i "terroristi di Al Qaeda" non sono uno "Stato nemico" e quindi contro di loro "vale tutto". Si badi inoltre che il c.p.m.g. contiene alcuni reati di opinione molto interessanti e che puniscono "chiunque" li commetta: si va dalla "Diffusione di particolari notizie di interesse militare" (art. 75) che punisce la pubblicazione di notizie "non comunicate o non autorizzate dal Governo o dai comandi militari" sul numero di morti e feriti e sulle operazioni militari; alla "Divulgazione di notizie false sull'ordine pubblico o su altre cose di pubblico interesse" che possano turbare la "pubblica tranquillità" (art. 77); alla "Pubblicazione di critiche o scritti polemici " (art. 80) e alla "Denigrazione della guerra" (art. 87). Le pene prevedono sempre svariati anni di reclusione. Certamente nel Decreto legge 421/01, art. 8, si dice che il c.p.mg. si applica solo al "corpo si spedizione italiano": ma va fatta una riflessione. Se questo inciso non ci fosse? Se il Parlamento decidesse in qualsiasi momento di dare piena vigenza a tutte le norme del c.p.m.g.? Nulla lo impedirebbe. Prima che le norme più liberticide fossero cancellate dalla Corte Costituzionale per violazione dell'art. 21 della Costituzione (libertà di manifestazione del pensiero) quanti processi sarebbero stati imbastiti, quante persone indagate o, peggio incarcerate, quanti giornali e pubblicazioni sequestrati? E se un giudizio di incostituzionalità non ci fosse? I reati resterebbero così come sono e qualcuno punito sulla base di essi. Bisogna quindi riflettere sulla presenza nel nostro ordinamento di queste norme dettate nel lontano 1941, non applicate più dalla seconda guerra mondiale, ma che qualsiasi governo può decidere di applicare, anche in via di urgenza. Prosegue quindi quello strisciante processo di modifica e compressione degli spazi di libertà di tutti che è il portato più grave dell'11 settembre. Si riesumano vecchie norme, per ora applicate solo ai soldati inviati "oltremare", ma domani buone per tutta la società, che intanto si sarà abituata, grazie anche alla pesantissima propaganda massmediatica, allo "stato di guerra". Simone Bisacca
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