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Da "Umanità Nova" n. 4 del 3 febbraio 2002
Guerra duratura
La Somalia nel mirino
Mentre l'Afganistan è tuttora terreno di battaglia, gli Stati Uniti non fanno mistero che il primo dei futuri target da colpire sarà la Somalia, paese africano dove lo zio Sam è già intervenuto negli anni Novanta, decidendo di ritirarsi dopo aver perso diciotto uomini e due elicotteri durante la fallimentare caccia alla volpe intentata contro il generale Mohammed Farah Aidid, leader di una delle
due coalizioni magmatiche a base tribale che si contendevano il potere dopo la
fuga del vecchio dittatore (ex ufficiale dei Carabinieri, foraggiato dagli
italiani anche nel suo periodo filosovietico, e amico personale di Bettino
Craxi), Siad Barre. Su quella spedizione, alla quale parteciparono
ventitré paesi sotto la guida americana, ci sarebbe molto da dire; essa
vide fin dall'inizio un chiaro atteggiamento neocoloniale tanto da parte degli
USA, quanto dagli altri paesi europei intervenuti (Italia in testa).In
particolare gli italiani non si rassegnavano alla perdita della misera area
d'influenza africana, ereditata dopo la seconda guerra mondiale dai vecchi
confini coloniali. Furono prima i guerriglieri somali della fazione capeggiata
da Ali Mahdi Mohammed (do you remember lo scontro al "Posto pasta", un punto di
controllo ricavato da un vecchio pastificio, nel corso del quale i
paracadutisti della Folgore lasciarono tredici caduti sul campo?), e poi gli
americani a spiegare agli strateghi tricolore che i tempi dei "giardini di
casa" europei in Africa erano definitivamente tramontati. Di questa
verità, se ne sarebbero dovuti accorgere anche i francesi da lì a
due anni, quando, al termine del biennio 1994-95, sarebbero stati espulsi da
quasi tutta l'Africa centrale e occidentale, per fare posto a regimi e partiti
sul libretto paga di Washington. Gli USA, però, pur capaci di espellere
e marginalizzare le potenze europee dalla Somalia, non furono altrettanto bravi
a controllare in proprio il paese, scontrandosi con la fazione che avevano
deciso di non favorire, uscendone malconci e umiliati sul piano dell'immagine
internazionale. Oggi l'alibi della "guerra al terrorismo", permette agli USA di
muoversi nuovamente per mettere sotto controllo un territorio la cui importanza
è data dalla localizzazione geografica, all'incrocio tra le rotte
petrolifere dell'Oceano Indiano, la penisola arabica e l'Africa delle materie
prime.
Ma, la Somalia come ha trascorso questo periodo, tra un intervento americano
fallito, e le nuove interferenze made in USA? La Somalia continua a essere un
ex stato, dilaniato da una guerra di posizione tra coalizioni magmatiche e poco
sicure, che si contendono il controllo della fascia costiera, dei porti e della
capitale Mogadiscio. Nel frattempo, il Nord del paese, anglofono e governato da
sempre da clan ostili al potere centrale, si è staccato (ancorché
senza riconoscimento internazionale), e si è assegnato l'antico nome
coloniale di Somaliland. Questo nuovo stato è egemonizzato dal Somali
National Movement, che raggruppa gli appartenenti alla tribù Isaq, a sua
volte divisa tra i fautori di un deciso indipendentismo, e i favorevoli a un
riavvicinamento con la fazione di Mogadiscio controllata da Hussein Aidid,
figlio di Mohammed Farah, la volpe sfuggita nel 1993 agli USA, e eliminata
durante un regolamento di conti all'interno del clan degli habir ghebir, al
quale apparteneva, nel 1997. In secondo luogo, si è andata sempre
più ampliando l'influenza dell'organizzazione islamica al Ittihad
al-Islami (Aiai). Quest'ultima, è stata creata dal Sudan allo scopo di
rendere poco sicuri i confini dell'Etiopia, paese a guida cristiana, ma dove
vivono alcuni milioni di musulmani. L'Etiopia, d'altra parte, utilizza da
alcuni anni la guerriglia cristiano-animista e nera del SPLA (South People's
Liberation Army) contro il vicino paese. Dentro a questo gioco di tessere
incrociate, al Ittihad è cresciuta, e ha ampliato il suo controllo su
tutta l'area delle provincie del Bay, del Gedo, del Bakool e dell'Hiraan;
queste ultime, sono provincie interne, abitate dalla tribù degli hawiye,
quella che dall'inizio degli anni Novanta esprime tutti i leader delle varie
frazioni in lotta. Inoltre, queste provincie si trovano a ridosso della
provincia etiopica dell'Ogaden, abitata da somali, e teatro nel 1977-78 di una
guerra feroce tra Somalia e Etiopia, risolta a favore della prima, solo grazie
all'intervento cubano. L'influenza di questa organizzazione è l'alibi
utilizzato dall'America di Bush per programmare l'intervento. In realtà,
i pretesi rapporti di al Ittihad con l'organizzazione al Qaeda di Bin Laden,
sono quasi sicuramente limitati, se non inesistenti. Al Ittihad, come dicevamo
sopra, è una creazione del Sudan per scopi interni allo scontro tra
questo paese e l'Etiopia; ora, il Sudan ha rotto con l'organizzazione di Bin
Laden fin dal 1996, quando mosse i suoi passi presso Washington, offrendosi di
consegnare lo sceicco saudita, in cambio della normalizzazione dei rapporti.
Due anni dopo, a seguito dei bombardamenti americani, il Sudan decise
l'espulsione di Osama, mentre "apriva" all'Occidente, concedendo a due aziende
petrolifere canadesi di installarsi nell'area di trivellazioni del paese.
D'altra parte, l'organizzazione islamica somala si è dimostrata
scarsamente capace sul piano militare, dal momento che l'Esercito di Resistenza
di Rahanwein (RRA), un gruppo legato anch'esso alla tribù degli hawiye,
ma finanziato, addestrato e armato dall'Etiopia, ha recentemente conquistato
due terzi del territorio delle provincie citate sopra. L'esercito etiopico,
d'altra parte, ha utilizzato l'appoggio all'offensiva dell'RRA, per penetrare
nel territorio somalo e influire sugli equilibri interni al vicino paese.
L'Etiopia si è, ormai, imposto come una dei principali punti di
riferimento degli Stati Uniti nel Continente Nero. La convergenza tra gli USA e
l'Etiopia è, d'altronde, evidente: gli USA hanno bisogno di controllare
il paese del Corno d'Africa per la sua importanza strategica sulle rotte degli
idrocarburi, e per avere un'alternativa pronta nel caso di improvvise
difficoltà con i regimi della Penisola Arabica. Gli etiopici, dal
momento del distacco dell'Eritrea nel 1993, sono rimasti senza uno sbocco al
mare. Ora, il porto di Gibuti, all'interno del paese omonimo, è utile
per i trasporti dal Nord del paese e dalla capitale Addis Abeba (che con Gibuti
è collegata via treno), ma assolutamente dispendioso per quelli
provenienti dal Sud. Inoltre, Addis Abeba ha bisogno di allontanare dai suoi
confini la minaccia del proselitismo islamico, e impiantare a Mukdysho
(Mogadiscio) un "governo amico". Obiettivi questi ultimi, ampiamente
condivisibili dagli USA. L'amministrazione americana, inoltre, sembra avere
anche altri obiettivi nel target Somalia. La loro individuazione, richiede
però di sforzarsi di leggere oltre la dimensione evidente della
"Presidenza imperiale" americana. Le organizzazioni islamiche presenti sul
territorio del paese africano, infatti, sono organizzazioni integraliste
largamente finanziate da Arabia Saudita, Kuwait e Emirati Arabi Uniti. Questi
tre paesi arabi, sono da sempre i migliori alleati di Washington nella zona.
Nel corso degli anni Novanta, però, finita la minaccia rappresentata dai
sovietici e dalle sinistre arabe (aggiungerei, cacciato Saddam in un angolo),
le dinastie padrone di questi stati hanno iniziato a "giocare in proprio" nel
campo finanziario, attirando capitale mobile anche da Europa e Giappone, e
finanziando l'espansione dell'influenza dei propri paesi in tutta l'area
musulmana afro-asiatica. Dal punto di vista politico, questa espansione a
Washington non poteva che andare bene, dal momento che dinastie e stati arabici
propugnano una versione conservatrice economicamente, e reazionaria
culturalmente dell'Islam. Il problema si è, invece, creato sul terreno
prettamente economico-finanziario, dal momento che la Banca Islamica (strumento
ufficiale della finanza araba legata a sceicchi e emiri) ha iniziato a porsi
come centro di attrazione di capitali prima impegnati negli USA, nonché
come possibile "investimento rifugio" (garantito dal petrolio) per capitali
occidentali in cerca di guadagno sicuro e tranquillo. Come sappiamo, gli USA
dipendono, per la buona salute della loro economia (per il resto sbilanciata
verso le importazioni), dal continuo e massiccio afflusso di capitale,
garantito dal fatto di essere l'unica superpotenza mondiale. Gli USA,
ovviamente, sono più che disponibili a far circolare su investimenti
diversi e in paesi diversi la massa del capitale fluttuante, ciò che non
sono disposti a permettere, invece, è perdere la loro centralità
nel determinare i movimenti complessivi del capitale finanziario. In
prospettiva, la Banca Islamica, con una base materiale costituita dalle rendite
petrolifere, e una base egemonica costituita dall'autorità islamica, era
un concorrente assai più pericoloso di quanto non siano gli europei o i
cino-giapponesi, entrambi bisognosi di esportare nell'immenso mercato
americano.
Arabia Saudita e Kuwait, in questi anni sono penetrati a fondo in Somalia,
acquisendo meriti e controllo politico e religioso, grazie ai molti dollari e
alle molte armi fatte affluire alle varie organizzazioni islamiche, tra le
quali Al Ittihad. Sfruttando il carattere tribale della politica somala (anzi,
se vogliamo essere giusti, clanica, dal momento che una sola tribù, come
nel caso degli hawiye, può esprimere più clan con diverse e
confliggenti organizzazioni politiche), la penetrazione islamica si è
concretata tra il 1997 e il 2000, quando, prima gli islamici sono riusciti a
mettere fine alla vita e all'influenza del generale Aidid e, quindi del suo
Somali Salvation Alliance. Successivamente, nell'Ottobre del 2000, con gli
auspici del piccolo stato di Djebooti (Gibuti), è stato creato e
finanziato un governo provvisorio (Governo Nazionale di Transizione, TNG),
diretto dal Presidente a interim Abdiqasim Salad, e oggi sotto tiro
statunitense per la massiccia presenza di personale islamico nelle sue fila.
Come si vede, la partita che si gioca in Somalia, ha un'importanza molto
maggiore di quello che si potrebbe pensare a prima vista. A mio avviso, si
tratta di un'ulteriore tappa nel progressivo costituirsi di un controllo
mondiale a base americana. Operazione che, oggi, passa innanzitutto per la
distruzione dei margini di autonomia di azione degli alleati storici degli
americani.
Un'ultima annotazione riguarda il governo italiano; come è
sufficientemente noto anche al più distratto lettore di quotidiani,
Berlusconi e Martino hanno offerto, prima ancora che gli venisse chiesta, la
disponibilità dell'Italia a un'azione in Somalia: servilismo
pagliaccesco o tentativo di rientrare al seguito degli americani in un paese
dal quale gli stessi USA ci avevano estromesso? Nel mentre ci scervelliamo
sulla risposta, notiamo che né truppe, né navi italiane sono
state inviate sul posto, mentre è già presente una squadra navale
tedesca. Che a Palazzo Chigi si siano dimenticati che esiste una precisa
gerarchia anche tra i vassalli, e che non dipende solo dal servilismo
dimostrato?
Giacomo Catrame
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