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Da "Umanità Nova" n. 4 del 3 febbraio 2002
Commercio d'armi
Globalizzazione criminale
Non esiste società senza conflitto, non per una qualche predisposizione antropica dell'umanità, quanto perché gli attriti tra due individui sono fisiologici alla pluralità combinatoria infinita delle relazioni interpersonali; lo stare insieme in aggregati e quindi in società ne amplifica le opportunità.
Tuttavia se occorre non identificare conflitto con violenza, va precisato che una specifica modalità dei legami sociali - quale è la politica come sfera separata di organizzazione della società - trasforma il conflitto in prosecuzione della politica con altri mezzi, secondo la classica definizione di von Clausewitz. Ciò vuol dire che la politica statuale, che si rispecchia nella violenza militare come fonte originaria della propria possibilità di essere integrata nelle società - secondo Clastres le società non-statali sono scomparse semplicemente perché hanno subito non la corrosione dei tempi, quanto una vera e propria "invasione" e "conquista" da parte di società statuali - riesce con successo a trasformare il conflitto in violenza politica prima, e in violenza militare poi, ossia in militarizzazione della società, anche nella sua forma pallida della evocazione in ultima istanza.
La "cattura" del conflitto da parte della politica statuale, quindi, è all'origine drasticamente non mitizzata (ma quale contratto sociale!) della violenza bellica come fisiologia della condotta statuale, che assume due volti, uno fittiziamente pacifico nella politica "normale", l'altro violentemente bellicoso nello scontro militare, che da principale è diventato residuale, almeno nelle aree acculturate e ricche del pianeta, le quali preferiscono esportare violenza dislocandola fuori dalla propria sfera di vita.
Ciò è leggibile oggi nella geografia politica della violenza militare tradizionale e atipica: da un lato, conflitti armati e sanguinosi, anche se non condotti tramite il codice di guerra, con i suoi riti, il suo fair play (trattamento equo dei prigionieri, neutralità di infermieri, dottori e giornalisti, rispetto della convenzione di Ginevra sui civili, ecc.); dall'altro, forme di militarizzazione interna delle società attraverso strumenti di sicurezza che acuiscono le fratture sociali dando loro visibilità anche urbana (i quartieri benestanti recintati come fortezze medievali postmoderne con telecamere, dissuasori elettronici e vigilantes super attrezzati).
L'elemento comune ad una tale diffusione della violenza armata, che non era registrabile nemmeno quando, ai tempi cosiddetti bui del medioevo, si registravano guerre continue di trent'anni o di cent'anni, in cui il numero dei morti non riguardava i civili non coinvolti e comunque non toccava cifre inenarrabili come oggi, è la diffusione di armamenti sempre più sofisticati tecnologicamente. Il commercio di strumenti programmaticamente votati alla morte concerne una merce speciale la cui produttività viene alimentata da un uso che non degrada soltanto la merce (l'uso la rende a lungo andare inutilizzabile, quindi occorre sostituirla, al pari di una autovettura), bensì annichila pure e principalmente il possessore. La morte, paradossalmente, non annulla il circuito virtuoso e benefico del commercio di armi, il cui consumo è direttamente necrofilia applicata su scala mondiale.
Le caratteristiche del commercio di armi sono tipiche della attuale divisione del mondo in una piramide: poche imprese straricche, tutte concentrate nei principali paesi ricchi e potenti - la Cina non compare perché là l'impresa è lo stato... - , tutte potenze nucleari con diritto di veto nel Consiglio di sicurezza dell'Onu, che devono trovare e alimentare una domanda capace di soddisfare l'offerta di prodotti sempre più tecnologicamente sofisticati, pur conservando caratteristiche comuni: dare la morte, al pari di un machete, come si è visto nel genocidio ruandese (lì accoppiato con l'uso perverso della tecnologia radiofonica che incitava allo sterminio indicando le vittime con tanto di nome, cognome e villaggio di residenza).
Alimentare conflitti armati è il modo migliore per piazzare armi in giro per il pianeta, là dove élite di potere si combattono per mantenersi in sella il più a lungo possibile. È questa la ragione per cui nazioni dagli indicatori di ricchezza - pardon, di miseria - dovrebbero vietarsi la dissipazione delle poche risorse in spese di morte, parassitaria di altre spese vitali, offrendo tuttavia un quadro desolante: il grosso del commercio delle armi in direzione nord-sud vede gli acquirenti proprio quelle elites al potere che usano le armi come difesa della propria legittimazione al dominio, sia in chiave di difesa estera, sia molto più sovente in chiave di difesa da élite interne concorrenti. Tutto ciò fa ingrassare le imprese, che usano tranquillamente i relativi ministeri nazionali del commercio estero, ossia la politica dei governi, quale longa manus del propri affari, per rimpinguare i propri profitti, per assoggettare paesi del sud alla propria sfera di influenza politica rendendo quelle élite dipendenti dalla principale risorsa di loro sopravvivenza, ossia le armi, infine per ridisegnare le aree del pianeta secondo una geografia della violenza esportata parallelamente ad altre forme di esportazione di vettori del dominio globale: ad esempio, l'acculturazione forzata ai modelli occidentali, l'omologazione tecnologica che rende dipendenti tutti dalle imprese del nord. E le armi ne sono il modello principe, insieme a tutto il sistema bancario e finanziario nazionale e internazionale, degli aiuti di cooperazione che spesso camuffano forme di solidarietà tra élite, ossia sempre e comunque armi (commercializzate anche sottobanco).
Globalizzazione criminale vuol pertanto dire proprio che lo sterminio come cifra dei tempi presenti si attua scientemente e scientificamente attraverso la produzione e il commercio di armi, che nelle aree del nord pone una questione non solo etica, ma anche sindacale, ad esempio, ma che pone altresì una vasta gamma di opportunità di azioni di boicottaggio (le banche armate) affinché quanto meno da questa parte dove noi operiamo, sia resa difficile a una élite cosiddetta democratica continuare ad esportare miseria e violenza indifferentemente con la stessa nonchalance con cui si dà l'elemosina al primo poveraccio che incontriamo sotto i porticati delle nostre pacifiche città. Non esistendo più la divisione interno/esterno nella politica globalizzata, il boomerang della violenza esportata si ritorcerà contro le metropoli che verranno divorate da una violenza interiore contro cui non potranno opporre cinte muraria e sistemi satellitari di telesorveglianza a distanza.
Quanto accede in queste ore in Argentina ne è l'esempio lampante che parla finalmente di noi senza retorica e senza simulazioni. Violenza, politica, etica ed economia di morte si ricongiungono ad imbuto in un unico calderone letteralmente ingovernabile. Quale società ne uscirà sarà l'esito di un conflitto aperto, auspicabilmente non militarizzato dalle solite élite in cerca di sostituti funzionali, nel quale le capacità progettuali già fertili con l'intelligenza della creatività del momento potranno offrire una vita organizzata a misura di esseri umani non ridotti a merci scambiabili con sovrana indifferenza.
Salvo Vaccaro
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