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Da "Umanità Nova" n. 4 del 3 febbraio 2002

La guerra ha bisogno di te...

Al contrario di quanto le democrazie occidentali, e non solo, vorrebbero veicolare, il controllo sociale in questi ultimi decenni non ha mai smesso di ridefinirsi, attuando in modo differente, ma progressivo, il processo di "militarizzazione interna" grazie al largo uso delle leggi antiterrorismo, all'istituzione dei centri di detenzione permanenti, al riordino delle forze armate e di polizia e ai vari tentativi di sperimentare "sul campo" forme diffuse di controllo dei territori in mano alle ronde di sedicenti comitati di sicurezza e di "militarismo d'attacco" in funzione aggressiva con il passaggio dall'esercito di leva a quello professionale, con le missioni "umanitarie" di polizia internazionale, con i crescenti investimenti in spese e ricerche militari, con la ripresa dei test atomici e così via.

Il termine militarismo, per noi anarchici, ha sempre avuto un significato estensivo: la società capitalistica, nelle sue forme di mercato concorrenziali (Occidente) o di stato (URSS come esempio storico) ha bisogno, in diversa forma e con diversa modalità, di reggersi attraverso regole proprie di dominio che estendono l'esercizio del controllo e della repressione a diverse funzioni dell'apparato statale: esercito e la polizia appunto, ma anche i tribunali, le carceri, la produzione industriale e, andando oltre, il militarismo investe il sistema delle relazioni tra esseri umani, improntato a forme di dominio, coercizione, subordinazione e via dicendo che sono strettamente funzionali alla riproduzione degli apparati di controllo necessari sia al "Mercato" che alla conservazione di un ordine sociale gerarchico, diseguale e competitivo.

Questa divisione gerarchica tra esseri umani trova applicazione sia dentro i confini nazionali sia sul piano internazionale nelle relazioni fra stati: ciò, alla fine dei conti, significa il perdurare dello sfruttamento fra le classi su base interna ed internazionale, il perdurare della speculazione sulla natura, il perdurare dell'arroganza di coloro che reputano le proprie genti, anche quelle da loro stessi sfruttate, "godenti" di maggiori diritti rispetto ad altre genti di pelle, natalità, religione diverse dalle proprie, il perdurare delle disuguaglianze fra sessi etc. etc. Le guerre sono, come in forma differente le missioni sotto egida ONU, le missioni umanitarie, alcune organizzazioni non-governative gli elementi visibili, radicali, esteriori di un processo di militarizzazione che ha basi ben più profonde e radicate nelle dinamiche relazionali e produttive del corpo sociale, statale e produttivo.

Ed è proprio per questo che non ci basta dirci pacifisti: cosa vorrebbe dire infatti lottare contro le guerre se non si combatte anche contro l'apparato produttivo e militare che le genera? Cosa significa lottare contro le guerre se non ci si oppone anche all'esistenza degli stati che si arrogano il diritto di esercitare con la violenza il dominio sopra un territorio recintato? Cosa vuol dire lottare contro le guerre se non si contrasta il sistema di sfruttamento capitalistico da cui la gran parte di esse traggono origine e forza? Cosa significa lottare contro le guerre se non si combatte incessantemente contro ogni forma di sopraffazione e di presunta superiorità che viviamo ogni giorno nelle relazioni di lavoro, familiari, con gli amici o semplicemente con degli sconosciuti?

Umanità nova, appunto, e non per caso.

Non solo quindi gli stati ed il Capitale globale continuano brillantemente ad operare per una sempre maggiore militarizzazione delle nostre vite ma possiamo star certi che questo sarà solo l'inizio di un'escalation al riarmamento generalizzato.Sul fronte interno abbiamo tutti visto come la repressione delle piazze si sia già spinta verso l'assassinio, l'incarcerazione diffusa e l'internamento. Così come la controinformazione e l'uso della Rete sono fatte oggetto di attacchi e ostacolate da normative liberticide e oscurantiste. Lo stesso attacco alle libertà ed alle garanzie dei lavoratori s'inseriscono a pieno titolo entro il limite della potente ondata di gerarchizzazione della società.

È dunque questo il contesto in cui pensare ed agire ed è questo il mondo "impossibile" da rivoluzionare. Se contro il militarismo la nostra smania di libertari ci ha sempre visto irriducibili non possiamo egualmente non riflettere sul rischio della militarizzazione del movimento. La riproposizione speculare del modus operandi del nostro nemico non potrà evitare la gerarchizzazione e l'interiorizzazione della sopraffazione.

Questo non significa affatto non considerare i rapporti di forza, lo scontro come necessità contingente, l'azione diretta, ma vorremo indicare soprattutto che bisogna lavorare sulla radicalizzazione dei contenuti in una conflittualità che sappia contaminare e non ghettizzarsi.Sarà compito di tutti coloro che vorranno lottare contro il militarismo dare nuove forme ad un vecchissimo e duraturo sentimento.

Pietro Stara
Stefano Raspa



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