Da "Umanità Nova" n. 5 del 10 febbraio 2002
Guerra! Guerra! Guerra!
Il discorso di Bush sullo stato dell'Unione
Guerra è il concetto su cui si è incentrato il discorso di Bush
davanti alle Camere riunite.
In occasione del tradizionale discorso sullo stato dell'Unione, il presidente
degli Stati Uniti ha presentato il suo programma per questo anno, un programma
che si incentra su un unico punto: guerra, guerra al terrorismo e guerra alla
recessione.
Da tempo l'amministrazione della Casa Bianca esprime la sua intenzione di
condurre una nuova guerra mondiale; non sappiamo naturalmente quanto ci sia di
propagandistico in queste affermazioni e quanto di concrete preparazioni ad una
nuova tragedia, e ci auguriamo che sia solo un modo per aumentare il consenso
interno.
Di concreto c'è però che l'amministrazione USA insiste per una
rapida approvazione degli stimoli all'economia in discussione al Senato (100
miliardi di dollari), e delle sue proposte per la difesa nazionale: 48 miliardi
in più per il Pentagono (il più forte aumento delle spese
militari negli ultimi 20 anni), 17 miliardi di dollari per la sicurezza
interna, da spartirsi fra la CIA, il FBI, le varie agenzie di intelligence e i
corpi posti a protezione dei confini.
Per avere un'idea dell'investimento, si tenga conto che il deficit federale nel
terzo trimestre del 2001 era di 92 miliardi di dollari. Complessivamente
l'amministrazione USA punta a d aggiungere altri 167 miliardi, con un aumento
del deficit del 181%, senza tener conto dei tagli fiscali promessi da Bush in
campagna elettorale.
Il primo beneficiario di questo deficit spending sarà il complesso
militare industriale, composto da grandi corporation impegnate nella produzione
bellica, legate da stretti rapporti finanziari e molto influente in ambito
politico. Questo complesso è indifferente all'andamento del ciclo
economico, e si basa esclusivamente sulle commesse pubbliche:
l'intensificazione della politica di potenza da parte degli Stati Uniti
aumenterà la potenza di questo settore, una continua crescita della
politica di potenza degli Stati Uniti garantirà una continua crescita
dei profitti del complesso militare-industriale.
Questo sviluppo del settore legato alla produzione bellica garantirà una
crescita all'economia capitalistica allontanando i pericoli di recessione e
garantendo un alto saggio di profitto?
La storia ci insegna che tale politica, definita tecnicamente come uso
anticiclico del deficit del bilancio dello Stato e teorizzata da Keynes, ha
permesso a molti paesi sviluppati di uscire dalla crisi del '29, ma a prezzo di
iniziare la marcia verso la seconda guerra mondiale.
A detta di molti economisti, la prossima ripresa sarà debole, a fronte
di un calo del saggio di profitto fra i più alti dello scorso secolo, e
a fronte del peggioramento delle condizioni di vita dei ceti popolari, che si
ripercuoterà inevitabilmente sulla domanda. Una delle proposte per
uscire dalla crisi, rivolta alla Federal Reserve, è quella di mantenere
alti i tassi d'interesse, con lo scopo di mantenere il tasso di disoccupazione
al di sopra del 5%, così che i capitalisti possano avere sempre a
disposizione un esercito industriale di riserva con cui ricattare i lavoratori
occupati. Con un mercato interno frenato, per i grandi complessi industriali
rimangono solo le commesse governative. Ma anche queste saranno pagate a duro
prezzo soprattutto dai ceti popolari: per spendere soldi nella produzione
bellica, il Governo deve comunque sottrarre fondi alla società, in primo
luogo a chi non ha potenti lobby parlamentari a proteggerlo.
Guerra alla recessione e guerra al terrorismo sono quindi due slogan dietro cui
si nasconde la guerra continua dei governi contro i ceti popolari in ogni parte
del mondo.
Tiziano Antonelli
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