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Da "Umanità Nova" n. 5 del 10 febbraio 2002

Porto Alegre/dibattito 1
Le sirene del riformismo
Riflessioni sul "movimento globale" tra politici di professione e tensione libertaria ad un mondo senza stati né capitale

Al momento in cui scriviamo è difficile comprendere con sufficiente precisione le sfumature decisionali di quanto sta accadendo a Porto Alegre. Difficile perché è una kermesse di oltre 70mila persone, difficile perché tra i partecipanti ci sono pacifisti e guerrafondai opportunisti (magari anche qualche pentito, non si sa mai), cristiani di ogni genere e laici convinti della solidarietà tra individui senza intermediari trascendentali, politici sinistrorsi e gente che rifiuta i partiti in maniera viscerale e/o convinta, sindacalisti che (non) si rendono conto di essere tra i pilastri del sistema liberale e sindacalisti (di base) in cerca talvolta di un vertice grazie a cui apparire potentemente, insomma ribelli e insofferenti insieme a riformatori consapevoli.

Un altro mondo in costruzione è forse una iperbole, specie perché le leve del potere di costruire (miseria, povertà, ordine e disciplina) non sempre sono considerate nel giusto disprezzo e lontananza, in quanto tra i soggetti che pretendono con legittimità di costruire qualcos'altro, spesso troviamo anche coloro che non intendono minimamente distruggere l'orribile che già c'è, ma solo aggiustarlo in dosi accettabili, e di cui magari sono anche tra i responsabili più o meno diretti. Tuttavia, un Forum Sociale Mondiale forse deve scontare queste ambiguità, poiché raduna un arco di posizioni ancora in divenire, che si caratterizza per buone intenzioni e per buone pratiche, anche se a livello progettuale la radicalità è minima. Del resto, non diversamente doveva essere ai tempi della I Internazionale, con tutto quello che poi ne seguì quanto a divisioni laceranti, a divisioni ideologiche ma soprattutto politiche e strategiche. Non a caso, questo genere di assise ha fatto dire a qualcuno che siamo di fronte ad una Prima Planetaria.

Certo, non è facile costruire radicalità sociale a livello progettuale e empirico se non ci si confronta tutti insieme, ossia le varie posizioni da quelle riformatrici a quelle più sovversive, legate insieme dal filo rosso della concretezza sperimentale e non della contrapposizione ideologica. Se non altro perché metà della popolazione mondiale, che probabilmente non si sente rappresentata da nessuno, nemmeno da Porto Alegre, data la situazione ai limiti della sopravvivenza, non intende perdere tempo e, non appena ne troverà le forze, si sforzerà di cambiare strada al pianeta, sempre che i potenti della terra non la sterminino prima.

Intendo dire che lo sguardo con cui muoverci anche nei confronti di Porto Alegre non deve cadere preda della trappola globale di contrapporre ai vertici di minoranza i vertici di maggioranza (del tipo "Voi 8, noi 6 miliardi"), intanto perché non è vero, poi perché non è nemmeno auspicabile una rappresentanza mondiale accentrata in un unico luogo, sia pure variopinto e diversificato (anche troppo) come Porto Alegre, e infine perché sono i contenuti a dettare le politiche, e non l'emergere visibile sulla scena mediatica.

Sappiamo che i contenuti della trama di posizioni che si specchiano nei Social Forum italiani e quindi planetari sono vari, non omogenei, difficilmente riconducibili ad unità accentrata (se non sul piano fittizio del resoconto giornalistico di parte e sulla pretesa ridicola di rappresentanza politica e istituzionale nei partiti di sinistra, locali e non); lavorare per radicalizzarli significa utilizzare la tragicità dei tempi presenti i quali invocano soluzioni sperimentali forti e coraggiose, mentre l'arco di posizioni si (auto)media su parole d'ordine globalistiche (il numero, i luoghi planetari), non-violente (nel senso spesso supino e passivo del termine, come se la guerra globale rispettasse tale nobile condotta, stile Genova), riformiste (a cavallo tra piazza e parlamenti nazionali, tra vertici e controvertici, tra movimento e istituzioni mondiali da democratizzare), spesso istituzionali (partiti di governo locale che mirano a divenire partiti di governo nazionale, come è il caso del PT brasiliano che ospita il FSM) e antiliberiste (come se la tassazione del capitale speculativo risolvesse la questione del dominio capitalistico o fosse un primo passo verso una economia alternativa: quale garanzia hanno i sostenitori della Tobin Tax che i suoi proventi intascati dagli stati vengano utilizzati a fini sociali?).

Fare l'ala ultrasinistra di questo arco di posizioni politiche che cercano nel sociale il crogiolo di creatività e energie con cui innovare un percorso di trasformazione a tutti ignoto, anche a livello progettuale (anarchici inclusi, beninteso), può sembrare defatigante e talvolta poco simpatico, per così dire, perché un fare politica di questa sorta può voler dire avere a che fare con (semi)professionisti e talvolta anche con uomini di governo, ossia ipocriti e criminali in abito grigio. Ma sono una minoranza nella minoranza del ceto politico. E non possiamo consentirci il lusso di dare loro su un piatto d'argento libertà di scorazzare nel movimento.

Pertanto, assentarsi del tutto dai luoghi dove si registra una certa effervescenza sociale solo perché la compagnia non è delle migliori, solo perché non tutti sono vicini a logiche libertarie, solo perché la tensione rivoluzionaria non è predominante, non mi sembra una tattica opportuna, giacché che ci piaccia o meno questo è il movimento globale, e noi ne siamo all'interno portando una carica di contenuti che non può solamente ed esclusivamente risolversi nella tattica di piazza. Fare l'ala ultrasinistra solo nei confronti di banche e McDonald's dai vetri infranti non può caratterizzare una posizione anarchica ed un progetto anarchico a livello globale; il giovanilismo che ammassa truppe non rende conto che sedurre il mondo verso le nostre posizioni deve prendere in considerazione fasce generazionali diverse con cui costruire un segmento di percorso comune che possa essere valido per chiunque, senza limiti di età, di pensiero, di cultura, di appartenenza nazionale o etnica di partenza; la progettualità in negativo rispetto alle posizioni riformiste non può esimerci dal trovare convergenze momentanee per far avanzare una strategia complessiva di sovversione dell'organizzazione sociale che faccia a meno, ad esempio, di stati e Banca Mondiale, senza che ciò significhi l'ulteriore debolezza e l'ulteriore impoverimento del movimento di per sé frammentato dai colpi del sistema di dominio.

Intendo dire che scegliere di isolarsi da Porto Alegre (in senso simbolico) significherebbe cominciare un percorso lungo di estraneazione dal movimento, con cui entrare in concorrenza senza avere le forze per reggere il confronto, mentre farne parte integrante e legittima significa trovare spazi di confronto con coloro che, nell'ambigua kermesse, cercano anch'essi luoghi e idee non ripetitive della via socialdemocratica e g/localistica al cambiamento. E sospetto che la maggioranza dei partecipanti non cerchi altro che una strettoia per sottrarsi al ricatto delle élites locali senza per ciò votarsi a un turismo politico insostenibile, per sottrarsi all'ipoteca politicizzata e istituzionale senza per ciò amputare la vasta gamma di interventi e ridursi solo alla tattica scontrista nei momenti di raduno di piazza, con il coinvolgimento passivo di tanti in una sterile contrapposizione con le forze della repressione che non anelano altro che condurre tutto il movimento sul terreno a loro più congeniale perché professionale e funzionale al controllo statuale dei corpi e delle menti indottrinate tramite mass media di governo.

In ultima istanza, una progettualità anarchica e libertaria globale va costruita non solo nelle sedi specifiche, ma quotidianamente nei margini di manovra che si aprono nel movimento, non tanto sul piano di posizionamento tattico e politico, quanto sul piano di calibratura graduale dei contenuti propositivi dell'idea anarchica di società che è plurale per definizione e che vede compartecipi e protagonisti una immensa pluralità di individui, di uomini e donne di ogni cultura con cui costruire pazientemente insieme quel mondo nuovo che portiamo nei nostri cuori, ognuno diverso dall'altro e per ciò stesso più ricco e meno propenso a farsi ridurre ad un pensiero unico speculare a quello del sapere-potere dominante.

Questa gradualità radicale dovrà allora misurarsi sul piano sostanziale con le Tobin Tax, i bilanci partecipati, i municipi autonomi, insomma con le varie forme di eterocomando riformista e di autogoverno della vita quotidiana, in ambito politico di base e in ambito di organizzazione dell'economia, e in tal senso noi anarchici e libertari siamo chiamati ad una capacità di immaginazione politica e sociale in sintonia con le istanze libertarie già presenti nei forum e nel movimento, al di là delle spettacolarità dei vertici e dei controvertici, perché sarà nel respiro quotidiano che si tesserà il filo della trasformazione globale della vita in cui è necessaria la presenza di tutti coloro che, per adesso, in questa fase di grandi ambiguità e confusione progettuale, si lasciano richiamare dalle sirene già viste del riformismo neostatuale.

Ma questa è la battaglia politica ancora in corso e dagli esiti non scontati, e non in un altrove improbabile, e non solo contro i potenti del pianeta, ma anche accanto gli impotenti, che ne sono la stragrande maggioranza e a cui occorre offrire un orizzonte in cui l'alternativa non sia tra la morte sicura e l'ingresso nelle élites egemoni, ma tra la barbarie dello sterminio assicurato dalla morsa a tenaglia di stato militare e capitale globale, da un lato, e la libertà eguale tra differenti dall'altro, ossia un altro mondo senza stati né capitalismi: una società autorganizzata in senso libertario, una anarchia plurale e disseminata.

Salvo Vaccaro



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