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Da "Umanità Nova" n. 6 del 17 febbraio 2002
Da Padova a Guantanamo
La democrazia reale
Il grado di civiltà di un paese, delle sue istituzioni, della sua classe dirigente, si misura anche in base alla capacità, che questi hanno, di rispettare i diritti di quanti vengono, per un qualsiasi motivo, a trovarsi soggetti alla loro giurisdizione. Questo principio, che è, o almeno dovrebbe essere, uno dei cardini di quel sistema di regole e di convenzioni che prende il nome di democrazia liberale, non solo dovrebbe valere per tutti, ma, al tempo stesso, dovrebbe venire applicato senza deroghe o limitazioni.
È evidente, infatti, che è proprio dall'esistenza di un simile sistema di regole, che prevede identici diritti e identici doveri per il primo come per l'ultimo cittadino, che nasce il pregiudizio della superiorità del sistema occidentale. E che quindi, ove venisse a mancare il rispetto di questi postulati liberamente scelti, verrebbe a cadere anche la presunta superiorità di cui sopra. Con l'amara constatazione che il "migliore dei mondi possibili" forse, non è il migliore dei mondi possibili. O che, perlomeno, c'è ancora tanto, tantissimo spazio per migliorarlo. Eppure non passa giorno che questa nostra indiscutibile superiorità non venga svuotata della sua legittimità, proprio da quanti dovrebbero esserne, invece, i più convinti assertori, persuasi, evidentemente, che le regole le devono dettare alcuni, ma che poi, a rispettarle, devono essere gli altri.
Affermare che i fascisti, vecchi o nuovi che siano, non brillino per garantismo e per spirito di tolleranza è addirittura pleonastico. E difatti, nonostante il patetico darsi da fare dei loro gerarchi per farci credere di essere cambiati, e di avere indossato, definitivamente, il doppiopetto, si verificano regolarmente, qua e là, episodi che riportano le cose alla loro giusta natura. È di questi giorni la notizia che i fascisti padovani di An, terrorizzati all'idea che sarà la loro città, la città del santo, ad ospitare il prossimo corteo dell'orgoglio omosessuale, si sono attivati in una raccolta di firme finalizzata ad una legge in grado di "regolamentare le manifestazioni organizzate dalle associazioni omosessuali". Vale a dire che, se proprio non si può fare a meno che anche gli omosessuali abbiano gli stessi diritti riservati a chiunque altro, però "quei maledetti finocchi non alzino troppo la cresta, ma stiano ridotti e ringrazino se questi diritti, bontà nostra, glieli lasciamo". La notizia, mi pare, si commenta da sola. L'unica nota positiva è che per il momento, si stanno limitando a brandire la penna invece del manganello. Per il momento...
Questo succede in Italia, ma non è che all'estero le cose vadano meglio. Si sa che nella civilissima Inghilterra, retta da un governo di sinistra (o no?), vige saldamente il principio che di fronte alla legge siamo tutti uguali, come uguali per tutti sono diritti e doveri. Coi tempi che corrono, però, diventa opportuno che alcuni, in particolare gli ultimi arrivati, siano un po' meno uguali degli altri, e all'uopo si presenta un innovativo progetto di legge che impone, a chi richiederà la cittadinanza britannica, l'adempimento di alcuni obblighi. Roba da nulla, per carità, solo alcune semplici e innocue formalità!
D'ora in poi, infatti, secondo il disegno di legge, il profugo curdo e il contadino cingalese che chiederanno ospitalità o asilo politico, dovranno esprimersi in perfetto inglese, possibilmente con accento oxoniano, e dimostrare al contempo di conoscere a menadito nomi e genealogie dei regnanti inglesi degli ultimi sei secoli. Altrimenti, indietro! E una volta che il concorrente abbia superato i quiz del maicbongiorno di turno, ecco a seguire la prova più impegnativa, ossia il giuramento di fedeltà, mano sul petto, alla corona e alle sue istituzioni. O prendere o lasciare, love it or leave it, alla faccia del diritto al dissenso e della libertà di opinione.
Quando, in tempi recenti, furono i leghisti nostrani a chiedere che gli indesiderati ospiti delle lussuose carrette del mare che solcavano l'Adriatico, dimostrassero ad una severa commissione d'esame di aver attraversato lo stretto solo dopo aver imparato la storia della padania, illustrandola magari in puro bergamasco di sopra, furono proprio i laburisti nostrani a gridare, giustamente, allo scandalo. Ora che le stesse cose, se non peggio, le propongono i socialdemocratici del Regno unito, tutto va bene, tutto si tiene. Le secolari garanzie di asilo di cui beneficiarono, nei tempi passati, anche i Marx e i Malatesta, adesso sono gentilmente concesse secondo il grado di sottomissione ed integrazione del richiedente. Nel pieno rispetto, evidentemente, dei più elementari doveri civili. Di diritti se ne parlerà dopo, se ci sarà tempo e modo.
Ma, fin qui, ancora niente di veramente anomalo per i valori della nostra superiore civiltà. Si sa, le sbavature ci sono sempre state. Un vero e proprio salto di qualità, invece, in questa nobile gara a chi è più bravo a rimettere in riga gli esseri inferiori che ci ronzano intorno, è stato fatto, come d'abitudine, dai governanti statunitensi. La patria della democrazia, del diritto, della salvaguardia di ogni principio etico, l'insuperabile maestra nella difesa dei grandi e universali valori dell'umanità (soprattutto al cinema) ci ha, infatti, offerto una grande lezione di libertà: Guantanamo.
Le condizioni di detenzione dei prigionieri catturati in Afganistan sono sotto gli occhi di tutti: gabbie di tre metri quadrati senza un riparo, umiliazioni fisiche e psichiche di ogni tipo, inutili crudeltà ed angherie dettate solo da un vergognoso spirito di vendetta. Alla base, l'incrollabile convinzione di avere tutte le ragioni per farlo. Come ci hanno spiegato i vari Bush e Rumsfeld, infatti, quelli non sono prigionieri di guerra tutelati dalle convenzioni internazionali, o individui con una dignità giuridica, bensì dei rivoltanti terroristi affamati di carne umana, dei pericoli per l'intera umanità, degli untermenschen con i quali tutto è lecito. Anzi, doveroso.
Sorge a questo punto, spontanea, una semplice domanda semplice: cosa succederebbe se un trattamento del genere fosse riservato, da un altro stato, anche a un solo prigioniero statunitense? Quante centinaia di editoriali e di talk show sulla barbarie altrui e sulla civiltà nostra?
È davvero paradossale osservare come, per difendere i sacri principi di libertà, di democrazia, di giustizia, si debbano ficcare, quegli stessi principi, nel fondo dei pantaloni. Evidentemente i diritti si concedono solo quando ce lo si può permettere, in caso contrario diventano degli optional a discrezione. Siamo partiti in tromba per l'Afganistan, al suono delle fanfare, per tutelare la libertà del civile occidente, per dimostrare la nostra superiorità morale, per imporre questa superiorità ad esseri inferiori coperti da ridicoli turbanti. E abbiamo mostrato, una volta ancora, come l'atteggiamento fondante della nostra "cultura occidentale" sia solo il disprezzo per gli altri. Ma questo disprezzo per gli altri può, a volte, trasformarsi in disprezzo per se stessi, e non sarebbe male, allora, che gli inventori delle misure detentive di Guantanamo, gli ideatori del giuramento di fedeltà alla regina, i promotori delle firme contro gli omosessuali, fossero colti, pesantemente, da questa sindrome.
Massimo Ortalli
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