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Da "Umanità Nova" n. 6 del 17 febbraio 2002

Pubblico impiego: accordo del 4 febbraio
Una svendita annunciata

Il 4 febbraio, con la firma di un PROTOCOLLO D'INTESA fra governo e CGIL-CISL-UIL, lo sciopero che queste stesse organizzazioni avevano indetto per il 15 febbraio è stato, per quanto le riguarda, revocato.

Questa revoca giunge dopo mesi di forti tensioni, dopo scioperi dei lavoratori del settore privato e di quello pubblico, dopo che lo scontro su pensioni, libertà di licenziamento, contratto della scuola e del pubblico impiego, riforma dei cicli scolastici, sembrava giunto ad un punto di non ritorno.

Il sindacalismo di base ed autorganizzato mantiene l'iniziativa di lotta, lo sciopero generale e la manifestazione a Roma.

Moltissimi lavoratori che avevano, per l'ennesima volta, sperato in una svolta seria e significativa dei sindacati istituzionali sono oggi sconcertati.

Tuttavia un numero rilevante di delegati delle Rappresentanze Sindacali Unitarie appartenenti a CGIL-CISL-UIL e molte migliaia di lavoratori iscritti a questi sindacati hanno ribadito la necessità dello sciopero del 15 febbraio e denunciato il cedimento di CGIL-CISL-UIL come l'ennesima svendita degli interessi dei lavoratori.

A mente fredda e superata l'indignazione per quanto è avvenuto, è bene riflettere sulle ragioni della scelta dei sindacati istituzionali.

Non è opportuno, infatti, porsi come eterne vittime dei "tradimenti" della burocrazia sindacale e, al contrario, dobbiamo avere chiaro che CGIL-CISL-UIL hanno tradito solo chi voleva farsi tradire o, per lo meno, chi non aveva avuto sufficiente attenzione alle loro proposte ed alla loro pratica.

Cosa stabilisce l'accordo del 4 febbraio?

I dirigenti ed i funzionari dei sindacati concertativi affermano di aver ottenuto una vittoria sul governo e che, di conseguenza, la revoca dello sciopero era un atto dovuto.

Per dare una valutazione precisa sul fatto se vi è stata o no una vittoria è necessario stabilire chi ha vinto e che cosa e, di conseguenza, distinguere fra gli interessi dell'apparato sindacale, quelli del governo e quelli dei lavoratori.

In primo luogo, l'accordo stabilisce che:

"La stagione negoziale 2002-2005 per il personale delle amministrazioni dovrà confermare integralmente i contenuti del protocollo Governo-Sindacati sulla politica dei redditi del 23/7/1993, l'impianto contrattuale, nonché il sistema di relazioni sindacali complessivamente definito con il decreto legislativo 165/2001 e con i CCNL."

In altre parole, il governo, dopo aver dichiarato che la concertazione era finita, cede su questo punto e riconosce a CGIL-CISL-UIL il ruolo di interlocutori privilegiati.

Dal punto di vista dei lavoratori, l'unico che per noi è significativo, la concertazione significa che gli aumenti retributivi devono essere contenuti nei limiti dell'inflazione programmata che viene, poi, integrato, parzialmente, da quello della differenza con l'inflazione reale e che, di conseguenza, non vi sono, in senso proprio, aumenti dato che, nella migliore delle ipotesi, otteniamo, in ritardo, quanto l'inflazione ci sottrae.

Infatti, l'articolo 11 dell'accordo afferma:

"Il Governo si impegna a rideterminare le risorse finanziarie per i rinnovi contrattuali e per gli adeguamenti retributivi indicati dalla legge finanziaria per l'anno in corso, allo scopo di attribuire incrementi retributivi medi complessivi, di comparto, del 5,56%. Le risorse aggiuntive dovranno in ogni caso essere prevalentemente destinate alla incentivazione della produttività dei dipendenti."

Visto che erano già previsti aumenti retributivi del 5% (l'inflazione programmata), le concessioni effettive consistono nello 0,56% (i famosi cinque euro e mezzo). Al fine di non indurci in spese folli (una pizza ogni due mesi) si ricorda che queste "risorse aggiuntive" non saranno per tutti ma dovranno andare al salario accessorio e cioè al sistema di premi che negli ultimi anni è servito a dividere i lavoratori ed a porli gli uni contro gli altri.

D'altro canto, l'articolo 2 dell'accordo afferma che si deve destinare "una quota delle risorse finanziarie all'incentivazione dell'efficienza del servizio e della produttività".

Insomma, gli aumenti previsti sono lordi, medi, distribuiti su due anni e tali da non coprire l'inflazione reale nel mentre è mantenuta e rafforzata la tendenza a dividere i lavoratori.

Dal punto di vista di CGIL-CISL-UIL, l'accordo è, invece, decisamente generoso. Prevede, infatti:

1) La prevalenza della contrattazione rispetto alle disposizioni di legge (art. 3) e, visto che CGIL-CISL-UIL di mestiere contrattano, con i risultati che ben conosciamo, si comprende il loro interesse a questa concessione.

2) La tutela dei dirigenti (art. 4) e, visto che i dirigenti scolastici sono il nerbo del sindacato concertativo, si tratta per CGIL-CISL-UIL di tutelare i propri e di trattenerli dallo spostarsi verso un sindacalismo corporativo ancora più filogovernativo come quello rappresentato dall'Associazione Nazionale Presidi. Insomma CGIL-CISL-UIL vogliono dimostrare ai dirigenti scolastici che sanno esercitare il mestiere dell'ANP meglio della stessa ANP.

3) Un tavolo di contrattazione su interventi normativi sulla razionalizzazione e la riforma degli enti pubblici (art. 6)

4) Un tavolo permanente di confronto sui seguenti punti: organici, sia del personale docente che A.T.A.; piano pluriennale di investimento; tutti gli aspetti di applicazione della riforma che hanno ricadute sul personale e sull'organizzazione del lavoro. (art. 7)

5) Un tavolo di confronto con i sindacati per quanto concerne i provvedimenti di attuazione aventi riflessi sull'organizzazione delle strutture delle amministrazioni e degli enti interessati ai processi di riordino, fusione o soppressione. (art. 8)

6) Un apposito tavolo tecnico sullo smobilizzo del rateo annuale del Trattamento di Fine Rapporto e sul superamento del divieto di cumulo. (art. 9)

Ma quanti bei tavoli!

La "vittoria" di CGIL-CISL-UIL, insomma, consiste nell'accesso a diversi tavoli di contrattazione. Effettivamente, dal punto di vista dell'apparato sindacale, si tratta di un risultato non da poco. Il Governo, infatti, si era, nei mesi passati, presentato come un avversario deciso della concertazione ed aveva menato vanto della propria capacità di decidere su ogni questione senza riconoscere ai sindacati istituzionali il loro ruolo tradizionale.

Se il governo ha ceduto su questo terreno è bene domandarsi perché lo abbia fatto.

Due sono, a nostro avviso, le ragioni di questo cedimento:

1) Il governo, sotto la pressione della Confindustria, aveva alzato il livello dello scontro sociale soprattutto sulla questione delle pensioni e su quella della libertà di licenziamento costringendo gli stessi sindacati concertativi a fare fronte comune ed ad assumere comportamenti più conflittuali che in passato. La mobilitazione dei lavoratori lo ha indotto a fare rapidamente marcia indietro cercando l'accordo con gli stessi sindacati concertativi e facendo loro delle concessioni soprattutto per quel che riguarda il loro ruolo istituzionale.

2) Con l'accordo del 4 febbraio, il governo ha deciso di affrontare lo scontro sociale pezzo per pezzo. Ha, infatti, cercato di separare i lavoratori del settore pubblico da quelli del settore privato e di rafforzare i settori più moderati, quando non apertamente filogovernativi, del sindacato istituzionale. Concedendo a CGIL-CISL-UIL una serie di tavoli di negoziazione, ha ribadito non solo il loro ruolo sociale di interlocutori privilegiati ma anche garantito la gestione di importanti compiti e risorse. Basta pensare ai fondi pensione verso i quali si intende destinare il nostro TFR e al fatto che il vero obiettivo di CGIL-CISL-UIL è quello di partecipare a questo gigantesco affare.

Le contraddizioni dei sindacati concertativi

Abbiamo insistito sul fatto che CGIL-CISL-UIL hanno fatto esattamente il loro mestiere tradizionale perché riteniamo inutile e dannoso ogni lamento sulla cattiveria dei dirigenti di questi sindacati. Come è bene ricordare, non si è traditi che dai propri e costoro non sono i nostri. Per di più, basta ricordare quanto hanno già ceduto per quel che riguarda retribuzione, occupazione, diritti, per evitare ogni ingenuo se non cretino stupore.

D'altro canto, i sindacati concertativi si sono posti da sé in una situazione contraddittoria. Di fronte alla durezza del governo hanno chiamato i lavoratori alla mobilitazione. A questo fine hanno mostrato una vigoria inusitata, hanno promesso risultati importanti, hanno garantito che questa volta non avrebbero ceduto su nulla.

Molti lavoratori hanno dato loro fiducia e lo hanno fatto per ragioni non ignobili e, per essere chiari, partendo dall'idea che è necessaria l'unità dei lavoratori per ottenere risultati reali da una mobilitazione.

Oggi assistiamo all'ennesimo teatrino, con la CGIL che, dopo aver revocato lo sciopero del 15 febbraio, propone a CISL e UIL uno sciopero generale che i dirigenti di queste organizzazioni, coerentemente con la loro impostazione sindacale, rifiutano.

Si tratta di uno scontro interno all'apparato del sindacato concertativo, di uno scontro che ha ragioni completamente diverse da quelle che rendono necessaria la mobilitazione dei lavoratori.

Che coerenza, infatti, può esservi fra l'accettare un accordo come quello del 4 febbraio e il riprendere una parola d'ordine che, se assunta seriamente, implica la messa in discussione della concertazione? Paradossalmente, sono più lineari i dirigenti di CISL e UIL che riducono la loro azione all'accettazione di un rapporto di collaborazione subalterna con il governo in nome del meno peggio (per chi?).

Oggi molti lavoratori e delegati si devono necessariamente interrogare sui risultati dell'accordo del 4 febbraio, sulla natura del sindacalismo concertativo, sulle ragioni delle contraddizioni interne a questo stesso sindacalismo e lo sciopero del 15 febbraio è una prima risposta pratica a queste domande.

D'altro canto, dobbiamo avere chiaro che l'unità dei lavoratori non è l'unità delle organizzazioni sindacali o, almeno, che è qualcosa di più dell'unità delle organizzazioni sindacali.

L'unità, infatti, comporta una comunanza di scadenze di lotta ma anche, e soprattutto, di obiettivi.

Se lo sciopero del 15 febbraio vedeva la mobilitazione contemporanea del sindacalismo concertativo e di quello di base è anche vero che le piattaforme di indizione dello sciopero erano e, a maggior ragione, restano diverse.

Le ragioni dello sciopero e gli obiettivi che si propone

Con la scelta di CGIL-CISL-UIL di filarsela all'inglese lo sciopero del 15 ha assunto, di fatto, un rilievo ed una chiarezza programmatica maggiori.

Lo sciopero individua due temi portanti:

- Le retribuzioni europee, uno slogan che allude alla necessità di riconquistare reddito reale per il lavoro dipendente, di spostare quote di ricchezza dalla rendita e dai profitti al salario

- L'opposizione alla precarizzazione del lavoro e l'estensione a tutto il lavoro dipendente di un sistema di garanzie che oggi si vuole togliere a quanto resta del lavoro normato. Si tratta quindi di operare per l'unità del lavoro dipendente a partire da crescenti settori del lavoro precarizzato.

Questi due temi si intrecciano con forza a quello dell'opposizione alla guerra, alla difesa delle libertà sindacali, alla ripresa dell'iniziativa generale, categoriale ed aziendale del sindacalismo di base.

Oggi è possibile, necessario, centrale che settori di lavoratori e di militanti che hanno verificato sul campo la natura e la tattica di CGIL-CISL-UIL, anche di fronte ad un governo che, a parole, denunciano come pericoloso per i lavoratori, portino a questa battaglia un contributo di iniziativa, mobilitazione, militanza.

Cosimo Scarinzi



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