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Da "Umanità Nova" n. 6 del 17 febbraio 2002

Savoia
A volte ritornano

Nell'immaginario collettivo degli italiani, e dunque nella loro memoria, la famiglia Savoia è impressa come un marchio indelebile. Adesso che gli anni sono passati, tuttavia, il richiamo nostalgico ai tempi di Maria Josè, spacciata recentemente in televisione come indomita eroina di certa contrapposizione al fascismo del Ventennio, sfuma nella ineluttabilità del berlusconismo avanzato, chiamiamolo così. Eppure, come appare in tutta evidenza dalle ultime vicende riportate negli organi di informazione, la questione della famiglia reale - si fa fatica ad usare aggettivi del genere davanti a simili, terrificanti personaggi, ma è tanto per capirsi - ha riaperto un serrato dibattito attorno al vecchio, intramontabile tormentone del rientro in Italia dei discendenti del "piccolo re" che ha consegnato l'Italia ai fascisti più di mezzo secolo addietro.

Più che del giovane e piuttosto confuso Emanuele Filiberto, l'ultimo rampollo di tanta dinastia, ci occuperemo qui brevemente del suo candido genitore Vittorio Emanuele per riconsegnarvi, nei limiti del possibile, qualche fonte d'archivio utile a tenere desta la vostra attenzione e, ovviamente, a non dimenticarvi di ricordare, se mi passate la formula.

Il giovane Vittorio Emanuele cresce come un vero e proprio principe circondato dall'affetto e dai soldi della famiglia. Lo ricordano per la sua passione per le automobili e lo champagne, argomenti di cui è profondo conoscitore. Contrariamente agli ascendenti piuttosto famosi che hanno segnato, nel bene e nel male, e certamente più nel male, la storia d'Italia, l'esiliato eccellente è diventato ben presto uomo d'affari con contatti internazionali di un qualche calibro; il più famoso mentore di Vittorio resta il conte Corrado Agusta, proprietario al principio degli anni Settanta dell'omonima fabbrica di elicotteri militari. Sono di quel periodo i rapporti stretti con lo Scià Reza Pahlevi con il quale Emanuele di Savoia intrattiene lucrosissimi affari. A rileggerla a distanza di anni, la carriera del figlio del re si costruisce all'interno di un solido gruppo di sodali che appartengono ad una nota confraternita: si chiama Loggia Propaganda 2 ed è capitanata dal Venerabile massone Licio Gelli. Sembra addirittura che il principe d'oltralpe abbia raggiunto, così almeno racconta Gianni Barbacetto, giornalista di ottima credibilità professionale, il terzo grado della gerarchia massonica, quello di Maestro, e fosse di casa anche nella loggia di Montecarlo, un altro esclusivo club dei mercanti internazionali di armi.

Una vita dipanata tra mondanità e contatti ad altissimo livello; una vita tutto sommato all'ombra di potenti piramidi, fino ad un fatidico agosto del 1987. Durante un litigio con Nicky Pende, professione playboy, al nostro Vittorio scappa un colpo di fucile che dal suo yacht si perde nel buio della notte. Dick Hammer, giovane velista tedesco con l'unica colpa di trovarsi al posto sbagliato nel momento sbagliato, muore sul colpo mentre sta dormendo nella sua barca. Lo scandalo travolge l'intera famiglia ma il processo svoltosi in Francia manda assolto il principe con la sola condanna a sei mesi con condizionale per porto abusivo di armi. È l'unico episodio che getta pubblicamente il discredito su Vittorio Emanuele, all'epoca già in contatto con Craxi e Silvano Larini, uno dei cassieri particolari del segretario socialista.

Si tratta di una rete di innominabili complicità che finisce in Medio Oriente e addirittura in Iraq, dove anche il dittatore Saddam Hussein avrebbe utilizzato i buoni servigi dell'erede ad un trono ormai scomparso. La biografia mai scritta di Vittorio Emanuele di Savoia ci fornisce preziose indicazioni d'ambiente, per così dire. Il signor Savoia è protagonista di anni della nostra storia nazionale che restano ancora tutti da scrivere. La caduta del muro di Berlino ha aperto una nuova stagione della politica internazionale occulta; per intenderci quella che passa attraverso il riciclaggio dei profitti del traffico di droga e armi che coinvolge buona parte dei paesi dell'Occidente cristiano per trasferirsi rapidamente ad Est a seguito del crollo del regime sovietico. È possibile che il nostro re mancato sia stato davvero il silenzioso testimone di una trasformazione epocale nel sistema di potere che invadeva inesorabilmente i nuovi mercati nell'oriente d'Europa alla ricerca di guadagni facili e soprattutto immediati. Un prezioso collaboratore di dinastie del potere e della mercificazione enormemente più importanti di un paio di case reali avvolte nella pedante nostalgia di antichi fasti.

Oggi il governo Berlusconi, con la complicità silenziosa di buona parte della sinistra socialdemocratica del nostro paese che, a sua volta, proviene da analogo fallimento ideologico ed istituzionale, sta provvedendo al definitivo sdoganamento della famiglia Savoia che è possibile rientri a breve nel tanto agognato patrio lido. L'operazione non è per nulla ingenua e non va considerata un avvenimento minore di questi tempi bui di accelerato controriformismo cattolico. È assolutamente evidente che il legame storico che unisce i Savoia al fascismo di Mussolini è strettissimo; assolvere gli uni equivale quasi certamente ad assolvere l'altro, perlomeno nella vulgata classica, come si diceva una volta. La questione dell'esilio, perciò, diventa tanto più dirimente quanto più la si inserisce in questo preciso contesto della nostra storia nazionale, nel qui e adesso, in una parola. Non è un problema di persone, per quanto insopportabilmente altezzose e prepotenti. È un problema di riferimenti culturali. In questo momento il ritorno dei Savoia significa completare un sapiente lavoro di revisionismo di buon profilo, tutto intriso com'è di riferimenti distorti al common sense degli italiani, ad una indolente piccola borghesia drogata di televisione e ad una borghesia degli affari desiderosa di ordine e disciplina sociale.

Come ha recentemente osservato un commentatore acuto, e pericolosissimo, il governo Berlusconi ha ben altri progetti che quello di contrapporsi alla magistratura. Francesco Cossiga ha ragione quando sostiene che c'è in gioco l'apparato delle istituzioni; il presidenzialismo autoritario è a un passo. La verticalizzazione del comando, in mano a pochi, anche. Il rientro dei Savoia è un piccola tassello di un piano di incastri che avvolge il nostro intero sistema sociale. Mutazioni profonde fatte di piccoli assestamenti. A cominciare dalla memoria, ancora una volta, che resta sempre un baluardo inespugnabile fino a che non si insiste sui ricordi per cambiarne l'aspetto.

Mario Coglitore



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