Da "Umanità Nova" n. 7 del 24 febbraio 2002
Sciopero del 15 febbraio
Cresce l'opposizione sociale
Abbiamo, nel corso delle passate settimane, seguito con particolare attenzione
la preparazione, a livello locale e nazionale, dello sciopero del 15
febbraio.
Ovviamente, molti compagni, impegnati nei vari sindacati di base, hanno dato il
loro contributo alla costruzione della mobilitazione sui posti di lavoro e
nelle zone dove operano.
Abbiamo, d'altro canto, assunto questa scadenza come parte di un percorso di
sviluppo dell'opposizione che si è sociale che si è manifestato
nella manifestazione di Roma contro la Legge Bossi Fini, in quella di Livorno
contro la guerra e, a livello locale, negli scioperi e nelle mobilitazioni di
gennaio. Il 15 a Roma eravamo presenti con un buono spezzone preceduto dallo
striscione "Azione diretta contro lo Stato e il Capitalismo" ma eravamo anche
nei vari settori sindacali locali e categoriali mentre molti compagni
diffondevano il volantone e UN.
Crediamo che in questa fase sia la FAI che l'assieme del nostro movimento
possano e debbano dare un contributo d'azione, d'idee, di proposte ad uno
scontro che vede opporsi governo, padronato, burocrazie sindacali alla
resistenza dei lavoratori al degrado delle nostre condizioni di vita.
Crediamo, anche, che, senza alcuna presunzione, la critica dell'integrazione
sociale, la rivendicazione dell'autorganizzazione sociale, dell'azione diretta
e dell'autonomia del movimento di classe, siano contenuti che possono essere
fatti propri da settori ampi del movimento dell'opposizione sociale. Ci sembra
che nella mobilitazione in generale e nella manifestazione di Roma, in
particolare, questi contenuti fossero condivisi da molti
Le note che seguono, vogliono essere un primo, parziale, bilancio di una
giornata di lotta che crediamo decisamente importante.
Quantità e qualità
Che la manifestazione che si è svolta a Roma il 15 febbraio sarebbe
stata numerosa e vivace era prevedibile già nei giorni precedenti.
L'indizione unitaria da parte dell'assieme dei sindacati alternativi, la revoca
dello sciopero da parte di CGIL-CISL-UIL e l'esplicito scontento di vasta parte
della loro stessa base oltre che di consistenti settori dei militanti e dei
dirigenti, soprattutto della CGIL, l'andamento delle assemblee, la buona
riuscita di precedenti mobilitazioni come quella contro la legge Bossi Fini,
inducevano ad un ragionevole ottimismo.
Il fatto, poi, che si fossero organizzati treni da diverse province e che,
comunque, il numero di persone che si erano dette disponibili a venire fosse
ampiamente superiore alla media era un segnale preciso di vivacità
sociale.
Ritengo, però, che la riuscita della manifestazione sia andata oltre le
valutazioni più ottimistiche: due ore abbondanti di corteo,
l'occupazione della storica Piazza san Giovanni, il fatto che, sebbene vi
fosse, ed è un bene, una rilevante presenza di studenti e di militanti
di diverse aree politiche e sociali, la grande maggioranza dei partecipanti al
corteo fosse costituita da lavoratori in sciopero è un segnale sociale
da considerare in tutta la sua rilevanza.
Sarà, a mio avviso, necessaria una valutazione attenta dell'andamento
dello sciopero sul territorio e sui singoli posti di lavoro ma un dato è
certo e cioè che lo sciopero è riuscito e che il quadro sindacale
ne viene segnato in misura innegabile.
Se a questo dato aggiungiamo la vivacità del corteo, le ricadute che
avrà certamente sui posti di lavoro, l'effetto di rilancio dal punto di
vista del conflitto sociale e della militanza che possiamo ragionevolmente
aspettarci, si può affermare che l'opposizione sociale ha vinto una
battaglia e non una battaglia di poco conto.
Sulla composizione e sulla natura del corteo
La manifestazione ha visto una presenza massiccia di lavoratori della scuola e
del pubblico impiego. Consistenti erano, inoltre, i gruppi di lavoratori del
settore privato sia la tradizionale working class che, ed è un dato da
non sottovalutare, giovani, precari, lavoratori "anomali".
Lo sciopero del 15 febbraio ha, con ogni evidenza, ripreso la spinta delle
mobilitazioni del settore privato contro l'abolizione dell'articolo 18 dello
Statuto dei Lavoratori che vi sono state a gennaio e, soprattutto, posto
all'ordine del giorno il rifiuto dell'accordo del 4 febbraio fra governo e
CGIL-CISL-UIL.
Su questo aspetto della mobilitazione è necessaria la massima chiarezza.
Vi è, da più parti, la tendenza presentare lo sciopero del 15
febbraio come l'espressione di una pressione della base dei sindacati
istituzionali sulle proprie organizzazioni di appartenenza affinché si
pongano in maniera più combattiva nei confronti del governo.
Basta, a questo proposito, leggere un paio di dichiarazioni, fra le tante:
Giorgio Cremaschi, segretario della Fiom nazionale
"e sono molto contento della riuscita dello sciopero e della manifestazione.
Molti dei contenuti di questa lotta sono i contenuti delle lotte sociali, dai
metalmeccanici a quelle dei movimenti, di questi mesi. Ma soprattutto questa
lotta dà una chiarissima indicazione che lo sciopero generale di tutti,
dalla scuola all'industria, non solo è necessario ma è anche
maturo nella coscienza dei lavoratori. Per questo credo che il prossimo
direttivo della Cgil dovrà coerentemente giungere a questa decisione di
lotta"
Gigi Malabarba, senatore del PRC
"Il governo deve ritirare le leggi delega e l'articolo 18 non va
"stralciato" né barattato con lo svuotamento del contratto nazionale e
la cancellazione dei diritti". "Lo sciopero e la manifestazione costituiscono
il percorso verso lo sciopero generale su una piattaforma
anticoncertativa".
È, con ogni evidenza, legittimo da parte di settori della CGIL,
pensare che lo sciopero del 15 febbraio possa essere funzionale ad una
battaglia interna alla CGIL stessa ma va chiarito che quello del 15 febbraio
non è stato uno sciopero volto a imporne un altro ad una dirigenza
sindacale riottosa ma uno sciopero costruito e assunto da ampi settori di
lavoratori su contenuti precisi.
Il rifiuto dell'accordo del 4 febbraio, infatti, è già
l'espressione di quella "piattaforma anticoncertativa" che caratterizza
il movimento non dal 15 febbraio ma dagli scioperi contro gli accordi
del luglio '92 e del luglio '93 che resero visibile l'esistenza su scala
nazionale ed intercategoriale del sindacalismo di base.
Per ribadirlo in maniera schematica, l'assieme del sindacalismo di base, al di
là delle differenti posizioni e delle singole scelte organizzative ha
ragione di esistere proprio perché esprime il rifiuto del corporativismo
democratico che costituisce il quadro dell'azione e della cultura di
CGIL-CISL-UIL e del tradizionale sindacalismo autonomo.
Si tratta ora, oltre che di preparare e sviluppare le prossime mobilitazioni,
di sviluppare su questo tema un confronto serio con i settori di lavoratori e
di militanti ancora legati a CGIL-CISL-UIL che hanno scioperato a partecipato
alla manifestazione. Una rottura su di una questione contingente deve e
può diventare l'occasione per liberare forze ed energie dalla
defatigante battaglia interna al sindacalismo di stato e per ricollocarle sul
terreno dello scontro su contenuti chiari con il governo ed il padronato.
L'unità del sindacalismo alternativo
Lo sciopero del 15 febbraio segue alcuni mesi di rapporti complicati nel campo
del sindacalismo alternativo. Nel corso dell'autunno passato, infatti, non si
è riusciti ad indire iniziative unitarie contro al guerra, la legge
finanziaria, il riordino dei cicli scolastici.
Le divisioni del sindacalismo di base hanno, contemporaneamente, depotenziato
la sua azione e ridato spazio all'illusione di riconquistare settori
dell'apparato del sindacalismo istituzionale a posizioni conflittuali. Settori
consistenti del sindacalismo di base hanno, da questo punto di vista, mostrato
preoccupanti oscillazioni sia per dinamiche interne che per pressioni
esterne.
Sarebbe sbagliato nascondersi che il successo della giornata del 15 febbraio
è stata favorita anche dalla scelta del sindacalismo istituzionale di
revocare lo sciopero. Non è, naturalmente, possibile fare una
valutazione precisa dell'effetto di questa scelta e di quanti di coloro che
venerdì erano in piazza con noi sarebbero stati al corteo di
CGIL-CISL-UIL ma certo alcuni settori del corteo erano costituiti da lavoratori
e militanti che, in presenza di due cortei, sarebbero stati, in funzione
critica, per carità, all'altro.
Se, però, è chiaro, a chiunque abbia un'idea ragionevole della
natura sociale dei diversi sindacati, che la revoca dello sciopero da parte dei
sindacati istituzionali non è stato un "tradimento" ma l'unica
conseguenza possibile di una linea sindacale che fa della concertazione il suo
principale obiettivo, questa chiarezza deve diventare un patrimonio di settori
sempre più larghi del movimento dei lavoratori.
Non si tratta, di conseguenza, di chiudersi nella falsa opposizione fra
l'accettazione del ruolo gruppo di pressione sui sindacati istituzionali e
l'arroccamento su posizioni di chiusura rispetto a settori di lavoratori
combattivi che non fanno riferimento al sindacalismo alternativo ma di
distinguere in maniera chiara fra l'unità fra lavoratori, che va, sempre
e con determinazione, perseguita, nella chiarezza delle proposte e delle
posizioni, e un'unità burocratica e subalterna che vuol solo dire che ci
si illude che il sindacato istituzionale possa giocare un ruolo diverso da
quello che gli impone la sua natura.
Di un'unità dal basso reale la manifestazione del 15 è stata un
esempio importante:
Perché ha visto assieme lavoratori di categorie diverse, giovani ed
anziani, normati e precari, dipendenti pubblici e privati, su di una
piattaforma comune e generale capace di tenere assieme obiettivi di categoria
ed aziendali legittimamente particolari.
Perché ha coinvolto settori del movimento degli studenti, di quello
degli immigrati, di coloro che si oppongono alla guerra legando l'iniziativa
sul terreno di classe alle questioni generali che caratterizzano l'opposizione
sociale.
Perché diversi sindacati alternativi sono riusciti a scegliere assieme
una data, un percorso, una piattaforma al di là delle legittime
differenze che li caratterizzano. Soprattutto dalle "periferie" delle diverse
organizzazioni questo dato è stato colto con grande soddisfazione. I
lavoratori ed i militanti che stanno quotidianamente in trincea nelle singole
aziende e che spesso faticano a comprendere le ragioni di scelte diverse per
quanto riguarda le mobilitazioni hanno oggi un argomento ed una ragione in
più per premere per una maggior unità nelle lotte, in primo
luogo, e, perché escluderlo?, organizzativa dove se ne diano le
condizioni.
Non si tratta, ovviamente, di fare forzature in questa direzione né di
dimenticare che permangono importanti differenze fra i diversi sindacati
alternativi ma di valorizzare quanto unisce e di discutere serenamente su
ciò che divide.
Come sovente accade, insomma, una vittoria ci pone di fronte a nuove
prospettive ed a nuove responsabilità. Sta a noi il coglierle nella
maniera migliore.
Cosimo Scarinzi
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