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Da "Umanità Nova" n. 7 del 24 febbraio 2002

Processo dell'Aja
Dalla tragedia alla farsa

Se sul tappeto non ci fosse una delle vicende più tragiche di questi ultimi anni, potremmo tranquillamente definirla una farsa. Se al "tribunale" internazionale dell'Aja non si discutesse di genocidi, pulizie etniche, bombardamenti Nato, fosse comuni, lager, deportazioni, stupri di massa, persecuzioni religiose e razziali, armi chimiche e nucleari, distruzioni e disastri ecologici, crederemmo davvero di trovarci di fronte a una farsa grottesca. Una farsa grottesca che per un'infinità di motivi non riesce ad assumere, come dovrebbe, il ruolo di tragedia, e nella quale, come in tutte le farse, l'elemento che muove al riso è l'equivoco. In questo caso, un equivoco giocato con sprezzante cinismo, sulle sofferenze di un'intera nazione.

Cane non mangia cane, il potere non processa il potere. È questo l'equivoco dell'Aja. E infatti, il consiglio di sicurezza dell'Onu non porta, oggi, sul banco degli imputati, i responsabili delle istituzioni politiche ed economiche che, tutti insieme appassionatamente, hanno concorso al grande macello balcanico, ma semplicemente Slobodan Milosevic, uno di loro, quello sconfitto, il capro espiatorio perfetto nella sua brutale teatralità. Ed è a lui, solo a lui, come a un Hitler redivivo, che si vorrebbero addebitare tutte le responsabilità di quanto successo; anche perché, viste le colpe di quest'ultimo satrapo europeo, il gioco sembra fin troppo facile.

La storia dei Balcani, le guerre e i massacri di dieci anni, la dissoluzione della Jugoslavia, lo sfacelo di una società multietnica e multireligiosa, tutto questo viene rievocato dalla procuratrice Carla Del Ponte, come se fosse l'oggetto di un banale verbale di polizia costruito sulle informazioni di un confidente. E non bastano la sua enfatica animosità o l'ansia di apparire meritoria dei soldi elargiti a piene mani dagli sponsor sauditi e nordamericani, per rendere accettabile una ricostruzione dei fatti che non tiene minimamente conto dell'intreccio di interessi e responsabilità che, quei fatti, hanno prodotto. Permettendo quindi all'imputato, sicuramente capace di offrire una prospettiva storica, di smontare, o peggio, di vanificare l'accusa.

Da una parte, la ridicola pretesa di addebitare alle responsabilità di un singolo la complessità degli avvenimenti balcanici, dall'altra la ovvia contromossa dell'imputato che chiama, legittimamente, a correi e testimoni, i grandi del mondo: Gonzales, Clinton, Chirac, Kohl, Major, Cernomyrdin, e tutti gli altri. Gli stessi che, dopo aver plaudito agli accordi di Dayton del 1995, stipulati da tre emeriti criminali come Milosevic, Tudjman e Izetbegovic, salutarono come "uomo di pace" colui che oggi processano per i delitti commessi negli anni precedenti. Ma come, non sapevate nulla? chiede Milosevic, che con perfida e astuta intelligenza, dimostra che, anche se le sue responsabilità non vengono meno, la chiamata di correo, è però pertinente, perché nessuna, delle grandi potenze mondiali o delle piccole repubbliche balcaniche, è immune dalle colpe per le quali lui, e lui solo, è oggi chiamato a rispondere.

Ma un'altra chiamata di correo è legittima: quella che, purtroppo, vede, fra i protagonisti non innocenti del dramma balcanico, intere popolazioni accecate dallo spettro di un nazionalismo tanto sciovinista e becero, quanto può esserlo quello che trae linfa non solo da diversità etniche e linguistiche ma anche, e soprattutto, religiose. La barbarie che ha segnato la recente storia di queste terre, affonda le proprie radici in secolari odi e rivalità che solo il cosiddetto socialismo reale di Tito era riuscito a mascherare. E che gli interessi economici ed egemonici dei potentati occidentali hanno saputo far riemergere e sfruttare appieno.

Non solo, quindi, un nazionalismo serbo, ma uno sloveno (come dimenticare che tutto nacque da uno stupido incidente di frontiera in una Slovenia pesantemente condizionata dalla Germania), uno croato (la prima guerra guerreggiata, fra ustascia croati e milizie serbe, a continuazione del macello compiuto sotto l'occupazione nazista) uno albanese, kosovaro, bosniaco, macedone, montenegrino, ortodosso, mussulmano, cattolico... e senz'altro qualcuno c'è sfuggito. Tutti alleati per distruggere quello straordinario mosaico multietnico e multireligioso che era la penisola balcanica.

Che utilità reale può avere allora questo processo, questa farsa? Come si può pensare che abbia una sua giustizia intrinseca, e che possa davvero funzionare, come si pretende, da monito per presenti e futuri criminali politici, quando è invece evidente che le regole vengono dettate dai vincitori, e che la danza è condotta dai loro interessi, dai loro soldi e dalle loro infami ipocrisie? A chi serve questo processo, se non a quell'omogenea combriccola di "democratici capi di governo" che decisero, due anni orsono, di bombardare la Serbia provocando migliaia di morti civili, e che ora vogliono far dimenticare le proprie criminali decisioni, riparandosi dietro la condanna di un solo responsabile? Il gioco è chiaro! Punito il Colpevole, gli altri restano fuori. Condannato il perdente Slobodan Milosevic per quanto successo in Serbia, i vittoriosi dirigenti balcanici e i vertici della Nato (dov'eri allora, caro D'Alema?) saranno considerati innocenti, tacitamente assolti da quel tribunale e da quei giudici creati a quel fine. Un bel certificato in carta bollata, e chi si è visto si è visto.

E questa loro "innocenza" diventerà, oltre che l'assoluzione per vecchi crimini e vecchie atrocità, anche la giustificazione per nuove atrocità e nuovi crimini. Questo diritto, giuridicamente sancito, di giudicare il cattivo di turno, con le loro regole, i loro giudici e i loro tribunali, blocca sul nascere qualsiasi velleità, garantista o umanitaria che dir si voglia, di porre sullo stesso piano, tutti gli stati e tutti i governi. Ieri, oggi, e soprattutto domani! Quanti presidenti americani o primi ministri britannici dovrebbero finire, altrimenti, sotto le grinfie della Dal Ponte?

Quanto fumo, dunque, si leva dalle aule dell'Aja! Perché se non fosse fumo, allora il potere, assieme a Milosevic, dovrebbe processare se stesso. Ma nella oggettiva impossibilità di un gesto così masochista, si cerca un capro espiatorio, sicuramente colpevole, lui fra gli altri, di quanto imputatogli, per convincerci della perfetta imparzialità dei giudizi, delle sentenze, delle condanne. Mentre l'unica condanna, essa sì legittima e doverosa, dovrebbe essere quella di ogni forma di nazionalismo, di imperialismo, di intolleranza religiosa o razziale. E di ogni atto governativo.

Se dietro a tutto questo non ci fossero le decine di migliaia di vittime innocenti, uccise dalla pulizia etnica come dai bombardamenti umanitari, ci sarebbe addirittura da sorridere. Come converrebbe, seduti a teatro, assistendo a una grottesca farsa.

Massimo Ortalli



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