Da "Umanità Nova" n. 8 del 3 marzo 2002
Lo sciopero d'aprile della CGIL
I giochi politici dei sindacati di Stato
Dal punto di vista delle relazione interne ai sindacati istituzionali,
l'accordo del 4 febbraio su scuola e pubblico impiego sembrava avere posto le
condizioni per la ripresa di un'iniziativa unitaria nei confronti del governo e
del padronato.
A maggior ragione, appare significativa la nuova rottura fra CISL e CGIL (la
UIL conta, in questo tipo di dinamiche, abbastanza poco) per quanto riguarda la
questione dell'abolizione dell'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori e, in
genere, la partita che si apre su mercato del lavoro, pensioni, diritti.
La CGIL ha indetto uno sciopero generale da sola per il 5 aprile ed una
manifestazione per il 23 marzo aggravando una rottura già determinatasi
con gli scioperi dei metalmeccanici e della scuola dell'anno passato.
Non credo valga la pena di prestare troppa attenzione alle accuse reciproche
fra CGIL e CISL con la CGIL che accusa la CISL di collateralismo con il governo
e la CISL che ricambia denunciando il collateralismo della CGIL ai DS.
È, infatti, evidente che entrambi i contendenti hanno perfettamente
ragione.
Se una considerazione vale la pena di fare a questo proposito è che
abbiamo l'ennesima conferma dei disastri che sono determinati, dal punto di
vista di classe, dall'integrazione delle organizzazioni sindacali nello stato e
nel sistema dei partiti. Le risorse che il sindacato istituzionale trae da
questa integrazione ne gonfiano enormemente la consistenza ma ne fanno anche un
organismo manipolabile, ricattabile, in ultima istanza fragile almeno quando
deve andare ad uno scontro sociale serio e radicalo.
Quando Sergio Cofferati afferma "è un errore trattare, visto che materia
della trattativa è la delega sul lavoro, licenziamenti compresi. Non ho
mai detto di non essere disposto a trattare, ma non intendo trattare per
peggiorare i diritti esistenti dei lavoratori", in "La Stampa" del 24 marzo,
sembra, se non proprio un sindacalista rivoluzionario, almeno un sindacalista
fautore di una difesa puntuale degli interessi di classe. Non è, a
questo proposito, possibile dimenticare che i diritti esistenti dei lavoratori
non solo non sembravano preoccuparlo più che tanto nel passato decennio
ma non lo hanno preoccupato nemmeno quando c'è stato l'accordo del 4
febbraio.
D'altro canto, l'accordo in questione, come abbiamo già scritto, salvava
la concertazione e, cioè, l'essenziale dal punto di vista dell'apparato
sindacale e si comprende perfettamente di quali diritti Sergio Cofferati si
preoccupi effettivamente.
Può, a questo punto, valere la pena di ragionare sul comportamento del
governo e del padronato. Infatti mentre i contratti del pubblico impiego vedono
nel governo la controparte cosa che permette mediazioni, magari dolorose ma
opportune se servono a calmare la situazione ed a dividere il movimento dei
lavoratori, il mercato del lavoro vede un terzo, importante, soggetto in campo
e cioè il padronato.
Antonio D'Amato, presidente della Confindustria, ha in materia idee sin troppo
chiare: "se le riforme è meglio farle con il consenso, il consenso senza
riforme getta a mare il paese" da la "La Stampa" del 24 marzo. E di quali
riforme parli è ben chiaro, la deregolamentazione del sistema delle
relazioni industriali, deregolamentazione della quale l'attacco all'articolo 18
è un tassello dallo straordinario valore simbolico.
Naturalmente Antonio D'Amato è un amico della classe operaia come tutti
i riformatori e non esita ad affermare che: "Alle controparti si deve rispetto.
E con questo rispetto io a Cofferati dico: basta con la campagna di
disinformazione che cerca di dipingerci come quelli che vogliono annullare i
diritti dei lavoratori e instaurare la libertà di licenziare. Basta,
perché l'unica libertà che noi vogliamo è la
libertà di assumere". In "Il Corriere della Sera" 24 marzo. Se la lingua
italiana avesse ancora un senso si potrebbe far notare al nostro amico che non
ci risulta che attualmente vi siano divieti alle assunzioni di tutti i tipi e
specie ma, con ogni evidenza, Antonio D'Amato è ostile al matrimonio e
fautore deciso del libero amore. Dal suo punto di vista, di conseguenza, la
libertà di assumere non presuppone alcun legame con il neo assunto che
deve essere ripudiabile in ogni momento.
Il governo sembra, in questa situazione, muoversi a vista e oscillare a seconda
della pressione dominante. Se anche lasciamo da parte la proposta del buon
Silvio Berlusconi di sostituire il reintegro del licenziamento senza busta paga
con un indennizzo corrispondente a ventiquattro mesi di stipendio, proposta che
ha provocato le reazioni degnate di Sabino Pezzotta che ruvidamente ha
affermato, sempre su La Stampa del 24 marzo, "Se il presidente del Consiglio
tacesse farebbe bene a sé e alla trattativa che deve iniziare" e dei
dirigenti della Confindustria che non hanno gradito la pretesa del governo di
disporre dei loro soldi, altri segnali non vanno sottovalutati.
Roberto Maroni, infatti, dopo aver affermato che: "Il governo è
disponibile a modificare i contenuti della delega sul mercato del lavoro
laddove si arrivi a un avviso comune tra le parti", in "La Repubblica del 20
febbraio, si spinge a rilevare che "Se Pezzotta riuscirà a convincerci
sulla necessità di modifiche alla delega relativa all'art.18 e
all'arbitrato, il governo ne prenderà atto". In "La Repubblica" del 24
febbraio.
Ora, o supponiamo che le sorti della trattativa sono affidate alle
capacità di ipnotizzatore di Savino Pezzotta o la dichiarazione di
Maroni va interpretata come l'espressione della disponibilità del
governo a concedere alla CISL una vittoria simbolica, per un verso, e un ruolo
di interlocutore privilegiato e responsabile, per l'altro, in cambio di
cedimenti sull'assieme dei diritti dei lavoratori, cedimenti ancora in gran
parte da definire nei dettagli ma conosciuti nell'essenziale sulla base del
famoso Libro Bianco dello stesso Maroni.
Quando Savino Pezzotta afferma in "Il Corriere della Sera" del 24 febbraio, che
"un sindacalista non deve mai sottrarsi al confronto. Ho trattato anche quando,
da segretario del tessili, l'azienda metteva sul piatto migliaia di
licenziamenti. Si tratta finché si può, quel che non si tratta si
contrasta. Io non cedo nulla sull'articolo 18 e sono sicuro di convincere
Maroni che ho ragione" e ribadisce, lo stesso giorno, su "La Stampa" che "Io
vado a trattare e intanto porto a casa qualcosa. Lì c'è un sacco
di roba che interessa i lavoratori" non parla, almeno se l'uomo non si
smentirà, per dare aria ai denti. Sarebbe, a questo punto, interessante
conoscere in cosa consista questo "sacco di roba".
Un'ipotesi, decisamente plausibile, si può azzardare. Possiamo
immaginare, infatti, l'utilizzo del modello spagnolo consistente in una secca
riduzione delle garanzie a livello aziendale e categoriale in cambio
dell'attivazione di qualche forma di reddito garantito, ovviamente modesto, per
i lavoratori espulsi dal processo produttivo. Una soluzione conveniente per il
padronato, il governo e gli stessi sindacati soprattutto se coinvolti nella
gestione delle risorse destinate a fungere da ammortizzatore sociale.
Che lo stesso padronato non guardi male una soluzione di compromesso lo
dimostra il fatto che "l'amministratore delegato della Fiat Paolo Cantarella ha
sollecitato a non fossilizzarsi "su una questione pur importante come
l'art.18", ma "a sedersi al tavolo - come si conviene alle associazioni dei
lavoratori e degli imprenditori - per discutere di tutti i capitoli davvero
importanti" che Maroni ha messo sul tavolo con le deleghe sul lavoro e sulla
previdenza." In "La Stampa", del 24 febbraio.
Lo scenario che ci troviamo di fronte è, insomma, di lettura non
semplice e i diversi livelli dello scontro sociale, politico, sindacale sono
comprensibili solo se si tiene conto del loro intrecciarsi.
Se, andando dal livello più pubblicizzato a quello più rilevante,
proviamo a ricostruire il quadro è chiaro che si vanno sviluppando:
- Uno scontro per l'egemonia in campo sindacale fra CGIL e CISL
- Un tentativo del governo di incunearsi in questa contraddizione
- Un asse privilegiato fra settori "sociali" della maggioranza e la stessa CISL
- Un tentativo di ricostruire l'insediamento sociale della sinistra
parlamentare intorno alla CGIL
In questa dialettica si apre uno spazio per l'opposizione di classe anche
perché la vigoria della CGIL non è priva di rapporti con la buona
riuscita dello sciopero e della manifestazione del 15 febbraio.
Il gruppo dirigente della CGIL ritiene, con ogni evidenza, di poter mettere in
crisi l'asse fra governo e CISL sia recuperando l'opposizione sociale che il 15
ha avuto modo di manifestarsi che aprendo contraddizioni nella CISL fra i
pragmatici alla Pezzotta e le aree di sinistra di questo sindacato.
Il fatto che lo sciopero sia stato collocato così avanti nel tempo
indica la volontà di lasciarsi le mani libere sia per poterlo revocare
nel caso lo scenario cambi sia per poterlo aprire alla CISL se il governo ed il
padronato si irrigidissero.
Dal nostro punto di vista, l'attenzione va posta su almeno tre questioni:
- La critica della sottomissione dell'azione sindacale alle dinamiche
parlamentari ed ai giochi dell'apparato
- Lo sviluppo dell'iniziativa sul tema dell'articolo 18 e, in generale, dei
diritti dei lavoratori sui posti di lavoro
- La capacità di sviluppare un'azione efficace contro la precarizzazione
del lavoro e per l'unità di classe fra lavoratori precari e normati,
italiani ed immigrati, occupati e disoccupati.
In sintesi, l'asse di un'autonoma campagna di primavera è disegnato, si
tratta di svilupparla ed organizzarla.
Cosimo Scarinzi
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