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Da "Umanità Nova" n. 9 del 10 marzo 2002
Le follie del ministro della sanità
Tornano i manicomi
La volontà di mettere fine "all'anomalia" rappresentata nella legislazione sanitaria del nostro paese dalla Legge 180, è stata più volte dichiarata dal Dottor Sirchia, ineffabile Ministro della Sanità.
Questo eroe dei nostri tempi ha dichiarato, infatti, il definitivo fallimento
del modello rappresentato dai presidi locali per i sofferenti psichici, e dalle
soluzioni abitative alternative all'internamento, come le comunità.
In questo, non differentemente da altri campi, la politica del governo
Berlusconi sembra orientata più che altro a radicalizzare le decisioni
prese dal precedente governo ulivista, peggiorandone le conseguenze e dotandole
di giustificazioni ideologiche esplicitamente "di destra". I governi
dell'Ulivo, infatti, avevano già di fatto avviato lo smantellamento
dell'impianto della Legge 180, con provvedimenti tesi a perseguire tre
obiettivi: la ripresa di centralità della figura dello psichiatra nel
determinare le modalità del lavoro socio-educativo nel settore
psichiatrico, il disegno di modelli di presidi socio-sanitari tristemente
simili (tanto nel numero di ricoverati, quanto nel rapporto tra personale
educativo e ricoverati stessi) al modello dei vecchi reparti psichiatrici, il
trasferimento della maggior parte dei presidi dalle mani del pubblico a quelle
del privato "sociale". Quest'ultimo obiettivo, finalizzato a ottenere, non solo
una riduzione dei costi, ma anche di poter disporre di personale con minori
possibilità di contrattazione con le dirigenze del settore sanitario.
Ovviamente, la giustificazione ideologica dell'operazione del precedente
ministero era quella di garantire maggiore efficienza e maggiore
accessibilità al servizio per i cittadini. Una giustificazione "di
sinistra" per coprire una politica tesa a ridurre le prestazioni
socio-sanitarie, a limitare l'affermazione dei diritti elementari dei
sofferenti psichici, e a marginalizzare le figure professionali educative che
si erano fatte interpreti del periodo della deistituzionalizzazione.
Con il mutamento della compagine governativa, la politica di
reistituzionalizzazione dei sofferenti psichici ha avuto un'accelerazione con
la messa in discussione dello stesso impianto della Legge 180, per quanto
riguarda il controllo sanitario sulle strutture e sui presidi. Il modello
proposto, infatti, è quello del "reparto diffuso", caratterizzato da
strutture strettamente dipendenti dai primari di Psichiatria delle varie ASL,
con forte concentrazione di utenti in ogni struttura, composizione del
personale fortemente centrata su personale infermieristico o incaricato della
pura assistenza, interazione inesistente con "il mondo al di fuori" della
struttura. Inoltre, il ritorno a un modello di forte istituzionalizzazione,
comporterà spiacevoli novità per coloro che si avvalgono del
sostegno psichiatrico, vivendo comunque da liberi cittadini. Il passaggio di
quella che si va delineando come la "proposta Sirchia", infatti, vedrebbe
aumentare in modo esponenziale il potere del singolo psichiatra di disporre
interventi coatti di internamento per i propri pazienti, ben oltre i limiti
giuridici attualmente posti alla pratica dei TSO. Infine, dulcis in fundo, la
sbandierata integrazione tra Sanità e Assistenza, porterà alla
diffusione di strutture residenziali, già oggi esistenti, nelle quali
verranno stipati insieme anziani non autosufficienti e sofferenti psichici
già in la con gli anni. Chi scrive ha avuto l'occasione nel Maggio dello
scorso anno, di visitare una di tali strutture, dipendente dall'ASL 2 di
Torino, ma gestita da una cooperativa milanese. La presenza di ospiti era
dell'ordine di centotrenta persone, vi era un'unica educatrice in servizio,
mentre su ogni turno erano presenti trenta assistenti domiciliari, incaricati
di alzare, lavare e far mangiare i ricoverati. Inoltre, nel personale, erano
previsti due infermieri per turno, incaricati esplicitamente di "occuparsi" del
40% di ospiti con patologie sanitarie, nel caso questi dovessero dare problemi.
L'intera gestione della struttura era supervisionata dai referenti psichiatrici
dell'ASL, i quali si riunivano settimanalmente con l'educatrice responsabile
della struttura, per passarle le consegne e ricevere le relazioni
sull'applicazione delle consegne precedenti.
In pratica, si verranno a creare dei veri e propri "piccoli reparti", la cui
popolazione varierà tra i venti e i centocinquanta ricoverati, a seconda
che si tratti di giovani psicotici e schizofrenici (i soggetti più
interessanti e lucrosi per chi voglia far carriera in psichiatria), oppure di
"vecchi matti" a fine corsa, da ricoverare badando di non spendere troppo.
Naturalmente, questo sarà il destino di chi si dovrà accontentare
della Sanità pubblica, visto che il ministero, prevede l'applicazione
del principio di sussidiarietà, per il quale, laddove sia possibile
l'affidamento di ospiti e strutture ai privati, questi ultimi debbano prevalere
sul pubblico. Giova ricordare che anche questa disposizione è in
continuità con l'operato dei governi ulivisti, responsabili del varo
della Legge Turco-Veltroni, imperniata proprio su quel principio di
sussidiarietà che oggi viene invocato per aprire la strada all'opera di
cliniche private e cooperative legate alla Compagnia delle Opere (Comunione e
Liberazione).
Se la condizione futura dei ricoverati psichiatrici sarà sempre
più dipendente dalle possibilità economiche delle famiglie di
provenienza, quella dei lavoratori del settore è sicuramente improntata
a una radicale diminuzione di discrezionalità e autonomia nel proprio
intervento.
Il settore di lavoro educativo, finora, è stato caratterizzato dallo
scambio tra la scarsa retribuzione e un discreto grado di autonomia del proprio
lavoro. Gli educatori per lo più non avevano qualifiche professionali,
oppure ne avevano dipendenti da corsi locali, al massimo di livello regionale.
La momentanea "ritirata" degli psichiatri dalla gestione diretta dell'utenza
psichiatrica aveva determinato un sostanziale affidamento della stessa alle
cure degli operatori delle strutture. Questi ultimi per anni hanno avuto come
dovere esclusivo nei confronti dei servizi sanitari, quello di redigere
trimestralmente delle relazioni da sottoporre agli psichiatri referenti dei
vari ospiti.
Il mutamento avviato dai precedenti governi muterà completamente questo
quadro, tranne per quanto riguarda i salari, ovviamente destinati a mantenersi
particolarmente bassi. Gli educatori dovranno, infatti, uscire da corsi di
laurea breve, appositamente istituiti presso le facoltà di Medicina, in
modo da restituire agli psichiatri il potere di formare gli operatori che
lavoreranno nelle strutture. Gli educatori diverranno sempre di meno, con
compiti di direzione del lavoro degli assistenti domiciliari, di impostazione
di un lavoro educativo che dovranno svolgere nei ritagli di tempo, e,
soprattutto, di esecuzione degli ordini impartiti quotidianamente dagli
psichiatri responsabili delle varie ASL in brevi incontri quotidiani. A fronte
di questi pochi educatori, si moltiplicheranno in modo esponenziale gli
assistenti domiciliari, descolarizzati, pagati anche meno degli educatori e,
incaricati esclusivamente di lavare, pulire i ricoverati e badare che non gli
crepino tra le mani.
Insomma, un bel quadro che rischia di farci rimpiangere quel breve periodo
durante il quale, nel settore del lavoro educativo, si era sviluppato un
modello di lavoro tendenzialmente orizzontale, attento ai bisogni delle persone
sulle quali si lavorava, e, soprattutto, dotato di un discreto livello di
autonomia nel decidere come erogare la propria prestazione lavorativa.
Ovviamente, non si è trattato mai di un modello di autogestione
lavorativa, anche perché le sue possibilità di esistenza
derivavano, comunque, dall'erogazione di denaro pubblico, però, la lunga
latitanza delle baronie mediche in questo settore, ha permesso un grado
sconosciuto altrove di possibilità di determinare le modalità del
proprio lavoro.
Tutto questo è ormai alle spalle; sarebbe ora che anche gli educatori se
ne accorgessero e che, al posto di iniziare lunghe litanie sul "bel tempo
perduto", iniziassero a muoversi per rivendicare condizioni lavorative
migliori, aumento degli organici educativi e un reale potere di intervento sul
processo educativo del quale dovrebbero essere i protagonisti. L'unico modo di
impedire il ritorno del potere assoluto delle baronie psichiatriche sulle vite
dei sofferenti psichici e sul lavoro degli educatori, è quello di una
mobilitazione diretta del personale educativo, cosciente dell'importanza anche
sociale della partita che si sta giocando in questo momento, e capace di
coinvolgere settori di società in una battaglia che non può
riguardare solo chi lavora nel settore psichiatrico o, lo deve subire come
utente.
Giacomo Catrame
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