unlogopiccolo

Da "Umanità Nova" n. 10 del 17 marzo 2002

Pulizia etnica nel Mediterraneo

"Quello che abbiamo fatto, lo abbiamo sentito dal profondo dei nostri sentimenti. In quelle condizioni, in quella zona lontana, avremmo potuto lasciarli lì e nessuno ne avrebbe saputo nulla, ma noi siamo umani."
Francesco Giacalone, nostromo del motopesca Elide, in La Stampa di sabato 9 marzo

La storia e la geografia dell'orrore si arricchiscono ogni giorno di nuovi, terribili, capitoli lungo le sponde del Mediterraneo, solcate da barche cariche di disperati alla ricerca di un approdo nella nostra bella Italia. Molti, troppi, non arrivano mai, inghiottiti da un mare spesso crudele con imbarcazioni troppo fragili, troppo piccole, troppo cariche.

In questi anni, dice Salvatore Orani, sino allo scorso agosto comandante della capitaneria di Lampedusa, "il canale di Sicilia (è diventato) un cimitero". "Più del 10% di quelli che partono non arrivano a destinazione, muoiono in mare". Di loro non restano che le telefonate angosciate dei parenti che, inutilmente, li cercano; qualche volta il mare rende nelle reti dei pescatori qualche misero resto.

Anche della nave carica di 40, 50 forse 60 immigrati colata a picco al largo di Lampedusa il 7 marzo non sarebbe rimasta traccia senza il coraggio e la determinazione dei pescatori di Mazara del Vallo. La barca di circa dieci metri era partita dal golfo della Sirte, poi, in seguito ad un'avaria era rimasta in balia delle onde per oltre quattro giorni. Quattro giorni senz'acqua e senza cibo, quattro giorni di disperazione che hanno indotto uno di loro al suicidio. Così vengono raccontati da uno dei superstiti, ricoverato in gravi condizioni all'ospedale di Trapani. Poi, finalmente, sembra profilarsi una possibilità di salvezza. Gli uomini del peschereccio "Elide" avvistano i naufraghi e per tre lunghe ore, il mare forza 4, trainano i migranti. L'unità della Marina Militare "Cassiopea" assiste senza intervenire all'operazione, rifiutando ogni collaborazione. Persino quando un'ondata più forte delle altre rovescia il natante scaraventando in mare tutto il suo carico umano, i militari restano a guardare. Rifiuteranno persino il medico richiesto per curare gli 11 superstiti issati a bordo dell'Elide. I pochi cadaveri recuperati approderanno a Lampedusa nelle celle frigorifere dei pescherecci, avvolti nelle coperte donate dalla pietà dei marinai.

Francesco Giacalone, nostromo dell'Elide racconta che "dal mare arrivavano grida di aiuto: eravamo disperati, abbiamo lanciato tutti i salvagenti che avevamo. Solo dopo che la barca è stata inghiottita dai flutti e i corpi andavano scomparendo sott'acqua la Marina ha messo in mare una lancia."

Nelle ore e nei giorni successivi è iniziato il consueto rimpallo di responsabilità e giustificazioni: il Ministro dell'interno, Scajola, ha immediatamente assolto d'ufficio la Marina Militare sostenendo che aveva fatto il proprio dovere. Difficile dubitarne. In fondo si tratta della stessa Arma che ha al proprio attivo imprese come l'affondamento della Kater I Rades, speronata dalla corvetta "Sibilla" nel canale d'Otranto il 28 marzo del 1997. I morti furono decine. Si parlò di "incidente" ma i pattugliamenti aggressivi lungo le nostre coste furono una ben chiara decisione governativa, del governo di centro-sinistra. Quello odierno ha stabilito che il compito di respingere in mare i migranti spetta alla Marina Militare, autorizzata a farlo da una legge, quella che porta i nomi di Bossi e di Fini. Una legge razzista, che tratta gli esseri umani come merci a poco prezzo, ignora il diritto di asilo, destina all'espulsione o al carcere i senza documenti.

Questa legge non è ancora entrata in vigore ma si susseguono quotidianamente i rastrellamenti a mano armata nelle città, le espulsioni di massa in paesi in cui minoranze come i Tamil e i Curdi rischiano la vita. Come la rischiano nella Nigeria islamica le prostitute, ed in molti paesi gli oppositori politici.

Le leggi della Fortezza Europa continuano a mietere vittime. Il canale di Sicilia e quello d'Otranto sono le frontiere sud, quelle che uomini in armi pattugliano chiudendo gli occhi quando le onde inghiottono qualche decina di disgraziati. Vittime non del mare ma delle politiche razziste dei governi del nostro paese impegnati in una feroce guerra, una pulizia etnica, contro i poveri. In questa guerra noi, come il nostromo ed i marinai dell'Elide, sappiamo da che parte stare.

Maria Matteo



Contenuti UNa storia in edicola archivio comunicati a-links


Redazione: fat@inrete.it Web: uenne@ecn.org