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Da "Umanità Nova" n. 10 del 17 marzo 2002

Il sindacalismo alternativo e il cavallo bastardo
Articolo 18, sindacati di Stato, governo, neo global

"Dobbiamo dire agli imprenditori: avete sbagliato a investire su Forza Italia, che non potrà mantenere ciò che ha promesso e che persegue uno sviluppo che, come dimostra l'art. 18, è fatto di lacerazioni sociali."
Enrico Letta, PPI da "La repubblica dell'11 marzo 2002

Diversi anni addietro, un compagno rilevava che vi era il rischio che il sindacalismo alternativo svolgesse il ruolo che, ai fini della riproduzione, svolge il cosiddetto cavallo bastardo. Infatti, visto che i cavalli di razza sono, sovente, caratterizzati da una certa fragilità nervosa, gli allevatori sono soliti utilizzare un cavallaccio al fine di eccitare la cavalla per, al momento opportuno, sostituirlo con un cavallo di razza nel momento della monta.

Se pensiamo a come lo sciopero del 15 febbraio, organizzato dal sindacalismo alternativo, è stato reinterpretato dalla CGIL, per un verso, e dal PRC, per l'altro, sembrerebbe di trovarsi di fronte ad una classica operazione del tipo che il compagno in questione segnalava.

È bastato che la CGIL lanciasse lo sciopero generale del 5 aprile e la manifestazione del 23 marzo per vedere la sinistra diffusa eccitarsi di fronte alla prospettiva di una ripresa di protagonismo della grande CGIL. La, razionale, consapevolezza del fatto che la CGIL è mossa, in primo luogo, dall'esigenza di spezzare l'asse che si sta costituendo fra governo e CISL e, in secondo luogo, da quella di mantenere il proprio ruolo nel meccanismo corporativo disegnatosi nei passati decenni sembra priva di qualsivoglia interesse. La semplice idea che, sotto le bandiere della CGIL, possano tornare a sfilare le divisioni metalmeccaniche annebbia i cervelli e induce a dimenticare il passato, recente, e, soprattutto, a non riflettere sulle prospettive future.

Nemmeno l'accordo del 4 luglio sembra aver chiarito ai molti supporter della CGIL quale sia la posta in gioco né sembra averlo fatto il contratto dei chimici.

Se questi fatti non sembrano avere un rilievo per coloro che vedono nella vivacità della CGIL l'occasione per dare una spallata al governo, vale forse la pena di ragionare sulle condizioni di questa spallata.

A mio avviso, infatti, popolo della sinistra e maggioranza di governo hanno in comune un ricordo che è, per gli uni, un sogno e, per gli altri, un incubo. Mi riferisco alla mobilitazione del 1994 sulla questione delle pensioni, quella mobilitazione che, sommandosi alle lacerazioni interne alla destra, portò alla fine del primo governo Berlusconi. Naturalmente il popolo della sinistra sembra aver dimenticato che il taglio delle pensioni che non riuscì alla destra fu, secondo modalità diverse, realizzato dalla sinistra ma, come è noto, la passione obnubila la memoria.

Rispetto al 1994 vi è, a mio avviso, una differenza che è bene tenere presente: in primo luogo la destra dispone di una maggioranza parlamentare più solida di quella di allora e, in secondo luogo, la Lega Nord, nonostante i ragli del suo leader di fronte al suo zoccolo duro, è in declino radicale e, se vuole sopravvivere, non potrà dar vita ad un nuovo ribaltone.

Senza, quindi, porre limiti alla provvidenza, non pare plausibile che il governo cada a breve a meno che le sue contraddizioni interne non si radicalizzino in maniera, al momento, imprevedibile.

È, d'altro canto, evidente che il governo sembra dolorosamente, da suo punto di vista, incartato. È riuscito, infatti, nell'impresa di radicalizzare lo scontro politico e sociale su, almeno, tre piani:

La mobilitazione di ampi settori sociali, in primo luogo giovanili, sulle grandi questioni che vengono, schematicamente, riassunte con la definizione di lotta alla globalizzazione. Il bestiale scatenamento della polizia durante le giornate di Genova, in luogo di bloccare il movimento, ne ha determinato un consolidarsi ed una capacità di iniziativa sui temi della guerra, dei diritti, in primo luogo quello dei migranti, delle libertà.

Sul piano sociale, sposando la posizione padronale sull'articolo 18, ha regalato alla CGIL una bandiera simbolica di straordinario valore ed ha messo la CISL, che vorrebbe valorizzare come interlocutore ragionevole, in una situazione assolutamente imbarazzante.

Sul piano della questione morale ha visto lo sviluppo di una mobilitazione che coinvolge settori ampi delle classi medie colte e semicolte che trovano spazio per un loro protagonismo di tipo mediatico. Paradossalmente, ma non troppo, l'attacco del melenso regista Moretti alla dirigenza della sinistra ha aperto la strada ad un segmento sociale che, riprendendo i temi della stagione di mani pulite, può porre l'accento sul carattere cleptocratico dell'attuale maggioranza e proporre un ritorno alla breve primavera giacobina che sembrava aver risanato moralmente il paese. Il fatto che la sinistra realmente esistente non sia esente, diciamo così, da qualche difettuccio sotto il profilo dell'appropriazione del pubblico denaro non sembra, per la verità, turbare i sonni dei moralizzatori che possono invocare l'unità della sinistra con la tradizionale buona coscienza di un ceto intellettuale che lascia i compiti sporchi ai politici di professione per, quando è il caso, prima bacchettarli e poi riassegnare loro il tradizionale ruolo di rappresentanza e mediazione.

Apparentemente il movimento neo global, mi pare ora si chiami così, quello dei lavoratori e quello neogiacobino si sviluppano su piani diversi e scarsamente comunicanti.

A mio avviso, infatti, vi è, oggi, una dialettica stretta fra queste tre mobilitazioni. Il movimento neo global o, se si preferisce, no logo, ha toccato l'immaginario dei lavoratori salariati e coinvolto direttamente soprattutto la giovane generazione dei lavoratori salariati, precarizzati ed estranei alle tradizionali forme di organizzazione e rappresentanza. La rivolta delle classi medie colte e semicolte trova la sua base "popolare" in particolare nei settori dei salariati "acculturati", basta, a questo proposito, pensare agli insegnanti.

Si tratta, allora, di cogliere i caratteri nuovi e specifici dell'intreccio sociale che si sta determinando e la lotta per l'egemonia a sinistra che si aperta, lotta che coinvolge sia i partiti che i sindacati. Se, infatti, da un lato il "movimento morale" tende a mettere in angolo il PRC, privato della sua pretesa di essere la principale forza di opposizione, è chiaro che la sinistra realmente esistente può giocare su tutte queste mobilitazioni per riaprire un rapporto con il padronato che le scelte filoberlusconiane della Confindustria avevano messo a serio repentaglio.

Schematicamente:

la sinistra (ex) di governo può usare i movimenti per rilegittimarsi come unica forza in grado di garantire la pace sociale,

la sinistra istituzionale di opposizione (il PRC) oscilla fra il tentativo di "rappresentare" i movimenti più radicali e l'attrazione dell'ipotesi di un fronte unito dal PRC al PPI ed oltre.

La CGIL fornisce l'artiglieria pesante al fronte di opposizione giocando il ruolo di sindacato di lotta e di governo.

Questo sul versante istituzionale. È anche vero che gli incrinamenti dell'equilibrio politico e sociale che ho, poveramente, cercato di descrivere, possono dare all'opposizione sociale modo di sviluppare un'iniziativa forte e visibile. Si tratta, allora, di porre, con forza, l'accento sulle questioni di merito che sono al centro dello scontro sociale: diritti, retribuzioni, pensioni ecc. e di farlo con la capacità di evitare sia l'arroccamento che la subalternità.

Va detto che, dopo il successo del 15 febbraio, il sindacalismo di base sembra aver perso l'iniziativa e aver subito quella della CGIL che ha determinato le, prevedibili, divisioni nel fronte che si era costruito per lo sciopero del 15.

Non sappiamo, mentre scriviamo queste righe, cosa esattamente proporrà il governo sull'articolo 18 e se lo sciopero del 5 aprile verrà mantenuto dalla CGIL. Per quanto ci riguarda, al di là delle questioni di piccola tattica, la vera questione è la capacità, nel prossimo periodo, di sviluppare un'iniziativa autonoma, efficace, non subalterna ai movimenti del padronato e del sindacato di stato.

Per restare all'immagine iniziale, è forse tempo che i "cavalli di razza" vengano mandati in pensione.

Cosimo Scarinzi



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